Maria Mazzotta – Onde (Zero Nove Nove, 2024)

Maria Mazzotta: “Chesta barca mia dal porto deve ascire”

#BF-CHOICE 

Sono passati quattro anni da “Amoreamaro” da cui sono scaturiti oltre duecento concerti fra Europa, America Latina e Asia. Ed altri tre dall’ottimo "Grifone", con i Pulcinella. Fra un concerto e l’altro, negli ultimi due anni Maria Mazzotta ha lavorato a undici nuovi brani. Decisivo è stato l’incontro con il batterista e percussionista Cristiano Della Monica e con il chitarrista Ernesto Nobili, due musicisti con cui far scorrere nei repertori salentini e, più in generale, in quelli legati alle lingue del mondo rurale la linfa del rock psichedelico, sorta di rito di conciliazione fra ecologie acustiche ancestrali e quelle degli anni di formazione dei protagonisti dell’album. L’album diventa, allora, un’occasione per identificare brani del passato e dar vita a nuove composizioni in grado di esplorare la musica come antidoto di fronte ai mali del mondo e come invito a cercare dentro di sé i percorsi di cura, coltivando il desiderio di scoperta e di accoglienza, di guarigione collettiva delle ferite. Il risultato è una perla rara, una trama sonora che ti viene incontro come un desiderio a lungo coltivato e che non immaginavi di poter soddisfare; una serie di canzoni che vorresti mettere in loop e, allo stesso tempo, che suggerisce una pausa dopo ogni brano, per poter sostare nell’intensità emotiva di ciascun ascolto.  Con la generosità che la contraddistingue, Maria Mazzotta ho risposto alle domande di Blogfoolk ad un mese dall’uscita dell’album.

Quando e come hai incontrato Cristiano Della Monica e Ernesto Nobili e come avete cominciato a collaborare? Perché hai scelto questi strumenti e questi timbri per il nuovo album?
Conosco Cristiano Della Monica dal 2002 quando, con il collettivo musicale “La Mescla” di Napoli, abbiamo fatto diversi concerti in giro per l’Italia e la Francia. Negli ultimi anni ci siamo ritrovati, l’ho invitato a suonare diverse volte nello spettacolo “AmoreAmaro” che portavo in tour, finché gli ho proposto di creare un progetto insieme, spinta da due motivazioni differenti: l’esigenza di avere un suono più potente in scena e il forte desiderio di provare a cantare la tradizione con un suono più rock e, in particolare, con la chitarra elettrica. Questo perché, se torno indietro negli anni, mentre iniziavo a praticare la tradizione, i miei ascolti erano band con batterie e chitarre elettriche distorte. Cercavo, dunque, musicisti che conoscessero bene il repertorio di tradizione e che, allo stesso tempo, avessero nel loro bagaglio culturale le sonoritá rock dei miei ascolti adolescenziali; Cristiano, con la sua esperienza nella world music e la sua collaborazione in gruppi quali P.G.R. (uno dei miei preferiti), faceva proprio al caso mio. Quando mi ha proposto Ernesto Nobili alla chitarra elettrica (che ho conosciuto nel 2005 tramite la Mescla ad un concerto nel quale abbiamo suonato insieme un paio di brani), ho sentito che questa sarebbe stata la formazione perfetta per intraprendere il viaggio che da tempo avevo nella mia mente.

Come è nato il repertorio dell’album? Quali sono i processi compositivi e di arrangiamento da cui nascono i brani? Cosa lega e cosa distingue questi undici brani?
Il repertorio dell’album è nato dopo una serie di prove e residenze nelle quali da una parte ho proposto brani che avevo voglia di cantare, dall’altra ci siamo divertiti ad improvvisare “fissando” le cellule melodiche e di accompagnamento che ci sembravano più interessanti per lavorare su brani inediti. Per l’arrangiamento dei brani già esistenti ci siamo concentrati talvolta sul testo, talvolta sulle caratteristiche ritmico-melodiche del brano in questione cercando di valorizzarle e reinterpretarle con un suono che fosse nostro, unico e personale. Nella scrittura dei brani inediti il processo è stato collettivo, da band, ognuno di noi ha contribuito portando le sue idee e degli spunti melodici e armonici che insieme abbiamo poi sviluppato. Ultimata la parte musicale, spinta dall’esigenza di esprimere alcuni concetti ed emozioni, ho scritto i testi, a volte in italiano, a volte in dialetto. Quest’ultimo rappresenta per me il filo conduttore che lega il passato, le mie radici, al presente, al mio essere nel mondo contemporaneo; il mezzo attraverso il quale riesco ad interpretare la tradizione e a riscriverla secondo il mio sentire. Quello che lega i brani di questo album credo sia la nostra profonda ricerca di un suono caratterizzante, la maniera nella quale abbiamo reinterpretato la tradizione proiettandola in un mondo musicale apparentemente lontano. Ciò che li distingue è l’utilizzo a volte dei diversi dialetti (salentino, garganico, siciliano, napoletano) e a volte della lingua italiana; a volte abbiamo reinterpretato la tradizione, in altri casi abbiamo scritto musica e testi
originali. Credo tuttavia che i tratti che distinguono i brani siano da cercare all’interno delle canzoni stesse come, ad esempio, in “Damme la mano” in cui il coro polivocale delle registrazioni antiche è stato da noi tradotto in un loop circolare di chitarre.

Dove e come avete registrato?
Per questo album ci siamo avvalsi di tre professionisti che stimiamo molto. Abbiamo registrato nel Sudestudio di Guagnano (Le) con Guglielmo Dimidri, gran parte del disco in presa diretta per conservare la spontaneità e l’emotività nell’eseguire ogni singolo brano. La fase di mixaggio invece è avvenuta a Napoli presso l’Auditorium Novecento con Fabrizio Piccolo. Il mastering è stato opera di Lorenzo Tommasini.

Nel terzo brano suona con voi Bombino: come si è sviluppata questa collaborazione e che ruolo ha questo brano all’interno dell’album?
Il disco contiene diversi brani con messaggio di condivisione, unione ed umanità. Uno di questi è “Sula nu puei stare”, lo dice il titolo stesso. Il brano nasce perché Cristiano ed io, che per anni abbiamo lavorato con musicisti spagnoli, volevamo tracciare una linea che unisse il Salento con l’Andalusia. Cristiano ha cominciato a suonare una ritmica fortemente ispirata alla buleria andalusa ed io improvvisavo una melodia ispirandomi ai canti salentini. Mentre scrivevo il testo era chiaro il messaggio contenuto nel brano, che la musica può essere contagiosa per chi l’ascolta, può ripulire le cattive energie e, se la si fa insieme, come in
un rituale, può migliorare lo stato d’animo di tutti i partecipanti. Ernesto Nobili ha tradotto magicamente in musica questo messaggio. Le sue chitarre, che pian piano si sovrappongono, rappresentano i vari personaggi che partecipano al rituale magico e curativo del brano. In maniera del tutto spontanea e naturale è accaduto che, mentre suonavamo il finale del brano in sala prove, siamo finiti sul ritmo terzinato tipico della pizzica pizzica che, però, per come stavamo suonando, aveva un forte sapore di nord Africa, tanto forte da immaginarci e visualizzarci un unico possibile musicista a dialogare con noi: Bombino. Ho avuto il piacere di conoscerlo ad una edizione de “La Notte della Taranta”, ci siamo poi più volte rincontrati in molti festival europei. É un musicista che stimo e seguo da diversi anni, il guest perfetto per questo brano. Con entusiasmo ha accettato subito di partecipare a questa collaborazione e ne sono davvero orgogliosa.

Qual è il tuo rapporto con gli strumenti elettrici e in che modo senti che influenzano il tuo uso della voce?
Gli strumenti elettrici mi riportano alla mia adolescenza e a gran parte dei miei ascolti prima di scoprire la musica tradizionale. Io sono cresciuta con mio padre che, per farmi fare la pennichella pomeridiana, mi metteva a letto con i Pink Floyd, e credo che questo abbia influito molto sui miei gusti musicali.
Per quanto riguarda la mia voce, sebbene io continui a cantare con molta dinamica (cosa alla quale non potrei mai rinunciare), in questo disco credo di impiegare più energia rispetto al cantare in duo con la fisarmonica, e di utilizzare meno melismi ed abbellimenti, ma questo é qualcosa che avviene in maniera istintiva e non programmata.

Quali sono i prossimi passi del trio e le occasioni di ascoltarvi dal vivo? Sei soddisfatta dei primi concerti? Come risponde il pubblico?
“Onde” arriva dopo un anno di concerti in giro per il mondo, live nei quali abbiamo avuto la possibilità di “rodare” il progetto: dal Babel Music XP di Marsiglia alla tournée in Indonesia. Da febbraio ha avuto inizio il tour di presentazione dell’album: siamo partiti il 7 dalla Svezia per poi fare tappa in Danimarca, Germania, Austria, Portogallo. La risposta del pubblico è sempre stata positiva, sia quando abbiamo suonato in festival open air come il Bardentreffen di Norimberga, il Festival du Chant Marin di Paimpol o l’Ethno Port di Poznan, sia quando lo spettacolo è stato ospitato da grandi sale di teatri come la ORF Kulturhaus di Vienna. Nei prossimi mesi abbiamo un fitto calendario di concerti che ci porterà in Estonia per il Tallinn Music Week (6 aprile), in Portogallo per il Seixal World Music Festival (31 maggio), in Spagna a Valencia per l’Etnomusic Festival (7 giugno), etc. Non mancherà l’Italia: 23 maggio all’Arci Bellezza di Milano, 24 maggio all’Auditorium Novecento di Napoli, il 25 maggio ai Cantieri Teatrali Koreja di Lecce, il 28 maggio a Roma.

Cosa puoi dirci a proposito delle tue altre collaborazioni e progetti futuri?
Da qualche tempo ho cominciato la collaborazione con Raül Refree, musicista e produttore catalano che ammiro tantissimo e con il quale abbiamo creato uno spettacolo che mette in risalto l’aspetto femminile della tradizione musicale salentina con particolare attenzione alla ritualità. Il concerto in duo ha anche un format più ampio che vede la partecipazione di un coro di 13 donne catalane e la drammaturgia di Jordi Oriol. Con Raül Refree ci siamo già esibiti in diversi contesti quali la Fira Mediterrània de Manresa, Druga Godba a Lubiana, Festival Grec di Barcellona, etc. Stiamo inoltre lavorando al nostro primo album insieme.


Maria Mazzotta – Onde (Zero Nove Nove, 2024)
Onde? Sì, fin dal primo suono: elettriche, scaturite dall’introduzione di chitarra a “La Furtuna”; concentriche ad ogni, pesato, colpo percussivo su pelli e metalli ad allargare lo spazio d’ascolto; coinvolgenti attraverso le emozioni immediate veicolate dal canto,   vibrazioni di una narrazione salentina capace di attivare e spingere l’attenzione lungo distanze diverse, dall’infinitamente piccolo ad un orizzonte potenzialmente immenso: tre anime sonore fuse in un’unica tensione al moto e ad un scavo emotivo profondamente sincero, una porta che si spalanca su una comune ancestralità. La fortuna del poter tornare a leggere “Il mondo magico” con orecchie nuove: "In virtù dell'azione magica viene suscitata nel mago la commozione propria del ‘sacro’, ed è suscitata anche in coloro per i quali il mago opera”.  Ne “La Furtuna” Maria Mazzotta narra “una figura lucente e disperata che in mare aperto piange così forte da far piangere tutti i pesci, versa le sue lacrime per i torti e le ingiustizie subite da chi lo attraversa ed affronta le onde in cerca di fortuna e trova invece la sua tomba. Il mare diventa un cimitero, con barconi che affondano ed altre navi che non posso attraccare nei porti. Grazie Balto per aver tradotto in video questo messaggio di accoglienza, condivisione e soprattutto umanità”. La successiva “Libro d’amore” rilegge la composizione cui Maria Mazzotta ha dato vita insieme a Redi Hasa per l’album del 2017 “Novilunio”: in questo caso, la nitidezza del passo fluido delle percussioni, degli interventi di chitarra e del canto - in cui si fondono le parole della tradizione con versi originali - sembrano disegnare un’unica tela di Seurat, un arco narrativo puntinista in cui tutte la parti si ascoltano. Il gruppo si trasforma in quartetto in “Sula nu puei stare”, la prima delle quattro composizioni ad opera del trio: alla chitarra di Nobili si aggiunge quella di Bombino per un finale incandescente dopo aver giocato magistralmente con i contrasti lungo tutto il brano. L’altro ospite dell’album è il trombettista Volker Goetze, interprete ideale per l’intimità che veicola “Canto e sogno”, con un testo in italiano scritto a quattro mani da Maria Mazzotta e Silvia Guerra, adatto anche al sussurro, così come il tradizionale salentino “Damme la manu” dove le sovraincisioni permettono di coinvolgere in crescendo una coralità di voci. Maria Mazzotta la racconta così: “Un giorno mi telefonò Gigi Chiriatti per invitarmi a realizzare un omaggio in musica a Lucia De Pascalis, sua mamma, figura importante per la musica tradizionale della mia Terra e della quale avevo già interpretato diversi brani come ‘Nazzu Nazzu’ e ‘Fior di tutti i fiori’. A differenza di altre figure come Uccio Aloisi e Niceta Petrachi, Lucia De Pascalis trovo sia passata un po’ in sordina; per questo ho colto l’invito e ho voluto omaggiare questa donna e cantora. Ascoltando la sua versione, corale a più voci, mi chiedevo come avrei potuto riprodurre questa armonia emotiva e la forza del cantare tutti insieme, io, da sola. Abbiamo quindi cercato e trovato un riff di chitarra, un loop circolare che mi fa pensare a queste persone che cantano in coro tenendosi mano nella mano. Un riff che culla, una preghiera per Gigi Chiriatti che ci ha lasciato prima di poter ascoltare questa versione e al quale non ho mai raccontato che, grazie ad un suo concerto negli anni ‘90 con Aramirè, ho scoperto la musica tradizionale e me ne sono innamorata”. Più avanti le farà eco “Viestesana”, “tra le tarantelle che richiamano nella mia memoria la gioventù, la felicità, una ronda. La tradizione del Gargano mi ha sempre affascinato molto per le sue melodie arcaiche ed apparentemente disarmoniche. In particolare, la melodia della viestesana nella versione eseguita da una delle voci più emozionanti dell’area garganica, Rocco di Mauro, mi ha da sempre rapita e ho voluto omaggiarla”. Il brano racchiude in sé le tre combinazioni timbriche che attraversano tutto l’album: la capacità da parte della chitarra elettrica di cogliere, in dialogo con la voce, gli accenti dei balli tradizionali, punteggiati dalle percussioni, a disegnare un ampio spettro sonoro; il solco preciso e nudo seminato dalle percussioni, in questo caso le castagnette, che permette di cogliere ogni vibrazione della voce; il finale in crescendo scandito e saturato dagli accordi di chitarra e dalla batteria. Il timbro della chitarra baritona avvolge di un’onda elettrica l’altra canzone in italiano, “Navigar non posso…senza di te”, canto di dolore sostenuto da un ritmato gioco di intrecci fra plettri e scuri colpi percussivi: anime folk e rock in felice tensione nella rilettura di un brano legato alla voce di Niceta “Teta” Petrachi, cantante che non amava essere accompagnata dalla chitarra per non trovarsi legata ad un tempo già scandito e poter essere libera di far spaziare la propria voce. Questa sottrazione è uno degli elementi che rende unica l’interpretazione di “Terra Can Nun Senti”
 di Rosa Balistreri, già tante volte riletta – da Nada a Carmen Consoli, da FLO a Noa – sempre a partire dall’incipit degli accordi di chitarra. Maria Mazzotta apre il brano con la nuda voce, in piena sintonia con la sofferenza delle persone spinte ad emigrare e in un profondo omaggio alla ricercatrice e artista di Licata invitata a cantare proprio “Terra Can Nun Senti” a Sanremo nel 1973 e poi esclusa dal concorso perché la parte musicale era stata usata da Rai Due l’anno prima in un documentario di Achille Millo, amico dell’autore del brano, Alberto Piazza. Ascoltare anche brani come “Cu ti lu dissi” e “Rosa Canta e Cunta”, nei precedenti lavori di Maria Mazzotta, è occasione per verificare la sintonia fra le due artiste e la capacità di Maria Mazzotta di rallentare il tempo della canzone e renderne, se possibile, ancora più intensa la carica affettiva. Altrettanto esemplare è “Marinaresca”, omaggio a Roberto De Simone: ci porta a Carpino, ai versi “Di primë ammorë ti venë a salutajë” che Roberto Leydi e Diego Carpitella registrarono nel dicembre del 1966, ripresi nel 1975 da Roberto de Simone per la colonna sonora del film di Ennio Lorenzini “Quanto è bello lu murire acciso” e poi nell’album "Li Turchi Viaggiano" (2003) con l’ensemble Media Aetas, accostandola nel libretto ad una bella stampa del porto di Napoli visto da Castel dell’Ovo. Se, vent’anni fa, De Simone aveva saputo tessere intorno al sonetto una trama contrappuntistica, il lavoro in studio con Ernesto Nobili, Cristiano Della Monica (e originalmente la fisarmonica di Antonino De Luca) sposa l’anima popolare del brano con pathos rock, arte sapiente della pausa e la progressiva costruzione di una dinamica in crescendo con al centro un verso “bandiera” per l’intero album: “Damme nu vento ca possa navigare / Ca’ chesta barca mia dal porto deve ascire”. Se si fosse chiuso qui, “Onde” sarebbe stato un album magnificamente compiuto. E, invece, c’è ancora spazio per un terzo omaggio, quello a Daniele Durante, fondatore nel 1975 del Canzoniere Grecanico Salentino di cui Maria Mazzotta ha fatto parte dal 2000 al 2015 e con cui ha inciso sei album. A Daniele Durante il trio dedica il brano di più ampio respiro, sette minuti che uniscono “Nanna Core” e “Pizzica De Core”, la ninna nanna trasformata in canone e soave vortice di voci e corde elettriche prima di lasciare spazio alla potenza dei suoni tellurici e distorti di batteria e chitarra che invitano il corpo a lasciarsi andare alla danza; il tempo di accendere in sé il movimento ed ecco, nuovamente, la dimensione acustica giocata sulla sola pulsazione del tamburello su cui la voce rimbalza sicura; e poi l’epilogo, il crescendo psichedelico su cui cantare a pieni polmoni “Ballate tutti quanti, ballate forte, che la taranta è viva e non è morta”. Se fosse un concerto, sarebbe un finale impeccabile; ma qui c’è ancora spazio per il canto di un pescatore, “Matonna Te Lu Mare”, composto nel 1979 da Giuseppe Massimo Marangio, ispirata alla chiesetta della Madonna dell'Altomare di Otranto, divenuto, negli anni, un classico; ma questa versione non ha paragoni. L’arpeggio della chitarra è essenziale così come la melodia intonata da Maria Mazzotta, un canto di protezione, ma, prima ancora, un dialogo interiore di chi sa di essere sempre e comunque alla mercé dell’acqua e del vento: gli elementi naturali e quanto seminato nei dieci brani precedenti prendono corpo insieme nella voce, nelle corde, nei colpi percussivi che si fanno onde concentriche, preghiera di uno, canto e memoria collettiva.


Alessio Surian

Foto di Ilenia Tesoro (1, 2 e 3) e Giulio Rugge (4, 5, 6)

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