Judy Collins rappresenta, insieme a Joan Baez, uno degli esempi più brillanti di folksinger al femminile attive negl’anni sessanta nella scena musicale del Greenwich Village. Erano i tempi del folk revival e delle protest-songs, della lotta per i diritti civili, e del sogno di cambiare il mondo. Da allora sono passati molti anni e la cantautrice di Seattle è stata ingiustamente esclusa dalla memoria collettiva di quegl’anni, che sempre più spesso si limita a rievocare i soli Bob Dylan e Joan Baez, tralasciando tutti gli altri. La Collins sembra non dolersene più di tanto, anche quando i più dimenticano che prima di essere una eccellente interprete lei è una cantautrice, una folksinger con alle spalle brani di grande intensità. Non importa dunque che negli ultimi anni le sue produzioni si siano fatte sempre più sporadiche e sempre più concentrate sul repertorio altrui, quello che conta è il segno indelebile lasciato nella storia della musica dalla sua voce e dalla sua chitarra. Proprio alle sue canzoni è dedicato Born To Breed, disco tributo pubblicato due anni fa dalla Wildflower, etichetta di proprietà dalla stessa Collins, che ne celebra le canzoni firmate da lei stessa. L’operazione in se è ben lungi dall’essere autoreferenziale, nonostante coinvolga molti artisti sottocontratto dalla stessa Wildflower, ma anzi è l’occasione per riscoprire la bellezza di quindici brani composti dalla Collins. Ritroviamo così la vecchia amica Joan Baez che rende preziosa Since You’ve Asked con una magistrale performance vocale, la sorprendente Dolly Parton che imprime tutto il suo entusiasmo alla poco nota Fisherman’s Song o ancora un elegantissimo Jimmy Webb che rilegge in modo magistrale The Fallow Way. Non manca qualche giovane emergente come le Webb Sisters che si danno da fare nel rendere nel modo migliore Soldier Of Fortune, Ali Askandarian che pennella Song For Sarajevo e il bravo Kenny White che rispolvera Song For Martin. Le migliori sorprese arrivano però con Jim Lauderdale che con i sui Dream Players riveste di country Easy Times, Chrissie Hynde che impreziosisce con la sua voce My Father e la talentuosa Amy Speace che si misura con il country rock di Born To The Breed. Sul finale irrompe al voce di Leonard Cohen che legge il testo di Since You’ve Asked, che suona quasi come un cammeo che ricompensa solo minimamente di quanto la Collins fece per lui negl’anni sessanta, essendo la prima ad interpretare le sue canzoni, prima ancora che uscissero i suoi dischi. Born To The Breed è dunque un disco che ci permette di scoprire una Judy Collins nella veste meno nota di autrice, e che celebra nel modo migliore alcune delle sue più belle composizioni.
Salvatore Esposito
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