Totore Chessa, maestro di organetto tra la Sardegna e il Continente (prima parte)

«Mi sono aperto, ma sono sempre rimasto me stesso», dice Totore Chessa, il più rinomato organettista sardo, che si contraddistingue per semplicità d’animo e onestà professionale. Vigoroso, occhi vispi, fronte spaziosa, è appassionato di cultura musicale sarda e, in generale, di tutto ciò che riguarda gli strumenti aerofoni a mantice, dei quali negli anni è divenuto importante esperto. Per niente lascerebbe la sua comunità di Irgoli (NU), dove vive con la moglie e le tre figliolette. Chessa è un caposcuola. Come organettista è apprezzato in Sardegna e nel mondo, grazie ad uno stile ben riconoscibile, assai imitato tra i suonatori regionali più giovani. Come virtuoso dello strumento si è esibito in campo internazionale, è ideatore-organizzatore del “Festival dell’Organetto” di Irgoli e possiede una collezione (in continua espansione) di oltre centotrenta fisarmoniche diatoniche o cromatiche. Per primo ha inciso con successo un compact disc fuori dalla Sardegna, interamente dedicato ai balli regionali per organetto. È stato titolato “maestro del folclore” insieme a pochi altri esecutori sardi. Da pioniere, per diversi anni, ha insegnato organetto presso la Scuola Civica di Nuoro. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti di vario tipo. Avrebbe i requisiti per concedersi qualche vezzo ma Totore Chessa, com’è solito ripetere, desidera “rimare se stesso”, un suonatore popolare che riesce a vivere di musica e che, con serietà e concretezza, deve confrontarsi giorno per giorno, mese dopo mese, con il variegato mercato musicale. È propositivo e tende sempre a vedere il lato positivo negli eventi più critici. È ricco d’idee che spera di mettere in pratica, come, ad esempio, una casa-museo dell’organetto e della fisarmonica, in un edificio costruito con le proprie mani (e l’aiuto di alcuni collaboratori), caratterizzato all’ingresso da una scala a chiocciola in cemento che possiede un’intelaiatura particolare che ricorda il mantice esteso dei suoi strumenti musicali.

Il primo approccio con lo strumento 
Totore ha raccontato di essere divenuto organettista da autodidatta, in modo “naturale” e senza forzature. La passione è maturata negli anni della pre-adolescenza. Una storia rilevante la sua, simbolo per la generazione dei suonatori formatisi musicalmente dagli anni Settanta, soprattutto con l’ascolto di musicassette e dischi. Quando era bambino, a Irgoli, esisteva un solo suonatore di organetto, detto “tziu Tonareddhu” (probabilmente per via di qualche antenato originario di Tonara). Il suo vero nome era Giovanni Dessì. Lo si ascoltava durante le principali feste del paese, come la patronale di San Nicola o quella campestre di San Michele. A volte interveniva nei matrimoni o nelle feste agresti. Da piccolo, Totore non mostrava particolare interesse per questo strumento musicale. Gli piaceva, sì, ma come tutto ciò che attiene alle tradizioni musicali locali e sarde in generale, come i canti “a tenore”, “a chitarra” o “a poesia”. Di professione spaccapietre, suo padre Giuseppe era appassionato di organetto. Verso la fine degli anni Sessanta, verosimilmente attratto dallo strumento di tziu Tonareddhu, ha manifestato il desiderio di acquistare una fisarmonica diatonica, da suonare durante i momenti conviviali con gli amici. Dove acquistarla? A Irgoli e nei paesi limitrofi del nuorese non c’erano negozi musicali e all’epoca questo strumento non era diffuso come lo è oggi. Tramite la moglie di tziu Tonareddhu, dopo lunga attesa, riuscì ad avere l’indirizzo del costruttore Paolo Soprani. Gli scrisse e, dopo qualche tempo, ricevette un opuscolo (che ancora conserva) con i modelli in vendita e i relativi costi. Lo strumento fece discutere in famiglia. Tore ricorda: «Mia mamma era contraria all’acquisto, più che altro per il prezzo elevato. Tuttavia mio babbo era deciso e, nel 1971, comprò un Paolo Soprani a otto bassi che ancora custodisco gelosamente, perché è stato il primo strumento sul quale ho imparato». 
Giuseppe Chessa da autodidatta suonava solo tra amici. Teneva con cura l’organetto sopra un mobile e non voleva si toccasse. Tuttavia trovandoselo in casa, Totore ha iniziato a suonicchiarlo di nascosto sin da quando aveva 12-13 anni, cercando di rifare a orecchio le “picchiadas” dei balli ascoltati da qualche audiocassetta. Prova oggi, prova domani, si è reso conto di progredire nella tecnica e di appassionarsi alle sonorità. La madre, signora Eufemia, brava ballerina con un buon orecchio per le musiche popolari, era particolarmente partecipe ai suoi miglioramenti e lo incitava:- “Quando sentiva una frase musicale corretta, mi diceva contenta “gai er mí !” (è proprio così!) ”. In questo modo ha continuato a esercitarsi per diversi anni. Mai un maestro o una lezione diretta: ha appreso ascoltando solo cassette di suonatori in voga, come Mondo Vercellino, Francesco Bande, Tonino Masala. «Tutto si è evoluto con naturalezza e spontaneità. Ogni giorno scoprivo qualcosa di nuovo. Nessuno mi ha mai imposto nulla. Suonavo con gusto quando avevo piacere di farlo anche perché nel frattempo, dopo la scuola dell’obbligo, avevo iniziato a lavorare nel mondo dell’edilizia. Ciò non mi ha impedito di divenire l’organettista del Gruppo di Irgoli, del quale facevo parte sin dal 1975». 

La svolta professionale 
Nel 1979, Totore riceve la chiamata a militare. Al suo ritorno, in termini musicali “tutto ha iniziato a muoversi rapidamente”. Erano anni in cui si stava (sempre più) diffondendo la moda dei Gruppi Folk. Quello irgolese veniva spesso invitato nelle feste regionali, per eseguire i balli tipici: su “ballu brincu” e su “ballittu” (altrove denominato “passu torratu”). Con fervore, Totore ricorda una festa a Talana nella quale come esecutore impressionò favorevolmente gli organizzatori, i quali gli chiesero di andare a suonare per loro durante una particolare ricorrenza. Per Chessa era una novità in quanto, sino a quel momento, si era prodigato solo per i propri compaesani o tra amici, ricevendo al massimo “s’istrina” (la mancia, offerta al suonatore come segno di riconoscimento). Rimase imbarazzato ma allettato. 
Tuttavia, non guidando la macchina, sarebbe stato per lui difficoltoso raggiungere in pullman quel paese. «Mi proposero di venirmi a prendere e di riportarmi a casa. A quel punto non potevo dire di no. Alla loro festa, stetti lì per tre giorni. Un’esperienza impossibile dimenticare. Mi avevano consegnato una cassetta mezzo rovinata per ascoltare le musiche dei loro balli che avrei dovuto imparare. Me la cavai. Dal 1984, ho praticamente abbandonato il lavoro nei cantieri, provando a vivere di sola musica, perché mi chiamavano in vari paesi, per le feste patronali, per il carnevale, per i matrimoni, per i concerti come solista. Si sono aperte tante porte. È giunto un successo improvviso e inaspettato che non avevo ricercato, ma probabilmente è arrivato perché ero preparato nel momento giusto, in anni in cui c’era molta richiesta». Vivere di sola musica in Sardegna non è mai stato facile, è considerato un privilegio. In paese molti lo giudicavano un “matto”, per aver abbandonato un lavoro redditizio in cambio di uno incerto. Totore, tuttavia, è perseverante. Con coraggio e “spirito imprenditoriale tipico degli irgolesi” scelse di andare dove lo portava il cuore. Dover suonare per differenti comunità sarde, significò per lui approfondire diversi repertori, e ciò gli permise di crescere musicalmente a rizoma, secondo le richieste del momento. Per un suonatore popolare, in quegli anni (oggi le scuole per strumenti popolari sono assai diffuse), studiare significava innanzi tutto saper ascoltare, guardare e ripetere metodicamente quanto appreso. Come riferito, lui imparò ascoltando le musicassette dei suonatori in voga. Tuttavia i suoni non sono sufficienti. Per accompagnare il ballo è indispensabile saper entrare in simbiosi con gli esecutori. Per Totore è fondamentale suonare osservando i piedi muoversi e gli sguardi dei ballerini: - “Non vederli è come se mi togliessero la corrente”. Girando nelle diverse comunità (sono numerosissime), nei decenni, ha accumulato un’esperienza invidiabile. Quando invitato nei paesi, a volte, suonava i balli secondo il proprio stile e, soprattutto i più anziani, se ne accorgevano, facendolo notare: «Quello che suoni non è proprio la nostra musica, ma comunque va bene per ballare e stare in allegria». 
Tuttavia, dice Chessa, «… la realtà del mio mestiere è anche questa. È importante avere la consapevolezza che a volte si fa ballare senza suonare esattamente la musica tipica di una certa comunità. È indispensabile saper entrare in contatto con questa. Un suonatore deve entrare in simpatia con i ballerini e conoscere i movimenti dei balli sardi». Totore oltre che come accompagnatore riceve spesso richieste per esibirsi come solista durante rassegne o festival musicali anche fuori dalla Sardegna. Con cura ha raccolto tutti gli inviti e i manifesti dei luoghi in cui ha suonato in questi decenni ed è suo intendimento, appena possibile, fare ordine nel suo nutrito archivio e riportare tutto a computer, per tracciare con precisione il bilancio della sua attività strumentale. Chessa ha notato la positività delle uscite in continente e nei diversi paesi europei, da lui considerate un’opportunità decisiva in termini di crescita professionale: «Mi sono dovuto aprire, confrontandomi con stili musicali diversi da quelli sardi. Non è solo un problema di suoni, ma anche di mentalità e di organizzazione degli eventi musicali. Proprio girando fuori dalla Sardegna ho messo bene a fuoco la mia responsabilità di suonatore. In Continente non rappresento più solo il mio paese o l’accompagnatore dei balli di un altro paese. Fuori dall’Isola capisci che sei rappresentante della Sardegna. È una responsabilità che senti sulle spalle, ma ciò è stato per me di stimolo per migliorarmi in continuazione e per crescere musicalmente». Rispetto al contesto sardo, ciò che l’ha stimolato maggiormente è stata la sensibilità culturale di alcuni organizzatori nel concepire globalmente l’evento musicale, dando unitarietà a storia, tecnica, socialità, didattica e agli studi tipici dell’antropologia culturale. In merito, è opportuno rilevare che Chessa ha avuto l’onore di essere stato valorizzato da due etnomusicologi: Bernard Lortat Jacob e Francesco Giannattasio. Il primo, luminare francese, ha dedicato alla musica sarda autorevoli saggi, eleggendo Irgoli quale paese privilegiato per svolgere le proprie ricerche. 
Giannattasio, allievo di Diego Carpitella, già dagli anni Settanta, aveva concentrato la propria attenzione sulla musica sarda e, in particolare, su Dionigi Burranca (suonatore di launeddas) e sui suonatori di organetto. Docente presso l’Università di Roma, Giannattasio ha scritto diversi saggi per questo strumento popolare, ma in particolare ritengo utile menzionare un testo base monografico del 1979, titolato “L’organetto diatonico, uno strumento musicale contadino nell’era industriale” (edito da Bulzoni). Tra i tanti Festival ai quali è stato invitato, Totore Chessa rievoca con particolare piacere e affetto “Accordéon au coeur” (1983), che gli ha permesso di conoscere Marc Perrone, suonatore francese (figlio di emigrati italiani) di cui ha grande stima, organizzatore di concerti e festival dedicati agli aerofoni a mantice secondo una mentalità aperta al confronto fra i diversi stili. Perrone è noto anche per un uso eclettico dell’organetto (costruito per lui da Castagnari), utilizzato per accompagnare il canto, improvvisare, eseguire musica tradizionale ad ampio raggio (spesso si esibisce in duo con la ballerina e suonatrice di ghironda Marie-Odile Chantran), collaborando alla realizzazione di colonne sonore cinematografiche per rinomati registi francesi. Influenzato dal modo in cui Perrone concepisce gli eventi folclorici, Totore Chessa è stato stimolato a ideare e organizzare “Il Festival dell’Organetto” a Irgoli, la cui prima edizione si è svolta (in sordina) nel 1986, presentata da Giannattasio, della quale scriverò nella seconda parte del contributo unitamente al ruolo di Chessa come operatore culturale e alla sua attività discografica. Per inquadrare la poliedricità dell’organettista di Irgoli tratterò, inoltre, del sodalizio (“fraterno”) con la famiglia Castagnari (costruttori di organetti e fisarmoniche di Recanati) e dell’esperienza come coordinatore-organizzatore del Gruppo Folk “Tradizioni popolari” (dal 1987) e del Gruppo tutto maschile denominato “Cambales” (dal 1996), che agli esordi fece discutere anche per le scelte stilistiche dell’abito usato durante le esecuzioni pubbliche. 



Paolo Mercurio

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