Pentangle – Finale: An Evening With Pentangle (Topic, 2016)

Un’abile strategia promozionale della Topic, storica e gloriosa etichetta britannica, ha anticipato sul sito e sui social network – perfino con una pagina Facebook creata ad hoc – la stampa del doppio CD di almeno tre mesi rispetto alla data dell’uscita, prevista il 7 ottobre, con una comunicazione quasi giornaliera per far crescere interesse e aspettative. Il digipack, in un’elegante confezione ma priva di qualsiasi apparato critico (il libretto contiene solo un paio di foto, la tracklist e le location dove è stato registrato ogni singolo brano) documenta la reunion della storica band inglese per una tournée di dodici date con la formazione nella sua line-up originale, con John Renbourn e Bert Jansch alle chitarre, Danny Thompson al contrabbasso, Terry Cox alla batteria e naturalmente Jacqui McShee alla voce. Il programma rispecchia quello dei concerti del tour del 2008 (e anche delle sparute date del 2011, di cui sono stato testimone oculare), vale a dire tutti i classici della produzione Pentangle, dal primo eponimo album del 1967 all’ultimo “Solomon Seal” del 1973, da “Light Flight” a “Cruel Sister”, da “House Carpenter” a “Bruton Town”, da “Wedding Dress” alla davisiana “I've Got a Feeling”, con alcune sorprese, come la dimenticata “Market Song” e “The Time has Come”, un brano di Anne Briggs originariamente presente nel disco “Bert and John” e qui affidato alla voce di Jacqui. Ancora, la suite “Pentangling”, gli strumentali “In Time”, con tanto di assolo di batteria suonata con le mani, e l’omaggio a Mingus di “Goodbye Pork-Pie Hat”. Oltre che documento imprescindibile, il disco è magnifico: ben registrato, (abbastanza) ben mixato (anche se la chitarra di John spesso è troppo alta rispetto al resto e un rattoppo sul primo inciso strumentale di “Cruel Sister” è chiaramente una maldestra operazione di post-produzione), ma sono le cinque individualità a venire fuori alla grande, consegnandoci una band rodata e in forma smagliante, a dispetto dei trentacinque anni di distanza dall’ultimo disco realizzato con questa formazione. La voce di Jacqui ma anche quella di Bert e le armonie di Terry Cox, sono sublimi come lo erano quarant’anni prima, le chitarre disegnano figure ineguagliabili e ineguagliate, Danny Thompson è semplicemente il miglior contrabbassista della storia della popular music e Terry Cox, che si dice avesse appeso le bacchette al chiodo da dieci anni, è semplicemente impeccabile. “Finale” regala una serie notevole di emozioni, dall’ingresso del banjo e del sitar in “House Carpenter” al contrappunto delle voci in “Once I had Sweetheart, fino a una “The Snows they Melt the Soonest”, tirata fuori dai solchi di “Solomon's Seal”, ma da sempre nel repertorio di Renbourn, tanto da aver scordato che esisteva anche una versione della band cantata da Jansch. In una recentissima intervista Jacqui McShee ha rimarcato come prima Bert e poi John e lei stessa avessero lavorato alla track-list e collaborato al missaggio. Rimane il solo grande rammarico che un disco così bello non possa essere celebrato con una lunga tournée, date le dipartite di Bert e John. 


Gianluca Dessì

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