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“Musiche migranti di resistenza, orgoglio e memoria” è il sottotitolo del CD di ventiquattro tracce, curato da Alessandro Portelli, edito dall’etichetta friulana nel formato libro-CD (block-Nota) e realizzato in collaborazione con il Circolo Gianni Bosio e l’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi. In realtà, “We are not going back” è la terza produzione discografica del progetto “Roma Forestiera” (dal titolo di una canzone romana che nel 1949 lamentava la fine della musica dalle strade delle città, soppiantata dalla radio e dalla popular music d’oltreoceano), iniziato nel 2009, che si prefigge
di indagare le musiche di quei migranti che hanno riportato la musica nelle nostre strade. Prima ci sono stati “Istaraniyeri - Musiche migranti a Roma” e “Yo Soy El Descendiente” della coppia ecuadoriana Janeth Chiliquinga e Sergio Cadena. Scrive Sandro Portelli nella presentazione del CD: «Quando parliamo di musica popolare, parliamo sempre di “radici”, come se la musica fosse obbligata a restare sempre nello steso posto. Ma dovremmo parlare di ali, e dovremmo parlare di piedi: la musica è immateriale, non conosce confini, attraversa mari e deserti, seguendo i passi dei migranti, dei rifugiati, degli esuli, dei viaggiatori. Non sono radici del passato, sono semi del futuro portati dal vento».
Insomma, siamo al cospetto di una ricognizione antropologica dei suoni di una rinnovata Italia ibrida. Valter Colle di Nota Records, da sempre propenso a effettuare riprese sonore in funzione, a documentare tradizioni ancora vive, ad acquisire documenti, nella convinzione della necessità di raccogliere hic et nunc sulla base della “urgent anthropology”, ha riconosciuto la rilevanza culturale e sonora di queste espressioni. L’eminente africanista Alessandro Triulzi, da parte, nel suo scritto introduttivo rileva come siamo di fronte a «un tuffo salutare nell’Italia multiculturale che si sta formando sotto i nostri occhi, e che cresce, si consolida, ricorda o ammonisce, e con questo CD ci ‘ragiona e canta’, al di là e al di sopra delle cronaca appiattita riportata dai giornali e dal circuito mediatico del prime time». Tocca poi al leader dei Têtes de Bois, Andrea Satta, accompagnarci a Ventimiglia sulla soglia d’Europa per ascoltare la voce dei migranti, accampati sugli scogli della città frontaliera fino all’intervento ‘risolutore’ delle forze dell’ordine.
Seguono brani di passione, di dolcezza ardente, di resistenza, canti di esilio, di memoria e di speranza nel futuro, cantati da autori, molti dei quali sono ormai cittadini italiani come Jagjit Raj Mehta, di origine indiana, che canta “Vengo da lontano” o Steve Emejuru nigeriano, musicista e mediatore culturale, da più di tre decenni in Italia, registrato durante una cerimonia commemorativa all’Esquilino in Roma per i morti nel Mar Mediterraneo. Nel solco della grande tradizione poetica orale somala è “Istaranyeri baan ahai” di Geedi Kuule Yusuf. Si prosegue con il canto accompagnato dal damborà – un liuto a manico lungo – dell’afghano Rahullah Tahavi. Risignificando i versi patriottici hindi, la sarta sikh Daljit Kaur intona appelli contro la discriminazione. Slittamento di senso anche nel canto “Anak” del lavoratore filippino Camilio Cosmecio, intriso di nostalgia per un figlio lontano o nella struggente melopea della poetessa e attivista curda Hevi Dilara (“Dayê”), la cui voce appoggiata al timbro chiaro della baglama del fratello Idris kaya, canta del genocidio dei curdi perpetrato dall’esercito turco nel 1938.
Dall’Europa orientale la voce di Teodor Bogdan, suonatore di strada romeno ci riporta ai tempi degli haiduk, i briganti balcanici, con “Amintirer cu haiduk”, canzone proposta in medley con “Viunu Doamne”, scritta dal folksinger romeno Valeriu Sterian negli anni Settanta. A sorpresa, c’è pure “We shall overcome” nella versione bengalese di Sushmita Sultana, direttrice del coro multietnico “Romolo Balzani”. Di nuovo dal Kurdistan turco la voce di Serhat Akbal (“Adarê”)e di Abdurrahman ‘Mamoste ’Ozel che imbraccia il saz nel brano “Hernepès”. Dall’Africa subsharaiana, ecco la kora del senegalese Madya Diebate, il cui “Babalingò” (“Tra le onde”) fa parte della colonna colonna sonora del docu-film “Va’ Pensiero. Storie ambulanti”, diretto da Dagmawi Yimer. Con parole semplici e immediate, il mauritano Douaye Adallah invoca il risveglio dell’Africa, mentre un’altra kora è pizzicata dal senegalese Pape Siriman Kanouté in un canto di elogio nello stile dei jali (“Kareme Bourema”).
Non mancano nomi noti nella scena musicale world italiana, come il cantante Badarà Seck (“Respecter Italia”), collaboratore di Luigi Cinque e dell’Orchestra di Piazza Vittorio, e Gabriella Ghermandi, scrittrice e cantante, la quale presenta “Tew Belew”, il canto in amarico dei patrioti etiopi indirizzato alle truppe italiane che in epoca fascista si accingevano a occupare il paese dell’Africa Orientale, monito alle nostre nefandezze storiche che abbiamo rimosso sotto la coltre di “italiani brava gente”, e che si rinnova ad ogni ‘ingerenza umanitaria’. Suggello finale sono gli stornelli d’esilio anarchici di “Nostra patria è il mondo intero” ripresi da Sanchari Sangeetayan, maestra di danza e musica di tanti nuovi italiani a Tor Pignattara, e da Sara Modigliani alla chitarra. “Non torneremo indietro” scatta una fotografia emozionale di preziosi intrecci e di crocevia sonori di un’Italia multiculturale.
Ciro De Rosa
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