Lata Donga – Variacijas (CPL Music, 2019)

Abbiamo già incontrato Asnate Rancane e Aurelija Rancane nel gruppo Tautumeitas, di cui si è avuto modo di parlare in queste pagine. Qui le due splendide voci lettoni ci introducono in una dimensione più raccolta, anzi famigliare, attraverso la quale si spalanca una finestra ancora più ampia sul repertorio tradizionale e femminile della tradizione orale lettone. Lata Donga è un quartetto in cui confluisce una lunga tradizione canora (“the core of this group is a family who has been playing ethnic music for three generations”, si legge nelle note dell’album), che attraverso la ricerca nel campo etnomusicologico e la reinterpretazione di alcuni repertori segna un solco profondo nelle espressioni musicali di questo paese ricco di musiche e danze. Se da un lato “Variacijas” - che si compone di ben sedici tracce, elaborate nel quadro di una selezione di brani tradizionali che si configurano in una forma pacata e fluida, sebbene decisa e precisa (come vedremo più avanti) - può essere interpretato come una sorta di breve antologia di canti popolari, connotati da alcuni elementi contenutistici certamente riconosciuti, dall’altro assume la forma di un’introduzione necessaria. Non semplicemente alle musiche popolari della Lettonia (sarebbe pretenzioso), piuttosto all’idea che ispira la loro elaborazione in termini artistici e, prima ancora, il loro studio da parte di soggetti che si pongono in uno spazio sospeso tra la ricerca e l’ispirazione, la trasfigurazione autoriale, lo scavare nel passato e la necessità di attualizzare, almeno nella forma, alcuni contenuti “popolari”. A bene vedere l’album suggerisce più un ascolto rilassato che non un’analisi delle parti di cui è composto. E questo, per quanto possa risultare inverosimile, rappresenta un elemento di forza di primo piano. Un elemento che abbraccia l’intero progetto, dando alle sue parti stabilità e coerenza, e determinando l’insieme in termini più propriamente artistici che non etnico-musicali. Mi spiego meglio. L’idea di avvicinarsi a musiche popolari provenienti dalla Lettonia - di musiche, cioè, poco conosciute e commercializzate, percepite come lontane e presumibilmente cariche di novità “etniche” - può orientare l’ascoltatore verso un ascolto, o meglio un approccio a un ascolto di tipo analitico, decostruttivo, (quasi involontariamente) dettagliato, approfondito. Perché potrebbe sembrare necessario, data la “distanza” formale che quelle voci rappresentano da altre espressioni “etniche” più conosciute. Invece, facendosi forza e superando il profondo (e paradossalmente pregiudiziale) approccio da studioso e curioso, si può godere di una forma contemporanea di musica popolare. Certo che quello lettone delle “variazioni” (questa è la traduzione in italiano del titolo dell’album) non è l’unico esempio che può appoggiare questo tipo di approccio, ma bisogna riconoscerne il valore in questo senso. Se non altro perché può valere come esercizio a un nuovo ascolto, più passionale e permeabile. Più informale e, appunto, artistico. È sufficiente lasciare scorrere i brani, constatando proprio questo: chi canta è bravo (oltre alle due artiste citate compaiono Aida Rancane e Andrés Kapusts), così come lo è chi suona (Tobias Illingworth al piano, chitarra e hank drum, Stanislavs Judins al contrabbasso e Ugis Vītinš al sassofono e alla programmazione elettronica), gli strumenti sono tradizionali in alcuni casi (daf, kokles e monochord) e non tradizionali in quelle aree in altri (darbuka), la successione dei brani ha senso, sia estetico che contenutistico. In questo ultimo caso ci si può avventurare nella traduzione e scoprire che sei brani sono “wedding songs” (tra cui spicca, per eleganza dell’impianto melodico, il primo in scaletta “Cel vārtīnus”), mentre sette sono connessi alle stagioni (tra i più belli “Rūtoj bite”, Pupucïte” e “Vysi kūcenu”) ed evocano scenari a dir poco ameni: “The bee moves”, “The fallow fields”, “All the threes”.  


 Daniele Cestellini

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