Tra gli spin off della stagione folk latinoamericana degli anni Settanta e Ottanta, a cui si richiama apertamente “Icónicas” dei Cordigliera, recensito recentemente su questa testata, potremmo annoverare, anche se in modo più sottile, quest’altro prodotto discografico, “Gentile”, dei Cuerdas Trio. Con la differenza che, se il disco dei Cordigliera è una full immersion nel repertorio classico delle musiche cilene-andine, per il trio esse rappresentano solo un componente, per quanto importante, di una fusione di molteplici linguaggi musicali diversi.
Di Cuerdas Trio e del suo interessante connubio anagrafico ed intergenerazionale abbiamo già scritto lo scorso anno, in occasione di una loro esibizione dal vivo a Venezia. La formazione, ancora composta da Mario Cardona (charango, cordofono andino per eccellenza, anche nel formato più grave del charangón e in quello più acuto del chillador), David Beltrán Soto Chero (chitarra classica e tiple colombiano, nonché direttore musicale del gruppo) e Giorgio Scarano (chitarra classica ed elettrica, setar iraniano), presenta ora in CD parte del repertorio ascoltato in quel concerto.
Il disco, pubblicato per Visage Music, un’etichetta che si dichiara “incentrata sulla world music nella sua accezione più ampia”, conferma la natura di questo progetto musicale, vero insieme intersezionale di più generi e approcci musicali diversi, risultanti delle rispettive storie individuali dei tre musicisti che lo compongono. Riconosciamo una vena decisamente folk, testimoniata qui da una versione per charango e due chitarre classiche di “Pascua linda”, un huayno – danza tradizionale delle Ande peruviane – già presente nella discografia italiana degli Inti-Illimani, a cui questa versione si ispira. Sul versante opposto si collocano le composizioni originali di Mario Cardona e di Soto Chero, che si allontanano volutamente dai canoni di uno specifico folclore musicale. “Suite IV”, di Soto Chero, è una suite in tre parti: “Prélude”, “Migajas de luna” (briciole, o frammenti, di luna) e “Reso” (preghiera). La sequenza tripartita riflette un clima lunare, non solo perché richiamato dal titolo del secondo movimento e dal testo del terzo, unico momento vocale del disco, ma anche perché suggerito dalle atmosfere malinconiche, intrise di languida sensualità, che caratterizzano l’opera. Al consueto dialogo tra il charango e la chitarra classica (nucleo fondante di un po’ tutto il repertorio, ereditato dalla precedente formazione del duo Coro) si aggiunge la sonorità della chitarra elettrica, che emerge a tratti come solista con riff e sequenze melodiche che evocano atmosfere progressive, e la voce umana a cappella (Cardona). I tre strumenti vanno intercambiandosi i ruoli, integrandosi in una trama ricca di raffinatezze armoniche, modulazioni, accenti modali. Di scrittura raffinata è pure “Gentile”, anch’essa di Soto Chero, breve e dolcissimo pezzo strumentale che chiude la scaletta del disco.
Anche “Medicharango”, di Mario Cardona, è una suite tripartita: “El amor perdido”, “El amor y las olas”, “De viaje y contrapunto”. Nel primo movimento ascoltiamo la voce solista del setar iraniano in dialogo con il charango, e a seguire diverse sezioni improntate a continui cambi di sound, con momenti anche chiaramente dissonanti ed eterofonici, suggestioni di sincopato tanguero piazzoliano, di progressioni armoniche di sapore barocco e pennellate di blues. Il tutto, però, ben amalgamato da un comune gusto per la limpidezza del suono e del fraseggio degli strumenti a corda, vero fattore unificante nell’ascolto dell’intero disco.
A metà tra i due versanti – quello del folk e quello della composizione – si collocano due brani che rimandano ancora, guarda caso, alla fusione tra ilo popolare e l’accademico. Il primo è “Danza”, di Horacio Salinas, dal repertorio degli Inti-Illimani. Un pezzo, originariamente composto per un ensemble di corde, fiati e percussioni, che raccoglie suggestioni paesaggistiche della musica scandinava. La versione del trio, sebbene inevitabilmente perda qualcosa sul versante della varietà timbrica rispetto alla composizione originale, sa comunque restituire la complessità della partitura, intervenendo anche con qualche efficace pennellata originale, come un inserto di valzer nella parte centrale del brano.
Il secondo è la celeberrima “Danza paraguaya” di Augustín Barrios Mangoré (1885-1944), grande classico del repertorio chitarristico accademico internazionale, ma profondamente imbevuto di musicalità popolare latinoamericana. La versione del trio, per charango e due chitarre classiche, ne rende bene lo spirito e la vivacità tutta popolare.
I brani cover, sia tradizionali sia d’autore, offrono momenti di maggiore cantabilità e vivacità, rispetto al carattere in qualche modo più meditativo della maggior parte delle composizioni originali, conferendo equilibrio nel suo assieme a questo lavoro, registrato, mixato e masterizzato presso il Terzo Mondo Recording Studio di Belluno.
Stefano Gavagnin
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Sud America e Caraibi