Le Trio Joubran – The Long March (Cooking Vinyl, 2018)

I tre fratelli Samir, Wissam e Adnan Joubran tornano in scena dopo anni di assenza discografica con “The Long March”. Il gruppo palestinese ha sviluppato uno stile ormai inconfondibile, coi tre oud che si rincorrono in trame fitte e slanciate, talvolta profonde e atmosferiche. La musicalità di Le Trio Joubran ha garantito loro fama internazionale, consolidatasi non solo con l’ultimo release, ma anche con un ricco tour Europeo che conta, tra le altre, tappe quali Londra, Parigi, Istanbul, Lisbona e Vienna. I tre fratelli, originari di Nazareth, sono la quarta generazione di professionisti dell’oud e liutai. Wissam si occupa della costruzione dei cordofoni portando avanti la tradizione del padre Hatem, i cui liuti sono conosciuti e rinomati in tutto il mondo arabo. È invece Samir a fondare il progetto, ammaliato ed ispirato dalla maestria del trio chitarristico di Paco De Lucia, Al Di Meola e John McLaughlin. Adnan, il più giovane dei tre, si unisce all’ensemble a soli diciannove anni e da allora ha stabilito una sua identità musicale suonando dal vivo come solista e coltivando contatti a Parigi. Ai tre oud i fratelli aggiungono vari colori curando la produzione con sintetizzatori, ed invitando ospiti alle voci, percussioni e pianoforte. “The Long March” ha radici profonde nell’arte e nell’attualità palestinese, rinforzata dalle collaborazioni artistiche che lo contraddistinguono anche tra gli altri lavori del trio. Il brano in apertura, “Time Must Go By”, cattura l’ascoltatore trasportandolo immediatamente in Palestina. La musica è distesa e d’atmosfera, sostegno emotivo al testo poetico di Mahmoud Darwish (1941-2008), il poeta palestinese, considerato tra i più ragguardevoli verseggiatori del mondo arabo contemporaneo. L’idea di un progetto con Darwish è vecchia più di un decennio, il trio già pianificava una collaborazione quando egli era ancora in vita. Versi di dieci anni fa che risuonano ancora attuali, descrivendo le lotte quotidiane e il lato oscuro che anima l’umanità. Mohammad Motamedi è l’ospite d’onore del secondo brano, la title track “The Long March”. Introdotta da una dirompente melodia affidata agli oud, la traccia si calma lasciando spazio al lamento elegiaco del cantante iraniano, il quale si rivolge all’amico disteso al suolo chiedendogli di alzarsi. Il brano torna a espandersi tra le corde degli oud, che scandiscono svariate tessiture ritmiche per intensificare il tema. Segue “Clay”, vigorosa traccia strumentale dove la versatilità degli oud si alterna alla dolcezza timbrica del pianoforte. Le percussioni controllano agilmente la cadenza ritmica, portando infine il brano ad una sezione conclusiva più filmica nell’armonia e nelle sonorità. Altrettanto eterea è “The Age of Industry”, con una sezione centrale in cui gli oud scompaiono per lasciare spazio a violini, percussioni, sintetizzatori e sample digitali, probabile parallelo concettuale con il titolo. Col proseguire del disco aumenta progressivamente la distopia degli ambienti sonori creati dalla band, che si mescola ai sapori medio orientali regalando sensazioni di malinconica desolazione. Il brano “Carry The Earth” rappresenta perfettamente questo clima. La canzone è scritta in collaborazione con Roger Waters, storico bassista, cantante e compositore dei Pink Floyd, noto simpatizzante e sostenitore della causa palestinese. Il bassista approcciò il trio dopo aver ascoltato un loro componimento musicale che accompagnava la recitazione di Darwish. Ed è di nuovo il poeta nazionale palestinese a ispirare il titolo del pezzo, tratto dai versi «E morti che muoiono per sollevare la terra sopra la salma», provenienti dal poema “Il penultimo discorso del pellerossa all’uomo bianco”. La traccia, che si sviluppa attorno a melodie e sonorità già esposte in “Time Must Go By”, contiene palesi omaggi acustici ai Pink Floyd nella sezione centrale, dove Waters recita un testo dedicato a quattro cugini morti sulla spiaggia di Gaza ancora bambini. In sottofondo si sentono le onde della spiaggia, contrapposte ai rombi dei droni aerei. “The Trees We Wear” alleggerisce la tensione emotiva accumulata con l’ultimo brano, in uno strumentale per oud, influenzato dal tango e registrato con l’Orchestra Sinfonica macedone. Le Trio Joubran propone un disco variegato nel suo attaccamento alla tradizione, ma più libero e guidato dall’ispirazione, foderato con immagini e storie che elargiscono un’ulteriore tridimensionalità emotiva, la cui relazione con le composizioni musicali rinforza lo stile già affermato del complesso. “The Long March” esemplifica come la musica medio orientale possa assorbire stilemi e tecnologie moderne, creando un testo musicale che riflette la complessità della realtà dei tre musicisti. Portavoce di tematiche importanti, i tre fratelli confezionano un album eloquente ed equilibrato, mostrando con maestria le grandi potenzialità dell’oud. 


Edoardo Marcarini

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