Totore Chessa, maestro di organetto: attività musicali e culturali (seconda parte)

Come organettista, Totore Chessa si è formato accompagnando nei balli il Gruppo Folk di Irgoli, ma il sodalizio con questa formazione si è interrotto nei primi anni Ottanta. Ha continuato a suonare come solista, poi ha istituito il “Gruppo Folk Tradizioni Popolari” che, dal 1987, coordina e dirige. «Quando abbiamo iniziato, non eravamo molto documentati, applicandoci abbiamo capito che cosa potevamo migliorare. Abbiamo cercato sempre di correggere in meglio. Negli anni, abbiamo ricevuto consensi enormi che sono importanti, ma ancora più importante è la passione per il proprio paese e per la Sardegna. Io sono severo sulle regole e sui dettagli come l’uso della “berritta” (il cappello) o il copricapo della donna (“su mucatore”). Non averlo nel costume femminile per me è un sacrilegio. I dettagli nell’abito e nel ballo sono importanti e chi se ne intende lo sa».

I “Cambales” 
Il Gruppo di Chessa presenta i balli del paese secondo la moda prevalente, con esibizioni a coppie miste. Un po’ stanco di questo modello, nel 1996, ha voluto istituire i “Cambales”, gruppo composto di soli uomini. «Il ballo sardo è vario, balla chi c’è in piazza in un certo momento. Donne con donne, uomini con uomini. La coppia non è una regola fissa. Una volta un’esperta mi ha fatto notare che il ballo dovrebbe essere legato al corteggiamento. Sì, c’è anche quest’aspetto, ma cosa vuol dire che un uomo sposato con figli non potrebbe ballare con un’altra donna? No, non è così! Il ballo è anche un momento d’incontro tra i componenti di uno stesso paese. È una forma di divertimento del corpo e della mente. Ovviamente c’è anche il corteggiamento, importantissimo in passato e oggi, ma il ballo bisogna vederlo nella sua complessità». Il Gruppo “Cambales”, agli esordi, fece discutere (anche sulla stampa) sia per l’atipica composizione sia per la scelta dell’abito in velluto all’antica. Prima di decidere i capi d’abbigliamento, Chessa ha svolto ricerche tra i ballerini storici del suo paese e tra gli anziani, evidenziando che i “cambales” (i gambali, alti stivaloni) venivano usati dai pastori ma, a Irgoli, pure da diversi “massajos” (contadini). L’abbigliamento in velluto con i gambali poteva essere usato anche per i matrimoni. Da un appendiabiti situato nello scantinato dove è solito esercitarsi, con una certa concitazione, Totore afferra un paio di pantaloni che hanno una cinquantina d’anni. «Questi pantaloni sono in velluto “Visconti” di una volta. 
Si erano rovinati per cui ho chiesto di mettere dei robusti “tamponi” di rinforzo, come usavano coloro che un tempo si muovevano a cavallo. Questo è un abito vero, non è “roba ’e buttega” (materiale da bottega). Questo discorso degli abiti l’ho portato avanti con i concerti ma anche con le mostre». Per Totore Chessa l’abito è importante per “come lo si vive” nel quotidiano, nel rispetto del passato e della varietà dei costumi sardi. Per lui è necessario affermare l’identità locale tramite l’abbigliamento, soprattutto oggi che le nuove generazioni vestono, come dice lui, a “sa tzivile” (alla civile). Con toni nostalgici parla delle donne più anziane che vestono a “s’antica” (secondo il modo antico). Tuttavia, fa notare, «dagli abiti in orbace o in velluto a quelli di jeans c’è un passaggio che per me è giusto documentare, poiché rappresentano una parte della storia delle comunità sarde. Il ballo, però, non è solo abbigliamento tradizionale, ma anche desiderio di sentirsi uniti, di stare insieme allegramente, di festeggiare secondo consuetudini in evoluzione. Io non suono come suonava l’anziano suonatore di organetto di Irgoli quando ero ragazzino». Rispetto agli abiti dei “Cambales” e alla scelta del ballo tra maschi, Totore mi dice di essere poco interessato alle critiche ricevute per le scelte stilistiche anche perché ha avuto modo di vedere documenti d’epoca in cui si vedono ballare solo uomini. E ciò non solo in Baronia ma anche in altre parti dell’Isola. Chiarito quest’aspetto, vi è da dire che i ballerini del Gruppo producono un certo effetto sul pubblico, sia per le coreografie sia per l’originale connotazione scenica rispetto agli altri gruppi sardi che si esibiscono a coppie miste. Naturalmente nelle esecuzioni coreutiche conta molto anche il suono dell’organetto di Totore, che nell’Isola è divenuto un’icona musicale.

Il Festival dell’Organetto e la fisarmonica di Castagnari 
Come anticipato nella prima parte del contributo, nel 1986, Chessa diventa ideatore e organizzatore del “Festival dell’Organetto”. Dopo aver partecipato a diversi festival europei, volle realizzare uno in Sardegna, con l’obiettivo di documentare e far incontrare in una stessa manifestazione tanti suonatori popolari, valorizzando le micro varianti esecutive del ballo. Ebbe subito l’appoggio finanziario della “Pro Loco”, in seguito pure di altri Enti pubblici. «Inizialmente invitavo solo suonatori sardi. Poco per volta anche altri suonatori di livello, italiani o europei (Francia, Paesi Baschi, Russia, Grecia, Austria etc.). Dopo ventitré edizioni il Festival è considerato come una delle principali feste di Irgoli, che oltretutto fa affluire molti turisti e un pubblico sempre numeroso. Lo spettacolo sul palco è importante, ma il bello è quando la gente inizia a ballare in piazza spontaneamente, come una volta». Durante la prima edizione (1986), Francesco Giannattasio dedicò una circostanziata presentazione sull’evoluzione dell’organetto, che per diversi decenni mandò in crisi gli strumenti più antichi della tradizione, come, ad esempio, le launeddas. Come spettatore, ricordo un palco di ridotte dimensioni. A fine concerto, a favore dei compaesani, tziu Tonareddhu (l’anziano organettista di Irgoli) eseguì i balli con stile inconfondibile, lento, caratterizzato da frasi melodiche minime, scevre da tecnicismo. L’intera edizione venne filmata da Martino Corimbi (oggi direttore di “RadiuSupramonte”), ma in seguito la registrazione fu inavvertitamente sovra incisa. 
Chessa è conosciuto soprattutto come organettista, ma suona anche la fisarmonica, cui tiene particolarmente, perché gli ha permesso di progredire nella conoscenza della teoria musicale e di entrare in contatto con i Castagnari, con i quali costruttori, nel tempo, ha stretto fraterna amicizia. Totore mi ha raccontato che un giorno (nei primi anni Ottanta) era andato nella loro azienda con Riccardo Tesi, con l’intenzione di farsi realizzare un organetto. Durante la visita rimase affascinato dalle fisarmoniche cromatiche a bottoni. Possedeva già la fisarmonica diatonica (con la tastiera sul tipo di quella del pianoforte), ma volle ordinare una cromatica, per studiarla con criterio. Subito dopo l’acquisto, comprò due metodi. Uno di teoria musicale, grazie al quale imparò a leggere la musica su pentagramma (capacità che in seguito gli permise di affrontare l’esame in Siae e di trascriversi le suonate per il ballo). L’altro metodo era specifico per fisarmonica, scritto da Luigi Oreste Anzaghi. Totore iniziò così ad approfondire la tecnica, con scale, arpeggi e accordi, riscontrando una varietà nell’armonia, impensabile con l’organetto. «Lo strumento è musicalmente completo anche da un punto di vista dei colori musicali. Con la fisarmonica è richiesto un maggiore coinvolgimento muscolare della mano. Tutte le dita sono impegnate. Tanto è completa la fisarmonica che i Francesi la chiamano “pianoforte con le bretelle”. Io la uso soprattutto quando devo accompagnare Gruppi folk come quello di “Ittiri Cannedu”. C’è sempre qualcosa da imparare. In particolare la fisarmonica richiede esercizi di riscaldamento che non sono solito fare con l’organetto. Spesso non c’è il tempo. Si arriva, si sta un po’ con gli amici o gli organizzatori, poi si sale sul palco e si deve suonare. Di sovente inizio le serate musicali con “su passu torrau”». 

“Organittos” e il successo discografico 
Da un punto discografico, Totore Chessa è assai conosciuto grazie alla pubblicazione del cd “Organittos”, del 1996, verosimilmente la produzione dedicata all’organetto sardo più venduta e apprezzata nella regione, in Italia e all’estero. L’edizione è stata curata da una casa discografica continentale. Totore ritiene che sia stato un bene, perché il cd è stato promosso attraverso i giusti canali e “ha iniziato a viaggiare anche all’estero, presente in tutti i negozi specializzati di musica popolare”. “Organittos” è stato concepito dal suonatore di Irgoli come una raccolta comprendente una parte dei balli che tutt’oggi è solito eseguire nei diversi paesi durante l’attività musicale. Per i giovani suonatori sardi, il disco è considerato pietra miliare, di conseguenza è assai imitato melodicamente (lo studio delle “picchiatas”) e nello stile esecutivo, caratterizzato dalla capacità di muovere il mantice dello strumento con vigore ed espressività. Il suonatore popolare ha conseguito numerosi successi, ma costantemente si mette in gioco, migliorandosi e arricchendo il proprio repertorio. Da qualche tempo sta lavorando per ampliare la raccolta dei balli, per cui presto potrebbe tornare a incidere in sala di registrazione. «A volte mi piace addirittura suonare senza regole, senza mantenere la struttura dei balli sardi. Sul palco e quando mi chiamano nei paesi, ho una responsabilità e devo suonare mettendo del mio, ma nel rispetto del passato e del presente che appartiene a tutti i sardi. Quando sono solo a provare, allora mi lascio andare e capisco che ci sarebbe molto da studiare e sperimentare con l’organetto. Nel tempo, mi piacerebbe allargare il repertorio con delle suonate che fuoriescono dal repertorio tradizionale. Vedremo!». Ho chiesto a Totore di parlarmi del suo rapporto con la musica sperimentale, e, in generale, con la cosiddetta “world music”. I balli sardi sono per lui solida radice, pur nell’inevitabile evoluzione sonora rapportata all’amplificazione elettrica e al moderno utilizzo della musica. Non disdegna, tuttavia, di suonare musica sperimentale. La trova stimolante e interessante, ma la considera legata a specifici eventi o a collaborazioni sporadiche, non è tradizione o storia delle comunità sarde. Attraverso i dischi, Chessa ascolta molta musica per strumenti aerofoni a mantice. Negli anni ha avuto modo di conoscere importanti interpreti internazionali di organetto e fisarmonica. Si è appassionato, studiando la storia, l’organologia, le tecniche esecutive, la socialità musicale nelle diverse società. «Io ascolto tutto ciò che riguarda organetti e fisarmoniche: per “musette” francese, per “bandoneon” o per fisarmonica secondo la concezione dei romagnoli, dei russi, dei bulgari etc. Mi piace tutta e ascoltandola spesso mi viene il desiderio di documentarmi, allora inizio a fare ricerche personali. Tutto quello che imparo, lo riverso, poi, nei miei stage, durante le conferenze o nelle mostre. Peraltro, vorrei darmi da fare per realizzare un testo sull’organetto e la fisarmonica come piace a me (stile multimediale). Ho per la testa diverse idee, spero di riuscire a concretizzarle». 

Il suono e il saluto in Piazza 
A Totore parlare piace, ma la passione lo spinge verso la musica. Mi conduce a visitare la collezione di strumenti musicali (al momento più di centotrenta), ognuno con una particolarità, una storia, compresa quella del suo artigiano costruttore. Sull’argomento potrebbe parlare per ore ininterrottamente. Su un tavolo ha pronto l’organetto del suonatore di Meana Sardo, Francesco Fulghesu, che ha appena aggiustato. Sì perché Chessa, nel tempo libero, ha anche imparato a smontare gli strumenti a mantice e a “sistemarli”, come dice lui, per la regolazione delle ance o delle meccaniche. Stando vicino a organetti e fisarmoniche l’istinto è irresistibile. Imbracciato il suo Castagnari, inizia a suonare su “ballu brincu”. Del suo strumento mi fa notare alcune caratteristiche organologiche, legate ai materiali lignei utilizzati nella costruzione. Poi impugna un altro organetto di “celluloide” e riprende a suonare. A volte chiude gli occhi, altre sorride o usa lo sguardo come se volesse comunicare qualcosa al suo strumento. “Questa è la fisarmonica cromatica di cui parlavamo”, mi dice. Tempo pochi secondi, sistemata l’imbragatura, dà “unu corfu ’e mantice” (un colpo di mantice) e la musica riprende, e mentre suona commenta, come se fosse una lezione di strumento. In successione sciorina una serie di scale modulando, poi procede per accordi. Tra i suoni a ritmo di ballo sardo e lo scambio di altre informazioni si chiude l’incontro a casa sua. Sono quasi le diciannove. «Ora si va a bere qualcosa», propone Totore. L’invito da queste parti è un rito. Nella piazza il bar è il principale punto di ritrovo. Vicino ai tavolini, ci sono gli anziani seduti sulle panchine con l’immancabile “bonete” (la coppola) sul capo, i quali chiacchierano scrutando con attenzione i movimenti dei passanti e osservando gli zampilli della fontana circolare. Totore è orgoglio per il paese. Con gesti minimi saluta amici e conoscenti. Ci sediamo, giusto il tempo per le considerazioni conclusive. «Mi reputo una persona onesta. Mi sono aperto, ma sono sempre rimasto me stesso…». Partendo da questa frase ho iniziato a scrivere di lui, a favore dei nostri lettori. Mentre parla emozionato, lo osservo, sembra un giovane di vent’anni, pieno d’idee, di entusiasmo, che ha il desiderio di andare avanti a realizzare e a sperimentare. Gli occhi sono vitali ed espressivi, la “sarditas” e l’amore verso Irgoli e la sua Isola sono una costante nei ragionamenti. «È importante promuovere l’arte e la cultura in Sardegna, per troppo tempo ci hanno tenuti “ignoranti», mi precisa. Ripenso alla sua storia e al coraggio che ha avuto nell’abbandonare il lavoro nell’edilizia per amore della musica popolare, approfondita da autodidatta secondo ricerca personale. Questo è l’intraprendente Salvatore Chessa (in sardo “chessa” significa “lentischio”) – per tutti Totore – estroverso organettista di Baronia, libero professionista. Ha dato molto ai sardi ed è naturale che le Istituzioni pubbliche e le singole comunità si diano da fare per sostenerlo nel cammino artistico e nella realizzazione dei progetti culturali, permettendogli di continuare a vivere grazie ai suoni della tradizione, dando lustro e facendo allegramente ballare gli abitanti della sua amata Isola, musicalmente (ma non solo) apprezzata in tutto il mondo.



Paolo Mercurio

Foto tratte dall'archivio di Totore Chessa per gentile concessione

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