Warsaw Village Band – Mazovian Roots Re:action (Jaro, 2018)

Da poco più di due decenni i Warsaw Village Band portano in giro il loro incalzante e sfrontato sound, che sul retroterra strumentale e canoro folk polacco innesta una folgorante sperimentazione in cui si incontrano strumenti antichi e moderni. Con gli anni nel percorso del gruppo, dal retroterra musicale eterogeno, ci sono stati numerosi avvicendamenti (oggi della line up originaria resta soltanto un musicista) e, soprattutto, svariate avventure sonore transnazionali e di genere, con inserti di elettronica e dub, di influenze dark e delle tradizioni del nord artico, di umori mediorientali fino all’uso di modi musicali del subcontinente indiano. Dovete pure sapere che i WVB hanno fatto breccia in un altro indomabile che risponde al nome di Iggy Pop, il quale in più di un’occasione ha interpretato dal vivo la loro canzone “LuLuLabby”. Nel loro progetto hardcore folk, i Kapeli ze Wsi Warszawa – questo è il primo nome della band che ha poi preferito la più agile denominazione inglese a quella autoctona – non si sono dimenticati di pagare il dovuto tributo agli ultimi ‘influencer’ dei villaggi nord-orientali del Paese. È quanto avviene anche nella più recente loro incisione, incentrata su temi della ‘misteriosa’ Masovia, la vasta regione nord-orientale, posta nel cuore del Paese, in cui è situata anche la capitale Varsavia, un’area di grande interesse naturalistico, oltre che musicale. Ecco che Sylvia Świątkowska (voce, violino e zuka), Magda Sobczak-Kotnarowska (voce principale, dulcimer e violoncello), Ewa Wałecka (voce, violino e ghironda), Pawel Mazurczak (basso elettrico e contrabbasso), Maciej Szajkowski (percussioni e tamburi a cornice), Piotr Gliński (percussioni e tamburo basso tradizionale, il baraban) e Miłosz Gawryłkiewicz (tromba, flicorno, corno) hanno radunato alcuni degli veterani cantatori, cantatrici, strumentisti ed esperti di tradizioni locali, che si uniscono al settetto per creare una fusione vincente. I loro nomi? Eccoli serviti: le cantanti Maria Bienias (1943) e Marianna Rokicka (1932), il violinista e fisarmonicista Stefan Nowaczek (1933), ultimo violinista tradizionale attivo nell’area della riva della Vistola della Masovia, il cornista Eugeniusz Szymaniak (1947), il quintetto corale maschile di Czarnia e il quartetto Kapela Zdzislawa Kwapińskiego. Occorre dire che non parliamo di personalità messe nel disco come elementi decorativi o di autenticità legittimante, ma di veri e propri depositari, esperti in molti ambiti delle arti popolari, con grande voglia di trasmettere i loro saperi alle nuove generazioni, che partecipano pienamente del lavoro della band. L’ottavo disco dei WVB è stato pubblicato sul finire del 2017 in Polonia dalla Karrott Kommando (l’album ha ricevuto il più alto riconoscimento nella categoria “Roots Music”), ma è stato licenziato sul mercato internazionale dall’etichetta tedesca Jaro nel 2018. Un corposo booklet (con testi in polacco e inglese) consente di penetrare nel mondo popolare della Masovia – la terra del violino del diavolo – e di conoscere tutti gli artisti in scena. Parliamo di una regione che fino al XVI secolo era un’entità territoriale indipendente, abitata da contadini affrancati, fuorilegge e spiriti liberi, inclini al paganesimo. Dunque, dietro la ricognizione del gruppo c’è la volontà di raccontare la Masovia «con al centro le idee di libertà ed anarchia», racconta Macjek a “culture.pl”, rivista online polacca. Corde, archi (tra cui il violino popolare seicentesco zuka) e pelli integrano i ritmi di danza (“Snappy Ship Polka”) e i canti con pulsioni dub (“Mudang”), magnetiche iterazioni e bordoni (“Play, Johnny Play/Dydoj Jasiu Dydoj” e “Clearing Wind/Zakodź Slonko”), sprazzi improvvisativi e jazz (“Starozina/Greybeard”, “Oberek in Major-Minor” e “Wodny Blues”) e incursioni nei modi della musica indiana (“Mazovian Raga”), mentre svettano le armonie vocali nell’intersecarsi di ‘antiche’ grane vocali e di più giovani, affilate ugole.


Ciro De Rosa

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