Riccardo Chiarion – Waves (Caligola Records, 2015)

Riccardo Chiarion è un chitarrista rodato che con “Waves”, il suo nuovo album, raccoglie un sestetto raffinato a cui affida una sequenza di brani (in tutto sono undici) lirici, delicati e allo stesso tempo pungenti. Un insieme di suggestioni che si avvolgono l’una sull’altra con la stessa armonia con cui gli strumenti e le esecuzioni scivolano gli uni sugli altri, definendo il profilo di una produzione elegante ma non pedante, spoglia ma non povera. La sensazione generale che orienta l’ascolto di tutto l’album – un ascolto che ha bisogno di tempo e che deve annodarsi a tutti i dettagli, soprattutto timbrici e armonici, da cui prendono forma i brani – è riconducibile innanzitutto alla competenza dei musicisti. Una competenza ovviamente tecnica, ma soprattutto capace di spingere il flusso dei suoni dentro una visione pienamente jazzistica, che abbraccia allo stesso tempo l’estemporaneità delle relazioni tra gli strumenti e la ponderatezza di una scrittura sobria, venata in alcuni tratti di un piacevole virtuosismo, con note e frasi colorate e inaspettate. Il suono può essere descritto come elettrico, sebbene sia coerentemente mitigato da una gamma timbrica molto ampia (a partire dalla chitarra) e da una strumentazione strutturalmente acustica. In questo senso vale la pena soffermarsi su “Ogni stella po ‘ncantà”, in esergo a tutto l’album. È un “piccolo” brano che introduce tutti gli altri e che l’autore affida alla voce di Diana Torto, sorretta da poche note arpeggiate di una chitarra densa e regolata su un registro basso. La fluidità del canto amalgama, in poco più di un minuto, un dialogo armonico e cadenzato, che si asciuga in modo “naturale” in un silenzio necessario, a cui è concesso solo un brevissimo tratto per introdurre “Voce”, il brano dove ricompaiono il canto e la chitarra in un contrappunto più articolato. Anche i timbri sono ripresi dal brano precedente: Chiarion rimane su frasi melodiche spesse e dense. In un primo momento sostiene e segue in unisono la voce, poi traina gli altri strumenti (batteria, contrabbasso e pianoforte, suonati rispettivamente da Luca Colussi, Alessandro Turchet e John Tylor) in uno spazio nuovo, più dinamico e ritmato. Lo schema viene ripreso dopo il secondo intermezzo vocale, nel quale il piano prende la parola e saltella su una base ritmica solida ancorché sfuggevole. La title-track “Waves” è introdotta da una frase di pianoforte sulla quale si imperniano tutti gli altri strumenti, definendo un andamento cadenzato, appena rischiarato dalla presenza del sax tenore di Julian Siegel. Il brano si configura dentro una dinamica più sviluppata, nella quale tutti gli strumenti fraseggiano e ritmano allo stesso tempo. Una dinamica che confluisce nel acanto della chitarra, che qui ha un suono più chiaro, assottigliato e si asciugato direttamente dal soffio del sax, che a sua volta fa esplodere il brano, alternando un fraseggio più estemporaneo a qualche unisono con le corde. Il brano è anche più teso degli altri, soprattutto in ragione di una sovrapposizione armonica molto efficace, che annoda la linea melodica principale fino alla chiusura. Incantevole “Come se spargesse nuvole”: è un brano cantato ma pieno di suoni sovrapposti, legati insieme da una coerenza ritmica straordinaria. La voce è un vero e proprio sollievo e riesce a ad ampliare il raggio sonoro fino a far emergere in primo piano il contrabbasso, che si prolunga in un solo ligneo e intransigente, fino allo squillo della chitarra. Chiarion riesce qui a voltare pagina, alterando del tutto l’andamento del brano con una serie di fraseggi più ritmici e veloci. Fino a quando torna la voce, stavolta sopra un flusso sonoro più complesso, che sembra inghiottirla e sorreggerla allo stesso tempo. L’album si chiude con “Unknown”, una carezza indimenticabile, il cui solo incipit vale tutto l’album. Ancora in unisono la chitarra e la voce, ma l’aria è più rarefatta, come ci conferma il contrabbasso suonato con l’arco, trafitto dalle note pesanti del pianoforte.


Daniele Cestellini

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