Las Hermanas Caronni – Santa Plastica (Les Grands Fleuves, 2019)

C’è chi separa e c’è chi connette. Le gemelle Gianna e Laura Caronni, rispettivamente clarinettista e violoncellista, preferiscono lavorare sulle connessioni. Cresciute a Rosario, concertiste fin dai dodici anni, con l’Orquesta Académica del teatro Colón (Buenos Aires) e con altre formazioni, alla fine degli anni ’90 hanno perfezionato gli studi al Conservatorio di Lione e si sono stabilite in Francia. Dal 2006 lavorano a proprie composizioni ed arrangiamenti che eseguono anche come cantanti: al primo album “Baguala de la siesta” (2011, Snail), ne sono seguiti tre per l’etichetta Les Grands Fleuves: “Vuela” (2013), Navega Mundos” (2015) ed ora “Santa Plastica”. A quattro anni di distanza dall’ultimo lavoro, il nuovo album trasmette la loro maestria nell’originale arte del “classidoscopio”. In un caleidoscopio la luce entra e prima di arrivare alla retina viene filtrata da una moltitudine di tasselli e forme colorate; nel classidoscopio Caronni grandi motivi musicali (da Bach a Piazzolla, passando per Mozart, Ravel, Bartók) vengono filtrati da una moltitudine di ritmi e da nuovi timbri sonori, luoghi di incontro con ospiti e strumenti d’eccezione, dalla tromba di Erik Truffaz, alla voce di Piers Faccini, ai flauti di Diana Baroni. Il meccanismo connettivo e plurilingue funziona a meraviglia e nell’intelligente dosaggio degli incontri trasforma il classico nell’inedito. Si comincia con amara ironia. Minino Garay ci fa apprezzare le doti percussive di un sacchetto di plastica, mentre un ritmo latino, sostenuto anche da Moussa Koita, e un ritornello contagioso prendono a tradimento, rivolgendosi a “Santa Plastica” con una richiesta ripetuta: «Liberami da te», nell’attesa di un orizzonte diverso, evocato dalla melodia di “Lever du Jour” (da “Daphnis et Chloé” di Ravel). Per la seguente fonte di ispirazione, si attraversa l’Atlantico, fino al settentrione dell’Argentina andina, per ripescare una copla, anzi, una casalinga coplita per sola voce, di Laura, e percussione, un omaggio alla madre. Voce chiama voce: lo spagnolo delle sorelle Caronni incontra l’inglese di Piers Faccini in “Breathe” e anche qualche nota rubata all’ “Arabesque nr. 1” di Debussy. In “One Way” è di nuovo il turno di Laura di farsi ancora col suo violoncello, appoggiandosi alle battute iniziali della prima suite per violoncello di Bach per innescare il dialogo fra un’evocativa canzone in francese che attraversa senza fretta la Porte de Clignancourt per incontrare la tromba sognante di Truffaz. “Tingo”, il brano seguente, strumentale, sviluppa un’affettuosa danza dedicata ad una bambina di cinque anni e al rincorrersi, sempre senza fretta, della tromba di Truffaz e del clarino di Gianna, mentre a loro volta rincorrono “The Unanswered Question” di Charles Ives. Al centro del disco, il sesto brano, “El Cielo”, racconta di occhi che si socchiudono e di un cielo che mormora attraverso il flauto barocco e la voce espressiva di Diana Baroni, sostenuta dal violoncello di Laura, reminiscente dei lavori per archi di Marin Marais, e da un bel lavoro di intreccio con i cori offerti dalle due sorelle, registro che si ripete in “Buena de mas” con le voci di Kathryn Clark-Boireau e Piers Faccini che inseriscono una poesia (in inglese) di Ezra Pound nella canzone (in spagnolo), ispirata alle danze rumene di Bartók. Per un divertente cambio di registro, in linea con le musiche di Rota per Fellini, arriva “Coucou”, rielaborazione di una canzone ticinese che il nonno amava cantare alle due sorelle. La cavalcata finale dell’album mette in fila rielaborazioni di musiche basche, di Piazzolla (“Libertango”) e di felice sintesi fra alcune frasi di bimba, il Concerto per clarinetto e orchestra di Mozart e uno choro brasiliano: una festa per il lato più energetico e improvvisativo di Laura e Gianna e per la loro ricerca in ambito percussivo, intelligentemente assecondata da Minino Garay (“Tole”) e Nina “Le Loup” e Paul Mindy (“L’estey”). 


Alessio Surian

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