Si viene immediatamente catturati dal sound e dal ritmo di “Daa Dee”, l’ultimo lavoro di Minyeshu Kifle Tedla aka Minyeshu, cantante, attrice, danzatrice e coreografa nata in Etiopia a Dire-Dawa. All’età di diciassette anni si è spostata ad Addis Abeba per frequentare il National Theatre, dove ha incontrato Mulatu Astatke, padre dell’Ethio-jazz, che ha segnato la sua carriera artistica. Minyeshu ha avuto l’importante opportunità di partecipare al progetto “People to People”, una delle più grandi produzioni musicali e coreografiche etiopiche, con il quale ha girato 35 paesi nel mondo insieme a una selezione di artisti della scena musicale etiope; una possibilità eccezionale di crescita che le ha fatto capire quale sarebbe stata la sua scelta di vita. A metà degli anni ’90 si è dovuta trasferire in Europa chiedendo asilo politico dapprima in Belgio e poi in Olanda, dove adesso vive ad Amsterdam. Dal 2005 si muove sulla scena musicale internazionale, partecipando a concerti, festival e iniziative di beneficenza tra l’Europa e l’Africa.
La sua voce è potente, espressiva, misurata, sa essere al tempo stesso dolce e amara, seducente o orante. Le sue canzoni si ispirano alle forme tradizionali della musica etiope, abbracciando diversi stili musicali delle popolazioni che lì vivono, riproponendole in uno stile ibrido in cui gli strumenti della tradizione si mescolano a quelli occidentali nella fusione con il rock, il pop ed il jazz.
Tra le varie forme, in particolare, c’è il riferimento alla tizita, termine che nella lingua amarica vuol dire nostalgia. Si tratta di una forma di canzone in cui vengono espressi amore e desiderio in modo molto simile, come sentimento, al fado portoghese oppure al blues. La sussurrata title-track è proprio una forma di tizita, in cui il masenqo, cordofono a una sola corda, e il washint, aerofono di bambù, si affiancano alla batteria, al violino, al clarinetto, al basso e al trombone.
Tra i brani di “Daa Dee” si trovano canzoni delle celebrazioni. In molti il testo fa riferimento alla condizione femminile, sia sotto il profilo lavorativo che nei sentimenti e la figura della madre, anche in rapporto con la figlia, è spesso messa al centro. A partire da “Aynocheh”, la prima traccia, in cui basso e tromboni si rincorrono in un originale riff, i tredici brani si snodano facendo apprezzare l’energia e la varietà dei ritmi e la tipicità della scala musicale pentatonica. A seguire “Hailo Gaja”, ritmato brano ispirato alle tradizioni del sud Etiopia, area di cui è originaria Minyeshu, in cui si celebrano la musica, la danza, il divertimento, e “Yetal”, brano intimista ispirato al jazz, che racconta la ricerca di una casa, in un senso che non è soltanto quello fisico, naturalmente, ma del saper trovare la propria dimora dentro se stessi. “Yikerta” apre uno spaccato autobiografico sottolineando il senso di solitudine che attanaglia l’artista, a causa della sua crescita da figlia adottiva. “Azanwtua” e “Wolayta”, invece, sono due brani dai ritmi scatenati, segnati dal basso, dalle percussioni e dai fiati: il primo è un omaggio a Lucy, un reperto fossile di uno scheletro femminile della specie estinta Australopithecus afarensis, nel secondo, dedicato alle popolazioni meridionali Wolayta, si fa riferimento allo stile musicale bati che ha fortemente influenzato le tradizioni musicali etiopiche. “Temesgen” è un inno a Dio, “Yachi Elet” è un delicato brano dedicato a tutti gli Etiopi che sono stati vittime di violenza, intolleranza, lutti e disperazione, e a tutte le persone nel mondo che, di fronte alla violenza insensata, si chiedono perché. “Anteneh” conclude il lavoro con la storia di un amore ormai andato, e della bellezza del ritrovarsi dopo tanti anni di mancanza.
“Daa Dee”, titolo dell’album, sono le parole di incoraggiamento che si rivolgono ai bambini per invitarli a compiere i primi passi. Esprime perfettamente il senso del quarto lavoro di Minyeshu, che vuole rappresentare una nuova visione musicale ed esistenziale dell’artista, una prospettiva positiva rispetto alle sue precedenti uscite discografiche, segnate dall’angoscia e dalla preoccupazione, una ventata d’aria fresca alla quale aprirsi con fiducia.
I brani dell’album sono tutti composti dall’artista etiope ed arrangiati insieme ad Eric van de Lest, tastierista e polistrumentista. Accanto a Minyeshu, alla voce, e al polistrumentista van de Lest alle tastiere, batteria, percussioni, piano e voci, danno il loro contributo musicale Bas Bouma alla batteria e percussioni, Anton Goudsmit, Paul Willemse e Gijs Batelaan alle chitarre, Wilbrand Meischke e Guy Wanzambi al basso, Mellie Oudejans al violino, Arefayne Bisrat al masenqo, Rob Keeris e Peter de Hoop al trombone, Harm Langermans alla tromba, Leon Steuns al sax alto, Wouter Schueler ai sassofoni, Mike Roelofs alle tastiere, Yimam Mohammed al washint, Edward Capel al clarinetto.
Oltre un’ora di vibrante musica in forme multicolori che invitano alla danza e che non finiscono di stupire l’ascoltatore per la ricchezza della strumentazione e dei timbri, l’energia positiva, esplosiva e contagiosa.
Carla Visca
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