Nel fermento creativo che attraversava la scena musicale italiana, e quella romana in particolare, nei primi anni Settanta, cinque strumentisti diciottenni Gaetano Delfini (tromba), Giancarlo Maurino (sassofoni), Michele Ascolese (chitarra, poi sostituito da Corrado Nofri al piano/tastiere), Peppe Caporello (contrabbasso) e Giampaolo Ascolese (batteria) unirono le forze per dare vita agli Spirale. La loro ambizione era quella di forgiare un ponte sonoro tra le raffinatezze del progressive rock inglese – genere in cui si erano formati – e l'energia improvvisativa del jazz, in particolare quello con aspirazioni free. Proporre una fusione così netta tra jazz e prog-rock in Italia a metà anni Settanta era una scelta audace. Nonostante manifestazioni come Umbria Jazz stessero allargando la platea, il jazz era percepito come musica elitaria e spesso oggetto di contestazione da parte degli Autonomi, come accadde a Todi nel 1973. I musicisti jazz facevano non poca fatica per imporsi al grande pubblico e solo confrontandosi con altre sonorità riuscirono a trovare una più vasta accettazione, come nel caso di gruppi come Area, Perigeo, Arti & Mestieri e Dedalus. In questo contesto si inseriscono anche le interazioni tra jazz e canzone d’autore come dimostrano le collaborazioni tra Enzo Jannacci e Bruno De Filippi o quella di Gino Paoli e Renato Sellani, ma anche Francesco Guccini che nella sua band aveva chiamato Ellade Bandini, Vince Tempera e Ares Tavolazzi, già con i Pleasure Machine. Gli Spirale si posero al centro di questa sfida perché, in quegli anni, proporre un disco jazz era un atto di coraggio, non solo commerciale. La loro musica non solo dialogava con le tendenze del progressive jazz anglosassone e americano, ma osava attingere anche a sonorità folkloriche italiane e africane, anticipando spunti che sarebbero poi confluiti nella world music. Il destino del gruppo cambiò grazie all'intuizione di Mario Schiano, figura centrale del free jazz italiano, che li segnalò al produttore Toni Cosenza. Di lì a poco arrivo il contratto con la King Universal di Aurelio Fierro che pubblicò il loro album eponimo alla fine del 1974 ma, così come accadde per “On The Wayting List” di Mario Schiano, non ebbe il minimo riscontro commerciale. Se il disco di Schiano restò ad appannaggio di pochi cultori, quello degli Spirale divenne un vero e proprio oggetto di culto, raggiungendo quotazioni elevate nel mercato del vinile. L’album, della durata di poco più di mezz’ora, presentava quattro brani composti da Peppe Caporello che, nel loro insieme, svelavano non solo un sound potente e dinamico, ma anche l'eccezionale affiatamento e la tecnica del quintetto. Brani come la brillante “Rising” nella quel si susseguivano aperture corali e soli, l’introspettiva "Ballata per Yanes" e i cambi continui di atmosfera di "Peperoncino" mettevano in luce la loro capacità di bilanciare assoli e piene orchestrali con improvvisazione, dinamismo, e un tocco lirico-introspettivo. A seguito di questa pubblicazione, gli Spirale si affermarono come uno dei gruppi italiani più importanti di quel periodo, partecipando a decine di festival, suonando in centinaia di concerti, incluso l'epica edizione di Umbria Jazz del 1975 al fianco di Schiano. Negli anni Ottanta, con il cosiddetto "riflusso", i membri di Spirale intrapresero percorsi solisti di altissimo livello, consolidando la loro notorietà. Giampaolo Ascolese divenne un celebre batterista jazz, suonando con i maggiori jazzisti internazionali e con artisti come Nicola Arigliano. Michele Ascolese (che aveva fatto parte della formazione iniziale) si affermò come chitarrista nella musica d'autore, collaborando a lungo con Fabrizio De André, oltre che con artisti del calibro di Paoli, Vanoni e Ramazzotti. Giancarlo Maurino spaziò tra jazz (Charlie Mingus) e musica d'autore (Peppino di Capri), lavorando anche con maestri della colonna sonora come Morricone. Infine, Peppe Caporello fu a lungo al fianco di Francesco De Gregori, dedicandosi anche alla musica classica e contemporanea. Oggi, a cinquant'anni esatti dai loro esordi, gli Spirale si ritrovano per registrare "Spirale 50th". L'opera non è un mero esercizio di nostalgia, ma un manifesto programmatico che riafferma la validità di quel peculiare approccio estetico basato sull'intersezione tra generi. Ai membri storici si aggiungono due musicisti di calibro, Claudio Cesar Corvini alla tromba e Roberto Rocchetti al piano e sintetizzatori, a testimonianza di una sintesi creativa che non teme il dialogo tra generazioni. Il disco, concepito come progetto unitario e riflessivo, si articola attraverso sette brani originali, caratterizzati da un susseguirsi di atmosfere differenti. Ad aprire il disco sono le raffinatissime architetture armoniche dell’introspettiva “Allora e adesso” di Giuseppe Caporello a cui segue "Origine" firmata da Gian Carlo Maurino che si sviluppa in una vera e propria suite di oltre nove minuti, un viaggio stratificato e imprevedibile che riscopre la pratica archetipica dell'improvvisazione. Ascoltiamo, poi, in sequenza le pregevoli "Song For A Special Lady" e "Dafirstfly Boogie" di Caporello e "TRPM (B-Side)" di Roberto Rocchetti, ma il vertice del disco arriva con l’attualissima "Why War?" una denuncia in musica contro ogni guerra che ci conduce al finale con la brillante “Daje” che chiude il disco. "Spirale 50th" è la prova che la memoria non è un limite, ma una fonte inesauribile di creatività. L'album è un continuum che non cristallizza il gruppo nel mito, ma lo rinnova, evitando la celebrazione sterile. Ascoltando l'opera, si percepisce un caldo, avvolgente jazz-rock convincente oggi come allora, dove gli arrangiamenti fondono il rispetto per la grammatica originaria degli Spirale con nuove esplorazioni timbriche. Il disco appartiene al passato solo per metà; l'altra è rivolta con determinazione al presente e, soprattutto, al futuro. È un gesto generoso di resistenza culturale che dimostra come i sedimenti del passato possano ancora essere paradigma ispiratore. Un ascolto irrinunciabile per i cultori del jazz-prog italiano e per chiunque creda nella musica come archivio vivente in continua evoluzione.
Salvatore Esposito
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