Anouar Brahem - The Astounding Eyes of Rita (Ducale)


A diciotto anni dalla prima incisione, questa nuova opera del compositore e oudista tunisino, registrata a Udine, è dedicata a Mahmoud Darwish (1941–2008), “poeta e grande umanista”, come lo definisce Brahem, che nel titolo del CD si è ispirato a “Rita e il fucile”, lirica tra le più pregnanti dell’eminente scrittore palestinese, già trasposta in musica dal cantante libanese Marcel Khalifé. L’album è dominato da una cornice sonora umbratile e dai timbri caldi, esito soprattutto del dialogo tra il clarinetto basso di Klaus Gesing e l’oud del virtuoso nato nel 1957 ad Halfawine. Come a voler voltar pagina, Brahem rinuncia alla proiezione spiccatamente cameristica che ha contraddistinto le sue ultime prove, orientando la sua rotta sulla felice confluenza fra modi della tradizione strumentale araba e del jazz. Stando così le cose, il lavoro si avvicina più a dischi come Conte de l’incroyable amour oppure Barzakh o ancora Thimar. La costruzione dei brani poggia su una netta sensibilità melodica: la musica è stata composta inizialmente per oud, laddove – raccontano le cronache – negli ultimi anni il compositore aveva privilegiato la scrittura al pianoforte. Qui, complice l’estetica del produttore e boss ECM Manfred Eicher, accanto al clarinettista tedesco sono il basso elettrico svedese Björn Meyer e le percussioni (darbuka, bendir) del libanese Khaled Yassine. L’album è articolato in otto composizioni, in cui Brahem sfoggia il suo consueto tocco rifinito e nitido, ricercando un “naturale” equilibrio tra espressione formale e procedure improvvisative. L’apertura The Lover of Beirut ha passo lieve e minimalista: attacco affidato a fraseggi secchi ed iterati del cordofono arabo, al quale si unisce il calore del clarinetto basso, che condivide il sentiero sonoro con l’affondo melodico dell’oud. Un suadente assolo di clarinetto basso dà principio a Dances with Waves, brano che si muove lungo l’asse jazzistico con il dialogo serrato tra basso e oud, sorretti dal ritmo del bendir. Ambientazione jazz che anima anche la luminosa Stopover At Djibouti, dal ritmo sostenuto, brano tra i più immediati e riusciti del disco, che catturerà il pubblico aduso all’oriental fusion. Ricca di pathos è la bella, lunga title track, tessitura iniziale di profilo mediorientale e successive evoluzioni improvvisative di oud e clarinetto. L’affiatamento del quartetto si mette in mostra anche in Al Birwa, mentre ci si sposta di nuovo entro gli stilemi della tradizione araba con Galilee Mon Amour. Una dolce pacatezza meditativa caratterizza Waking State, prima dell’approdo finale di For No Apparent Reason, con il pieno del quartetto in un proficuo impasto di timbri.


Ciro De Rosa

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