Alessio Arena – Bestiari(o) Familiar(e) (diMusicainMusica, 2014)

Giovane scrittore e cantautore napoletano, Alessio Arena vive da anni ormai a Barcelona, e proprio dalla Spagna, terra che lo ha visto sbocciare dal punto di vista musicale, ha compiuto il viaggio di ritorno verso la sua città con il suo primo album Bestiari(o) Familiar(e), che giunge a coronamento di un lungo percorso formativo, partito a fianco del padre Gianni Lamagna della Nuova Compagnia di Canto Popolare, e culminato con la vittoria al Festival Musicultura. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare dalla sua viva voce i primi passi nel mondo della musica, la genesi e la realizzazione del suo disco di debutto, senza tralasciare i suoi progetti futuri. 

Il percorso che ti ha condotto verso la canzone d'autore, ti vede muovere i primi passi come scrittore, e come autore di teatro. Ci puoi raccontare questa prima fase della tua carriera? 
Ho iniziato a scrivere molto prima di avventurarmi a cantare le storie che volevo condividere, perché la pagina scritta e la voce, il gesto degli attori in teatro, mi facevano sicuramente sentire protetto, filtravano in qualche modo il mio messaggio, senza censurarlo, senza contraffazioni, ma facendolo correre con un’invisibile armatura. Quando invece decidi di mettere in musica e cantare le tue storie non ci può essere nient’altro: la voce non la si può vestire, neanche con anni e anni di tecnica, o almeno non nel mio caso. Se la storia che canti fa tremare, tremerà sempre anche la voce. 

Il fatto di essere figlio di uno dei membri storici della Nuova Compagnia di Canto Popolare come Gianni Lamagna, ha favorito il tuo avvicinamento alla canzone d'autore? 
Con mio padre ho imparato e scoperto tantissime cose, soprattutto di quella musica popolare “colta”, della quale è stato interprete in teatro e in dischi per diversi anni. Però i miei riferimenti vengono da più lontano, sono arrivato alla canzone d’autore che amo attraverso la letteratura, soprattutto all’Università, quando studiavo la cultura spagnola delle Americhe. 

Quali sono le tue principali influenze musicali, e i cantautori a cui ti ispiri? 
Mi piace il folklore argentino, moltissimo, e anche il rock cantautorale che è nato in questo paese con gente come Spinetta e Gustavo Cerati. Non mi ispiro a nessun cantautore in particolare, a me interessa la parola cantata e in questa direzione potrei annoverare tra i miei amatissimi “cantori di parole” scrittori come Lezama Lima, Reinaldo Arenas, Roberto Bolaño. Da adolescente ascoltavo quasi solo Pablo Milanés e Mercedes Sosa. Vivevo nel Rione Sanità di Napoli, ma come se stessi a Holguin, Cuba, o Santiago del Estero, nel desolato nord argentino. 

Come cantante ed autore hai partecipato a "La versione dell'acqua" (Merdiziano Zero, 2009) messa in musica del romanzo di L.R Carrino, "Acqua Storta", hai scritto ed interpretato "L'uomo con la finestra in petto" incluso nel cd "Canzoni" (Magma, 2009), ma soprattuto hai pubblicato già un EP "Autorretrato de ciudad invisible" (diMusicaInMusica, 2011). Ci puoi raccontare questi tuoi primi passi da cantautore? 
Quella con Carrino è stata forse la mia prima incisione: insicuro, impreciso, avevo avuto poco tempo per scrivere le canzoni, a Madrid, dove vivevo all’epoca, mentre lavoravo a quello che poi sarebbe stato il mio primo romanzo, e poco tempo poi per cantarle in uno studio a Roma. Ho fatto qualche altra incisione in Italia, ma dopo, trasferitomi in Spagna, ho cominciato a suonare in diversi locali, tra Madrid e Barcellona, scoprendo una scena cantautorale iberica vivissima anche se con riferimenti e motivi e sonorità condivise un po’ da tutti. Per questo ho deciso poi di incidere il mio primo Ep, interamente in spagnolo, (con una cover in catalano di un celebre pezzo di Joan Manel Serrat e un fado fantasma in portoghese) ma suonandolo e producendolo nella campagna casertana, dalla NCCP. 

In una intervista con Federico Vacalebre hai detto: "Per me cantare è uno striptease emozionale, il mio sogno, come quello di tutti gli italiani che se ne sono andati, è di ritornare, a casa, a Napoli". Come è nata l'idea di trasferirti in Spagna, e soprattutto quanto ti manca Napoli a livello di ispirazioni? 
Per fortuna posso ormai azzardarmi a dire che vivo a cavallo tra Barcellona e Napoli, perché il mio lavoro, anche se con piccolissimi passi, si muove ancora in Italia, visto che faccio concerti, con diverse formazioni, qui e lì, e perché ho un editore italiano e i miei libri escono ancora, soltanto, in Italia. Napoli è il cuore pulsante di gran parte della mia opera, ma è un cuore infartuato, spostato a sinistra e poi a destra, un cuore invisibile, a volte, che si rimpicciolisce fino a sparire. Napoli mi manca sempre, ma il fatto strano, inspiegabile, meravigliosamente letterario, romanzesco, è che Napoli mi manca soprattutto quando sono a Napoli. 

Ci puoi parlare del tuo processo creativo? Come nascono le tue canzoni? 
È un processo quasi schizofrenico. Non so mai se un’idea originaria potrà diventare un testo per il teatro, un romanzo, o una canzone. Certo le ultime rispondono a un’esigenza, un’urgenza del tutto diversa. Se scrivo una canzone posso subito condividerla nel prossimo concerto. Per un romanzo, o ancora più per un’opera teatrale ci sono filtri e scremature impensabili per una canzone, almeno nel mio caso. Non scrivo di notte, come la stragrande maggioranza degli artisti miei coetanei. Quando ero single mi portavo la chitarra nel letto, ma poi mi addormentavo subito e rischiavo di farla cadere. Scrivo e compongo durante il giorno, mentre sto cucinando, quasi sempre. Così sento di rispondere doppiamente a un bisogno del tutto naturale e condivisibile, come quello di alimentarmi. 

Il tuo primo album "Bestiari(o) familiar(e)" mette insieme le due anime del tuo songwriting, quella napoletana e quella spagnola. Il risultato è una sorta di album doppio, riassunto molto bene dalle due tonalità della copertina. Come nasce questo disco? 
Avevo pensato addirittura a due edizioni del disco, una spagnola e l’altra italiana, ma poi ho realizzato che sarebbe stato censurare una parte di me. Il disco, al di là della doppia produzione, dei viaggi di andata e ritorno che ha dovuto fare, dei musicisti, tanti e validissimi, che ha ospitato, risponde a una primaria esigenza di sincerità: se in una canzone racconto una storia che ho vissuto in catalano, non posso pensare di cantarla in napoletano. E così anche al contrario. Per questo ci sono canzoni che riportano queste quattro lingue che parlo e nelle quali vivo, quasi sempre improvvisando. 

Come si sono svolte le session del disco in Spagna e quelle in Italia? 
È nata prima la parte italiana, “Ajere”, anche se nel disco viene dopo, perché il passato per me è quel concentrato di vita che spingiamo sempre in avanti, che proiettiamo verso nord, che sembra esserci sempre, e anche “dopo”. Erano i giorni prima di Musicultura, il festival al quale avrei partecipato con “Tutto quello che so dei satelliti di Urano”, canzone risultata poi vincitrice della rassegna. 

Quali sono le ispirazioni alla base delle canzoni di "Bestiari(o) familiar(e)"? 
Il disco è una specie di radiografia di una famiglia in continua evoluzione e trasfigurata dalle sue storie, a partire dalle ninna nanne dei nonni, fino agli esorcismi e alle epifanie infantili di figli e nipoti. Certo sono canzoni molto personali, che scavano nella mia biografia, ma poi il racconto si rilassa su toni più archetipici, quindi chiunque potrà riconoscersi in queste storie. Come si è indirizzato il tuo lavoro in fase di arrangiamento dei brani? Quello che volevo era che la parte catalano/spagnola riprendesse un po’ i suoni della musica che respiro a Barcellona: un pop con molta strumentazione classica, quasi barocco. Gli arrangiamenti sono stati affidati a Clara Peya, per prima, a Toni Pagès, e a Milche Signore (NCCP) per la parte italiana. Normalmente, quando ho composto il brano, ho già un’idea di un possibile arrangiamento. Poi è probabile che i miei collaboratori propongano altre soluzioni, delle quale, quasi sempre, è facile innamorarsi. 

Quali, invece, sono state le difficoltà che hai incontrato in fase di produzione di questo disco? 
Le difficoltà per produrre un disco sono sempre presenti dietro l’angolo. Nel mio caso la situazione era davvero complicata, anche logisticamente. Per fortuna ho potuto contare sull’aiuto di musicisti che hanno lavorato per il solo piacere di esserci. 

Quanto è stato importante il sostegno che hai avuto grazie al crowdfunding? 
È stato molto importante. Non so come avrei fatto se non avessi avuto il sostegno di moltissima gente. Poi, a disco prodotto, è stato quasi un incubo. Ho dovuto fare spedizioni per le Filippine, per Santo Domingo, per l’Australia. Ho quasi vissuto nella sede centrale di Correos Españoles per un bel po’ di mesi. 

Come sarà "Bestiari(o) familiar(e)" dal vivo? 
In Italia lo propongo soprattutto in trio, accompagnato da Giosi Cincotti al piano e alla fisarmonica e da Arcangelo Michele Caso, al violoncello. Sono i due musicisti che meglio conoscono il mio modo di intendere la musica. Per me suonare con loro è sempre una festa. In Spagna mi affido a un vero maestro di cerimonie come Toni Pagès, percussionista, pianista, produttore, direttore di scena e amico fraterno. Insieme a noi due ci sono Vic Moliner al contrabasso, Núria Galvañ al violoncello, e a seconda delle disponibilità, Pau Figueres o Adrià Plana, due giovanissimi chitarristi tra i più bravi della scena musicale catalana. Concludendo, da artista eclettico quale sei non puoi non svelarci qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri... Da qualche giorno, nelle librerie italiane è arrivato il mio terzo romanzo, “La letteratura tamil a Napoli” (Neri Pozza), il che mi riempie di gioia e di timori, come sempre. Farò un tour italiano di presentazioni, tra festival e librerie. Ovviamente sempre chitarra in spalla, perché Bestiari(o) familiar(e) si sposa alla perfezione con molte delle atmosfere del libro. In Spgna è invece appena uscito un disco della pianista Clara Peya, una sinfonia contemporanea raccontata attraverso le quattro stagioni dell’anno, come quelle di Vivaldi. Per ogni stagione c’è un interprete. Nel disco canto insieme a Ferran Savall, figlio del celebratissimo Jordi, e alle brave Rusó Sala e Judit Neddermann. 



Alessio Arena – Bestiari(o) Familiar(e) (diMusicainMusica, 2014) 
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Sorpresa tra le più interessanti del nuovo fermento musicale che anima la scena napoletana, Alessio Arena giunge al suo debutto con “Bestiari(o) Familiar(e)”, disco nato tra l’Italia e la Spagna, e nel quale è possibile apprezzare a pieno non solo tutto il suo talento come songwriter, ma anche tutta la ricchezza del suo bagaglio culturale ed artistico. In questo senso il fatto di essere figlio d’arte sembra acquisire un peso relativo, in quanto nei diciassette brani di questa sua opera prima, emerge una cifra artistica personalissima in cui si mescolano le radici della musica tradizionale napoletana appresa al fianco del papà, Gianni Lamagna, storico componente della Nuova Compagnia di Canto Popolare, ma anche la sua passione per il sincretismo sonoro alla generazione della nueva trova cubana, da Silvio Rodriguez a Pablo Milanes fino a toccare l’uruguayano Jorge Drexler. Queste due anime si riflettono nelle due tonalità della foto di copertina, che evoca le due parti in cui è diviso il disco, la prima “Avui” presenta brani scritti ed interpretati in catalano e spagnolo, con gli arrangiamenti della pianista Clara Peya, del batterista Toni Pagès e la partecipazioni di giovanissimi e talentuosi musicisti come Elena Gadel, Judit Neddermann, Vic Moliner e Giancarlo Arena, la seconda “Ajere” lo vede alle prese con l’italiano e il napoletano, e nasce sotto la stella della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Due dischi in uno, insomma, che sarebbero potuti essere due bei vinile tutti da ascoltare se ci trovassimo nel 1970, ma nell’epoca di musica digitale è già una scommessa riuscire a pubblicare un cd, e in questo caso non sarebbe stato possibile se non con il sostegno di una campagna di crowdfunding, che ne ha finanziato la realizzazione. Nel suo insieme il disco è un vero e proprio diario sonoro nel quale, tra lingue e città diverse, Alessio Arena ci offre le sue riflessioni sul presente e sul passato, sull’identità in continuo evolversi e le proprie radici familiari, senza dimenticare la sua anima letteraria che instilla in ogni brano poesia e suggestioni. Sospesa tra colte sonorità pop e aperture world, la voce del cantautore napoletano ci regala momenti di grande intensità, tanto quando è alle prese con lo spagnolo e le sonorità latin, come nel caso dell’iniziale “La Meva Mentida Preciosa”, o della sinuosa “Una Dona Que Es Diu Muntanya” cantata in duetto con Elena Gadel, o ancora della pianistica “Cançó De Bressol Per A Un Nen De 100 Anys”, quanto soprattutto con il napoletano dove lo cogliamo al suo meglio con brani di pregevole fattura come “Luntano”, la struggente “’Ntonietta (Torino, 1959) e “Vocca E Rummore”. Non manca qualche bella sorpresa nell’ambito della canzone d’autore in senso più stretto come nel caso del singolo “Tutto Quello Che So Dei Satelliti di Urano”, nella quale si apprezza tutto lo spessore del suo approccio poetico. Insomma “Bestiari(o) Familiar(e) è un ottimo disco di debutto, e siamo certi che nel prossimo futuro Alessio Arena saprà riservarci altre interessanti sorprese.



Salvatore Esposito

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