Collettivo Dedalus e John B. Trumper – Ammâšcâ (Città del Sole/Consorzio Musicisti Calabresi, 2013)

Una produzione atipica, che è insieme libro-CD-dizionario, piazzata nella cinquina finalista delle Targhe Tenco 2013 nella categoria dialettale: non è notizia di poco conto. A dirla tutta, anche il precedente “Mari” (2010) era tra i dischi in lizza per il prestigioso premio ligure. Qualcuno, maliziosamente, potrà pure pensare ad efficaci pubbliche relazioni, ma è indubbio che alla base ci sia il riconoscimento del valore artistico dei Dedalus da parte di circa 200 giornalisti giurati del Tenco. Il collettivo cosentino ha una lunga storia artistica e di impegno intellettuale e politico, che passa attraverso la rilettura della musica popolare calabrese per poi svincolarsi dalla mera riproposta, cercando agganci con altri linguaggi e sonorità, soprattutto con l’apertura verso musiche legate a composizioni di estetica mediterranea ma non solo, prima della prematura scomparsa dalla figura del poeta-paroliere leader Enzo Costabile. Oggi, Dedalus sono Mario Artese (voce e chitarra battente), Sergio Artese (balafon e cori), Paola Dattis (voce), Franco Caccuri (basso), Carlo Cimino (contrabbasso e basso fretless), Piero Gallina (violino), Checco Pallone (tamburi a cornice, oud, mandoloncello e chitarre), Giuseppe Pallone (mandola e mandolino), Fabio Pepe (flauto e flauto basso), Nicola Pisani (sassofoni). Per l’editore Città del Sole, Il volume con CD audio Ammâšcâ inaugura la collana Tradizionario, diretta dal musicista Maurizio Cuzzocrea. Diciamo subito che siamo di fronte ad un bel connubio tra documentazione storico-linguistico-antropologica e creazione artistica, che mette al centro il gergo dei quadarari di Dipignano, paese montano del cosentino, la cui storia è contraddistinta dalla presenza di una cospicua comunità di artigiani del rame. Ammâšcâ nello slang dei calderai significa Parla! “Parlare e al tempo stesso allargare i confini della parola, percorrendo vie dimenticate, ma non rimosse. Accompagnando la parola con i suoni degli strumenti antichi e di quelli moderni, tutti però contemporanei”, scrive Cuzzocrea, introducendo il lavoro dei Dedalus. 
Ciò dovrebbe far riflettere chi ragiona di un’Italia in cui non si produce nulla di significativo: al contrario, scandagliandola da nord a sud, di fermenti, di idee e di curiosità, se ne trovano, ma occorre drizzare le orecchie e avere mente sgombra da preconcetti. Il disco nasce dalla consulenza del linguista e glottologo gallese John Bassett Trumper (accademico dell’Università della Calabria) e dai testi del poeta Franco Araniti, ispirato dalle suggestioni foniche di questa lingua iniziatica estinta: “Amore a ‘primo udito’ “, scrive l’autore nel saggio introduttivo, mosso non da nostalgie passatiste, ma dall’intento di sperimentare “armonie linguistico-sonore”, spiega ancora. Lo ricerca e la poetica di Araniti hanno trovato sponda nelle motivazioni dei Dedalus, che una volta conosciute le liriche in ammâšcânte, si sono confrontati con la scrittura di Araniti, che ha aggiunto nuove composizioni. Cosicché i calabresi hanno realizzato un’opera di 40 minuti in undici tracce, in cui convivono parola cantata, stilemi folk del sud Italia, accenti jazz, echi mediterranei, sprazzi afro, inserti classici e strutture da canzone d’autore, tra tamburi battenti, incroci di corde ed archi, flauti e sax, ora protagonisti di episodi delicati, ora di incisive sequenze sincopate. Un lavoro di sintesi sonora non facile, segno della maturità artistica del gruppo cosentino che si è dovuto confrontare con le sfumature di una duttile lingua, che ha inevitabilmente indotto scelte melodiche e ritmiche particolari. Gli stati d’animo si susseguono tra cambi di ritmo e differenti ambientazioni. Superlativa la title-track in apertura, con le sue stratificazioni soniche, sospesa tra Africa, Mediterraneo e improvvisazione jazz; invece la successiva “‘U ciuttéllu e ‘u vrua” ha una gustosa impronta manouche. Meritano una menzione speciale anche ”‘Sta ‘mbruna ‘a justrusa”, “Sântusa d’u mâšchéri” e la delicata ninna-nanna “Agghjàcia ciuttéllu agghjàcia” che chiude il disco. Altri scritti contenuti nella pubblicazione provengono dallo stesso Trumper (coautrice la linguista Marta Maddalon), e da Franco Michele Greco, autore di un intervento di carattere storico sugli artigiani del rame di Dipignano. A completare l’opera è il dizionario gergale commentato che fa accedere alla lingua segreta dei calderai. Ammâšcâ non una mescolanza incongrua, all’opposto è un unitario canto collettivo. 


Ciro De Rosa
Nuova Vecchia