Speciale Rox Records: Roberto Carlotti, DiaDuit, Fabrizio Klam, Très Manouche

Roberto Carlotti – Cahier de danse (Rox Records, 2017)
Dopo una lunga militanza a fianco di gruppi come Banda Bonnot e cantautori del calibro di GianGilberto Monti, Roberto Carlotti da alcuni anni ha intrapreso con non poco successo un proprio percorso come solista che lo ha portato ad incidere lavori pregevoli come “Il Giardino di Giardino di Sofia” e il più recente “Margot”. A quattro anni da quest’ultimo, il fisarmonicista milanese torna con “Cahier de danse”, album nel quale ha raccolto tredici brani autografi che come scrive nelle note di copertina sono “frutto dell’incontro con alcune forme musicali tipiche delle danze di origine tradizionale e popolare”. Colpito dalla vivacità, dall’energia e dall’immediatezza del messaggio di queste musiche, ma anche di come abbiano resistito al tempo, Carlotti si è divertito a rileggerle attraverso la propria cifra stilistica, mettendone in luce “le ambivalenze melodiche, le strutture sghembe e le sorprese ritmiche”. Rispetto ai dischi precedenti, questo nuovo lavoro vede il musicista milanese farsi carico non solo di tutti gli arrangiamenti ma anche delle esecuzioni dei vari brani per le quali si è diviso tra fisarmonica, chitarra, basso, bouzouki, mandolino e percussioni. La scelta di incidere l’album in completa solitudine non è stata studiata a tavolino, ma è nata durante le sessions, quando ha scoperto di divertirsi “come un matto” ad aggiungere ai vari brani uno strumento per volta. Aperto dalla brillante “Scottishaccio” uno scottish colorato di rock tutto giocato sul dialogo tra la fisarmonica e le corde, il disco entra nel vivo con il circolo circasso “Dalle mandoliniste mi guardi Iddio che dalle cantanti mi guardo io” e l’evocativa “Mazurka a Sa Ruxi”. Se “A due” è una bourrèe a due tempi un po’ atipica ma non meno fascinosa, la successiva “En Voyage” vede l’incontro tra uno scottish e un valzer. Si prosegue con la mazurka “Piccola storia” e “Scottish in La Minore” che ci introducono al vertice del disco “Mazurka a Chiareggio” una composizione di rara bellezza e forza evocativa nata dopo una passeggiata in Valmalenco. La melodia spensierata di “’Na bellezza” ci conduce verso il finale con il trittico “Valzer a 5”, “Scottish in Do minore” e “Latino”. Il valzer “Luoghi comuni” chiude un disco di prezioso da ascoltare con cura ma anche da ballare con passione. 

DiaDuit – Aquiloni (Rox Records, 2017)
Il progetto DiaDuit nasce nel 2009 dall’incontro tra due musicisti veneti Luca Ventimiglia (whistle, contamusa, tarota, chalumeau) e Francesco Chiarini (nyckelharpa, violino e violino a cinque corde), i quali hanno unito le forze per dare vita ad una originale esplorazione sonora che spaziasse dal bal-folk francese all’Irish-folk passando per la musica tradizionale veneta. Dopo aver mosso i primi passi prima in trio e poi in quartetto suonando nei principali festival italiani, nel 2011 hanno dato alle stampe il loro debutto discografico “A perdifiato nel bosco”. A distanza di sei anni da quest’ultimo li ritroviamo con “Aquiloni”, album quale hanno raccolto nove brani in larga parte originali, incisi in presa diretta presso i Suonovivo Studio di Bergamo. Rispetto al loro primo disco, ad emergere è certamente la loro piena maturazione dal punto di vista compositivo ed esecutivo, ed in questo senso determinanti sono stati gli innesti nella line-up di Luigi Budel alla fisarmonica e Fabrio Reolon alla chitarra e alla voce. Tutto questo emerge sin dal primo ascolto che si apre con il trascinante medley “Salti d’acqua/46°Parallelo Nord/Ieri” ed entra nel vivo con il dialogo tra corde e fisarmonica che si sviluppa in “Bucaneve/Barracuda”. Si prosegue con la poetica “Nel grembo di Gaia/Sas Mort” guidata dal whistle di Luca Ventimiglia e dal violino di Chiarini e le complesse architetture sonore di “Frutta Marcia/Frank, Scappa!/D’Ance”. Il testo poetico “El lago de Santa Crose” del poeta bellunese Alessandro De Luca (1865-1923) ci schiude le porte alla travolgente giga “Pelalchiù/Gigolò/La Capra Panca/Prioni/Bivi” e all’evocativa “Era”, ma c’è ancora tempo per due belle sorprese ovvero il medley “Megaloufou/Le Funambule/De Montfort” e “Al centro del cerchio”, quest’ultima con testo di Fabio Reolon a chiudere un gustoso disco di puro artigianato sonoro. 

Fabrizio Klam – Ikaro (Rox Records, 2017)
Il ballo di coppia è senza dubbio uno dei momenti più intensi degli eventi di bal-folk, il tempo metronomico è più dilatato e l’abbraccio tra i ballerini si fa più stretto ed intimo ma allo stesso tempo li proietta nella più ampia dimensione della platea danzante. Ad esplorare queste particolari dinamiche è “Ikaro”, il nuovo album del fisarmonicista Fabrizio Klam, da alcuni anni impegnato nel ricercare e sperimentare connessioni tra le due passioni per il bal-folk e la musica elettronica. Laddove il precedente “Meccanikarmonica” si caratterizzava per influenze che spaziavano dai Depeche Mode a Ludovico Einaudi passando per Phillippe Glass e Tangerine Dream, questo nuovo lavoro amplia il raggio d’azione della ricerca entrando nel vivo delle dinamiche ritmiche delle danze tradizionali dando vita a sorprendenti attraversamenti sonori di respiro world. L’approccio di Klam non è volto ad esaltare il virtuosismo in quanto tale ma piuttosto ad esaltare l’emozione in movimento tanto per il semplice ascolto quanto a supporto della danza. In questo senso, la figura di Ikaro come elemento ispirativo non ci sembra casuale, infatti diventa simbolo del superamento del limite, dell’andare oltre, dell’andare più in alto. Dividendosi tra fisarmonica cooperfisa 26/48 11/IV, sintetizzatori, percussioni, salterio e flauto, Klam ha messo in fila quindici brani di grande forza evocativa tra sinuosi valzer impari (“Botanika”, “Torre, alfiera, cavallo”, “L’orizzonte degli eventi”, “Paesaggio magico”), evocativi valzer (“Di ragione e di follia” e “Forme, colori, pensiero”) e fascinose mazurke (“Ikaro e l’orologio”, “La stanza dell’automa”, “Il bambino di cera”, “Scelsero le stelle”) che trovano il loro vertice nelle pregevoli “Haiku” e “Mazurkawashi” nelle quali gli stilemi del bal-folk incontrano i suoni del lontano oriente. “Ikaro” è, dunque, un album dall’originale tratto stilistico che non mancherà di entusiasmare quanti lo ascolteranno.

Très Manouche – Musique de Couple (Rox Records, 2017)
“Musique de Couple” è questo il titolo del disco di debutto dei Très Manouche, formazione composta da Stefano Venturini (chitarra solista), Andrea Balgera (contrabbasso) e Dario (chitarra ritmica e chiviola), tre strumentisti accomunati dalla medesima passione per il jazz manouche che, da qualche anno, hanno intrapreso un comune percorso di ricerca volto a proporre composizioni originali che si inseriscono nel sentiero tracciato da Django Reinhardt. Registrato e mixato al Laboratorio Musicale di Lecco, il disco si compone di undici brani firmati da Venturini ed arrangiati dal trio con la partecipazione di Sarah Leo (violino), Guido Bombardieri (clarinetto e sax soprano), e Saro Galandi (fisarmonica). Caratterizzati da trame melodiche semplici ed allo stesso tempo eleganti ed evocative, i brani si svelano durante l’ascolto in tutto il loro fascino a partire dalla gustosa “Mazurka dell’acqua” che apre il disco e ci introduce allo scottish “La Chouette Sur La Comode” e alle atmosfere di primo Novecento del valzer “Cafe Chantant”. Se la mazurka “Sur les point de pieds” e lo scottish lento “Amour Derniere” mettono in luce cromatismi sonori passionali, le successive “Le chateau de Glace” e “La Nouvelle Danse” si caratterizzano per un andamento più trascinante. La mazurka “Mosaique”, lo scottish “Promenade” e la riflessiva “Nostalgie” ci accompagnano al finale con la brillante “Fantasie” che completa una accattivante raccolta di brani che dal vivo promettono di regalare belle emozioni.

Tutti i dischi della Rox Records possono essere acquistati online sul sito www.roxrecords.it


Salvatore Esposito

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