Tautumeitas – Tautumeitas (CPL Music, 2018)

Ottimo disco d’esordio per il sestetto femminile Tautemeitas. Le tredici tracce in scaletta sono ben cesellate intorno a voci delicate e calibrate, perfettamente organizzate in polifonie sempre affascinanti. Non si tratta di un sestetto esclusivamente vocale – nella formazione compaiono violino e accordion – anche se la preminenza è senza dubbio del canto, a cui viene affidata una narrazione spesso ipnotica, circolare, espressa dentro un flusso melodico equilibrato e curato nei minimi dettagli (“Ūgas”). La band proviene dalla Lettonia e porta con sé un insieme di suoni allo stesso tempo locali e sperimentali, che nel loro insieme rendono questo album omonimo mai ripetitivo. Anzi, ricco di slanci, soprattutto nella direzione di un’innovazione che convince, perché non grava mai sulle strutture del canto e riordina un panorama sonoro non semplice, all’interno del quale tutti gli elementi sono organizzati con armonia. Gli stessi strumenti che accompagnano quasi tutti i brani aderiscono a una narrativa composta, il cui accento esotico è esaltato dalla lingua lettone, che si adegua però con naturalezza a un tessuto armonico privo di riferimenti vernacolari (“Aiz Azara”). A bene vedere, infatti, le voci ci porterebbero in tutt’altre direzioni se procedessero da sole (o con i soli strumenti della formazione di base). Perché costituiscono – insieme a molti dei temi trattati nelle canzoni – la vera “natura” lettone di questo album, procedendo sempre in una polifonia stretta (a un primo ascolto piacevolmente dissonante) ed essendo forse l’elemento che meglio denota il carattere della formazione. Le costruzioni musicali, invece, le inglobano e le sostengono, addolcendone le armonie e sostenendone l’andamento polifonico. In questo quadro, ogni brano si configura come una sorta di grande specchio, in cui immagini di forme diverse si riflettono e sovrappongono per completarsi a vicenda. È in questa chiave che possiamo comprendere i brani più stratificati, inglobati in una trama sonora composta con percussioni, dulcimer, sintetizzatori, contrabbasso e fiati (basso tuba, trombone e tromba). L’impressione più forte è che l’album sia stato assemblato con l’intento di indagare a fondo le forme più tradizionali del canto polivocale lettone, per poi spingerne i riflessi dentro una scrittura più libera e creativa. Non si può non notare, ad esempio, l’insieme degli aspetti che, con una precisione pressoché didascalica, sono descritti a corredo dei testi: funeral songs e orphan songs (“Bārainīte”), ballate che descrivono paesaggi ameni (“Aiz Azara”), canti propiziatori, canzoni che descrivono aspetti rituali legati alla nascita (“Pāde”), ninna nanne, riflessioni sull’infanzia, sulla natura femminile e sul matrimonio (“Raudi Raudi”). È interessante, perché questo assetto non solo introduce a uno scenario estraneo al mondo musicale internazionale, ma denota la volontà di far uscire allo scoperto una dimensione che sembra avere una sua intimità vitale. Con questo intendo soprattutto la possibilità di ravvisare nell’album un’energia positiva e una spinta verso il nuovo, che ne determinano da un lato una qualità musicale non comune e, dall’altro, una forza descrittiva piacevole e condivisibile. Ogni brano, se letto e ascoltato in questi termini, si lascia “riconoscere” nella sua dimensione più completa e suggerisce buona parte degli elementi che lo costituiscono: dall’attenzione ai temi che tratta al peso che ogni strumento ha nell’ampliamento e nell’approfondimento della descrizione, fino ovviamente al ruolo delle sei voci. 


Daniele Cestellini

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