Un innovativo progetto ideato da Shaul Bassi, professore ordinario di letteratura inglese e scienze umane per l'ambiente presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, con Maddalena Pennacchia, professoressa ordinaria di Letteratura inglese all’Università Roma Tre, ha trasformato l’opera “La Tempesta” di Shakespeare in un’esperienza artistica collettiva tra suono, parola e paesaggio.
L’iniziativa nasce come laboratorio di creazione di artbook per studenti del corso di Ecologia e Letteratura di Ca’ Foscari, ideato dal prof. Bassi per esplorare le relazioni che sussistono tra immaginazione e sostenibilità. Il progetto si è poi ampliato grazie alla collaborazione con la prof.ssa Pennacchia, che ha introdotto la dimensione musicale, coinvolgendo un ensemble di musicisti internazionali in un laboratorio di sperimentazione sonora e narrativa.
Nel laboratorio, le tradizioni musicali del Mediterraneo si sono intrecciate con le atmosfere e i temi shakespeariani: la tensione tra natura e arte, l’utopia e il conflitto, la morte e la speranza. L’incontro
ha generato un repertorio originale, in cui convivono brani rinascimentali, composizioni nuove e testi poetici.
Il 24 maggio 2025, l’eco-museo del Lazzaretto Nuovo di Venezia è così diventato per un giorno l’isola de “La Tempesta”, evocando sonorità antiche e nuove, mentre la biblioteca del Duca è stata arricchita con nuovi libri magici creati dagli studenti, che indicano come ci si possa adattare a un nuovo mondo.
I musicisti coinvolti in questo progetto artistico sono: Juliano Abramovay (chitarra), Sara Maria Fantini (liuto, gittern, oud), Sarra Douik (voce, oud), Michele Gazich (voce, violino) e Maddalena Pennacchia (voce).
Il percorso ha avuto una nuova significativa tappa il 14 ottobre al Teatro Palladium di Roma intitolata “Elementi in tempesta – Concerto shakespeariano”, evento che ha restituito al pubblico il frutto del laboratorio: un viaggio sonoro e poetico attraverso i mari di Shakespeare, alla ricerca di un nuovo equilibrio tra arte, natura e umanità.
Ogni musicista ha proposto una scelta di brani che sono stati condivisi, suonati e arrangiati da tutto l’ensemble. Tra essi possiamo menzionare il brano “Canzone dal
fondo del mare” di Michele Gazich, che riprende un testo de “La Tempesta” (la canzone di Ariel, in cui si racconta di un uomo che giace nel profondo del mare), ma riadattato in un contesto contemporaneo, ossia evocando le persone che oggi si trovano nel fondo del Mar Mediterraneo a causa dei tanti viaggi della speranza, o della disperazione: “Poi il mare mi cambia in qualcosa di strano / porto al dito un anello di freddo / sa di sangue il Mediterraneo”. Il suono del violino di Gazich è diventato nel concerto corda che vibra nella carne e nell’anima, la sua voce pietra sferzata dalle onde.
Di forte intensità per le atmosfere antiche e mediterranee che ha creato è il brano “Erotokritos”, un poema cretese che, come dice Sara Maria Fantini, possiede un “tono epico che ben si adatta al momento in cui Prospero decide di abbandonare la magia, di gettare questa bacchetta magica in fondo al mare e questo mare diventa un mare incantatore, come avviene a Creta e come avviene a Venezia”. Maddalena Pennacchia ha tradotto ritmicamente in napoletano e adattato su questa musica alcuni versi dal monologo di Prospero in napoletano, la sua lingua materna con
un risultato sorprendente e originale.
Stupenda ha echeggiato nel teatro la voce di Sarra Douik mentre si accompagnava all’oud nel brano “Holm” con il testo Emel Mathlouthi su un canto tradizionale persiano, “che vuol dire sogno ed è un inno di speranza per un mondo migliore, senza guerra, senza sofferenze”: “Se potessi chiudere gli occhi e il sogno mi prendesse per mano, mi alzerei e volerei in un nuovo cielo e dimenticherei i miei dolori, se potessi viaggiare con la mia immaginazione, costruirei palazzi e notti dove l'amore e le mie speranze potrebbero crescere e cancelleremmo il dolore”. Il brano e le sonorità dell’oud ci trasportano nell’immediato nell’area mediorientale, con quegli intervalli sonori particolari prodotti dai quarti di tono, dai vibrati vocali e dai tremoli dell’oud.
Alla base di questo palazzo sonoro ci sono le fondamenta solide della chitarra di Juliano Abramovay, musicista di origine brasiliana e studioso riconosciuto a livello internazionale di musica ottomana.
Questo intreccio di sonorità di latitudini e di epoche differenti ha generato un impasto e un connubio capace di ripercorrere, con fantasia e creatività, l’opera teatrale di Shakespeare, in una serata magica e sognante all’interno del Teatro Palladium di Roma.
Claudio Zonta
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