Cuerdas Trio, Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, San Cosmo, Venezia, 18 maggio 2024

La chiesa sconsacrata dei Santi Cosma e Damiano, vulgo San Cosmo, nell’isola veneziana della Giudecca, è un luogo con molta storia. Chiesa sconsacrata già ai tempi di Napoleone, trasformata poi in caserma, ospedale, fabbrica di sale, fabbrica tessile (la Herion, di cui cantava Alberto D’Amico, nei primi anni 70, nella sua canzone Giudeca). Dismessa negli anni 90, è rinata, dopo un intelligente restauro voluto dal Comune di Venezia, come incubatore di start-up, gestita dall’associazione SerenDPT (Serenissima Development And Preservation Through Technology) e con il lodevole proposito di contribuire a ripopolare la città. Oltre ad essere uno spazio multifunzionale destinato a uffici, coworking e quant’altro, l’ex chiesa di San Cosmo ospita occasionalmente anche eventi musicali e teatrali - performativi. In questa cornice, sabato 18 maggio, si è presentato il Cuerdas Trio, evoluzione recente di una precedente formazione, il duo Coro, composto da Mario Cardona (charango) e David Beltrán Soto Chero (chitarra classica e direzione musicale), grazie all’integrazione di un terzo componente, Giorgio Scarano (chitarra classica ed elettrica, setar iraniano). Proseguendo senza soluzione di continuità il percorso intrapreso dal duo Coro (si veda l’album “De viaje y contrapunto”, del 2015, autoprodotto, e
disponibile anche su Spotify), il trio ha presentato un programma che, pur gravitando ancora attorno ad un baricentro popolare latinoamericano, si sviluppa poi in un consistente numero di composizioni originali, tutte firmate da Mario Cardona e da David Beltrán Soto Chero. Nel corso della serata, abbiamo ascoltato alcuni brani classici del repertorio del charango urbano boliviano, come le versioni di “Mis llamitas” (Ernesto Cavour, Alfredo Domínguez) e Subida (ancora E. Cavour). Temi resi popolari a suo tempo dagli Inti-Illimani, dal cui repertorio il trio ha estrapolato anche un huayno peruviano, “Pascua linda”. Si tratta di rivisitazioni che non stravolgono il dettato originale, ma lo arricchiscono, sia aggregando materiale melodico e armonico, sia sviluppando la componente agogica (dinamica, accentazione, colori). Su una linea simile, anche una coinvolgente versione della celebre “Danza paraguaya”, di Augustín Barrios Mangoré. “Danza”, una composizione del cileno Horacio Salinas (storico direttore degli Inti-Illimani), è piuttosto una “condensazione” di una composizione ampia (oltre 6 minuti) che nell’originale assetto dell’ensemble cileno comprendeva, oltre alla ricca sezione di corde latinoamericane, anche flauti e percussioni. Le composizioni di Cardona e di Soto Chero, pur mantenendo
un sound coerente rispetto ai brani già citati, si distaccano invece sensibilmente dai modelli ritmici e formali popolari latinoamericani. Si tratta di composizioni articolate, come le due suite “Medicharango” (Mario Cardona) e “Suite IV” (D. B. Soto Chero), che alternano a momenti rarefatti e armonie sospese, pieni “orchestrali” intensamente ritmati, omoritmici o contrappuntistici. Oppure di brevi illuminazioni liriche, come la delicata ninnananna “Gentile” (D. B. Soto Chero). La maggior parte di questo repertorio di composizione riprende quello del duo Coro, di cui conserva il rigore esecutivo di taglio accademico, ma si presenta ora in una veste più fresca e intrigante, grazie al contributo del giovane Giorgio Scarano, che con la chitarra elettrica, e in un’occasione con il setar iraniano, amplia considerevolmente la gamma timbrica del charango e della chitarra classica. L’aspetto anagrafico non è aneddotico: Mario, classe 1961; David e Giorgio, di circa 20 e 30 anni più giovani, rispettivamente, rappresentano generazioni e formazioni musicali diverse. Essenzialmente autodidatta (nel senso di non formato accademicamente, ma poi è chiaro che ognuno trova dei maestri), il veneziano Mario Cardona vanta una lunga consuetudine con il charango, che suona ormai ininterrottamente da 47 anni, formatosi alla scuola della Nueva Canción cilena, per poi andare alla ricerca di una propria strada interpretativa. Chitarrista classico di taglio accademico è invece David Beltrán Soto Chero, che però porta con sé radici familiari peruviane (lo zio, Amílcar Soto, è un noto musicista che ha lavorato tra gli altri anche con Susana Baca). Giorgio Scarano, veneto-pugliese, possiede ugualmente una formazione chitarristica classica, ma spazia in linguaggi alternativi, con un sapore di
fusione world, usando con perizia e delicatezza la chitarra elettrica e il setar. Sebbene predomini in termini quantitativi il linguaggio della chitarra classica, è forse il charango a imprimere la nota caratteristica. Vale la pena di spendere qualche parola sull’uso che ne propone Cardona. Lontano dagli stili locali andini, che sente affascinanti ma “altri da sé”, il suo linguaggio si nutre di ascolti diversi, essenzialmente la Nueva Canción, con il suo uso non idiomatico degli strumenti, e la musica classica, con reminiscenze antiche, di gusto liutistico. A fronte di una sempre maggiore diffusione nel mondo pop-folk andino di versioni elettroacustiche dello strumento, che comportano di fatto una estrema standardizzazione del timbro e un uso povero di sfumature, va riconosciuta a Cardona la ricerca di una qualità timbrica che ne valorizza le caratteristiche acustiche naturali. Allo stesso tempo, pur incorporando un’estetica decisamente “occidentale” e stilizzata che si allontana dal folclore, Cardona non si lascia tentare né dal virtuosismo fine a sé stesso di chi usa il charango per interpretare Piazzolla o perfino Richard Strauss, né da una certa faciloneria di chi ne sfrutta appena la suggestione timbrica in composizioni di sapore New Age. Il rigore esecutivo di sapore “classico” è un carattere comune al trio, e trova un curioso contrappunto nell’affabulazione autoironica e divertita con cui i tre, nel corso del concerto, raccontano spaccati di vita del gruppo, mettendone in luce il valore primario di esperienza umana condivisa attraverso la passione musicale. Il risultato complessivo è un vivace dialogo fra tre diverse formazioni musicali, che trovano sì un riuscito equilibrio nella dialettica delle diversità, ma grazie al possesso di una solida base comune, tecnica e di gusto, e ad una grande capacità di divertirsi suonando assieme. 


Stefano Gavagnin

Foto e video di Stefano Gavagnin

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