Il cammino di Ra di Spina, iniziato con l’EP eponimo del 2022, è stato documentato su queste pagine fin dal principio., quando sotto la direzione musicale di Ernesto Nobili, pattern e figurazioni digitali incrociavano la polivocalità di Laura Cuomo, Francesco Luongo e Sonia Totaro. In seguito, le potenzialità del gruppo si erano espresse nel 2023 alla finale del Premio Andrea Parodi. A distanza di due anni, il profilo della band è cambiato, riorientando anche la prospettiva musicale che si traduce nella confluenza di due voci, su aperture chitarristiche più marcate e inventive, e su un solido sostegno percussivo, senza rinunciare alle elaborazioni elettroniche. La formazione attuale comprende Laura Cuomo (voce, synth e ricerca musicale), Alexsandra Ida Mauro (voce), Ernesto Nobili (produzione artistica, chitarre e cori) e Francesco Paolo Manna (percussioni). Nella tarda primavera Ra di Spina hanno pubblicato “Vocazioni” (Agualoca Records), album di lunga durata, che in una certa misura riprende materiali già editi con la formazione dell’EP, traghettandoli nel nuovo assetto in quartetto. Come detto, in sei brani ritroviamo le voci di Luongo e Totaro e i featuring del tamburo di Alfio Antico (“Canti dei salinari”) e del pianoforte di Rocco De Rosa, che contribuisce a “Nananà tarantella”, mentre la produzione esecutiva è di Andrea Saladino. Spaziando tra canti della tradizione orale del Sud Italia, i Ra di Spina offrono una rilettura vivida dei materiali, lontana da procedure scontate. Presentato live in Italia e in Spagna con ottimi riscontri il progetto approderà (sebbene lo showcase non è stato ancora ufficializzato) al più prestigioso Expo musicale globale. Di “Vocazioni”, parliamo con Laura Cuomo,
ideatrice e anima pulsante di Ra Di Spina, studi di etnomusicologia alle spalle, ricercatrice delle pratiche di canto popolare, di musica antica e di psicofonia, già accanto a Eugenio Bennato ne Le Voci del Sud, (“Qualcuno sulla terra”, 2022), voce solista delle composizioni di Rocco De Rosa nella colonna sonora del film “Dante” di Pupi Avati (2022).
Come definire Ra di Spina?
Ra di Spina è un progetto musicale che pone un grande focus sulle voci e sul canto d’insieme. Nasce dal mio profondo amore per l’etnomusicologia e, ancor prima, per la pratica del canto corale. Andrea Saladino, produttore esecutivo e manager artistico, è stato al mio fianco fin dall’inizio. La musica di Ra di Spina prende forma attraverso il duo vocale, composto dalla mia voce e da quella di Alexsandra Ida Mauro, supportato dalle chitarre di Ernesto Nobili e dalle percussioni di Francesco Paolo Manna.
Perché “Vocazioni”?
“Vocazioni” perché l’album ruota attorno al concetto di chiamata — una chiamata culturale e collettiva che si esprime attraverso il canto. Ogni brano risponde a un richiamo profondo, atavico, capace di intrecciare la tradizione folk con una forza viva e contemporanea. La nostra vocazione: mantenere viva la memoria delle melodie del Sud Italia, rendendola presente, perché necessaria. Per Ra di Spina, questo significa attraversare il futuro con uno sguardo al passato, proponendo una visione musicale che onora le radici e, al contempo, le proietta in una dimensione contemporanea.
Vuoi raccontarci dell’immagine di copertina dell’album?
È stata realizzata da Paolo Montella, musicista, artista poliedrico della scena napoletana e amico, ci ha aiutato a realizzare la nostra idea di “Vocazioni”. L'immagine rappresenta due ex voto: un volto e un cuore sacro. Gli ex voto sono oggetti di devozione, spesso offerti come ringraziamento per una grazia ricevuta o per l'adempimento di un voto. Sono profondamente radicati nella cultura popolare e religiosa del Sud
Italia. Rappresentano la fede, la speranza, la sofferenza e la gratitudine della gente comune. Il volto che è simbolo dell'individuo e della collettività, insomma dell'umano con le gioie e i dolori, le speranze e le inquietudini. Il cuore sacro è un simbolo potentissimo, il cuore di Gesù, e nel nostro percorso è spesso presente. L'immagine attraversata da radici o vene del corpo raccontano la vitalità e la spiritualità del canto.
Come ti emoziona nell’ascoltare le fonti dei canti?
Quello che mi emoziona profondamente nell'ascoltare i canti dalle loro fonti originali sono, senza dubbio, le voci e i modi unici di fare musica. Per me, la voce non è un semplice strumento; è l'identità stessa della persona. Quando ho l'opportunità di ascoltare registrazioni di metà Novecento, percepisco con forza anche un modo d'essere collettivo che si manifesta attraverso il canto. È come se si materializzasse un pezzo di storia, un sentire comune di un'epoca. Ma l'emozione non si ferma al passato. Il canto lo considero un miracolo ogni volta che accade.
Il canto è parte integrante di tutte le tradizioni musicali. Da quali di queste traete ispirazione?
Il mio percorso con il canto non ha una provenienza specifica o “di tradizione”. Sono cresciuta con le voci di mia madre, mia nonna e mio zio, che cantavano qualsiasi melodia arrivasse dalla radio, dalla televisione o dai dischi. Nel tempo, ho sempre amato cantare insieme ad altre voci, soprattutto in ensemble corali di ogni genere, dalla musica antica a quella pop o colta contemporanea. Ho da sempre fatto esperienza, poi studiato e approfondito i meccanismi che definiscono il canto in gruppo, la vocalità naturale che si spoglia di protagonismo per fondersi con l’altro, in una ricerca costante di fare comunità attraverso la pratica del canto d’insieme.
Una ricerca su stili vocali che si allarga non solo nello spazio ma anche nel tempo. Per traghettare la tradizione nella contemporaneità: obbedienza e/o disobbedienza vocale?
Il mio approccio si basa su un’obbedienza totale alla corporeità del suono vocale. Cosa intendo? Significa dedicare una ricerca e un'attenzione continue all'autenticità, per arrivare a 'essere voce' in modo profondo e viscerale. Allo stesso tempo, è una disobbedienza ferma a qualsiasi tipo di canto che si limiti all'imitazione.
Spesso dentro le storie raccontate nei canti di tradizione orale ci sono forme di ineguaglianza di genere e di valori non sempre progressivi: come vi rapportate con tutto questo?
Guarda, è innegabile: le storie che troviamo nei canti di tradizione orale spesso portano con sé disuguaglianze di genere e valori che, oggi, non considereremmo affatto progressisti. Nel mondo del folk, d'altronde, i temi sono sempre stati strettamente legati alla cultura e al contesto del loro tempo. Il nostro approccio a questi testi, che scopriamo e che ovviamente appartengono al passato, è quello di un osservatore. Anche se l’operazione che facciamo con Ra di Spina non mira a manipolare il messaggio originale, è anche vero che il cuore del nostro lavoro è proprio una risignificazione completa di una musica attraverso la ricerca di un modo nuovo di suonare le melodie e i testi stessi. Ciò che scegliamo di integrare nel progetto ha, credo, un unico scopo: infondere bellezza. In questo periodo, qui a Napoli, sto osservando che alcune artiste stanno utilizzando concetti di femminismo in una maniera che, a mio avviso, risulta piuttosto retrograda. Un approccio che non costruisce nuovi mondi, perché viene portato avanti con un’aggressività lontana dai valori di reale uguaglianza. I loro testi, scritti “alla maniera popolare”, finiscono per riprodurre quegli stessi temi che, come dicevamo, non sono affatto progressisti. Un’impostazione del genere non fa che svilire ogni dibattito sul nuovo e, indipendentemente dalla mia percezione, non è il messaggio che Ra di Spina desidera diffondere.
Di voci che se ne sono tante in questo album: un po’ a rappresentare il percorso di Ra Di Spina.
Il progetto è nato durante il primo lockdown. Bloccata in casa, ho cominciato a lavorare su alcune registrazioni vocali fatte con il cellulare. L'obiettivo era chiaro: trasformare melodie popolari del Sud Italia in arrangiamenti polifonici. Quella che era partita come una semplice esplorazione casalinga è presto cresciuta. Grazie alla collaborazione, già avviata, con il nostro attuale manager, Andrea Saladino, Ra di Spina ha preso forma concretizzandosi nella registrazione di un EP in studio, prodotto artisticamente da Ernesto Nobili. Da lì è iniziato tutto, e oggi il progetto continua con un focus sulle voci, quella mia e di Alexsandra Ida Mauro.
Come è stato elaborato il suono di Ra di Spina con i compagni di viaggio, soprattutto Ernesto Nobili che vi è stato vicino fin dagli esordi e con FP Manna?
Beh, allora, partiamo da Alexsandra Ida Mauro: la sua è una grande voce vesuviana che colora e rafforza tantissimo l’energia del canto d'insieme. Il contrasto evidente tra la mia voce e la sua crea secondo me una condizione di potenza e mistero. Ernesto Nobili ha creduto nel progetto fin dall'inizio, diventando il produttore artistico del disco “Vocazioni”. È una presenza preziosa per la direzione musicale, un artista di grande esperienza e raffinatezza, e siamo davvero molto felici della sua collaborazione. Poi c'è Francesco Paolo Manna, un vero maestro dei tamburi, un artista sciamano della percussione. Sono davvero grata di poter lavorare con persone e musicisti di così grande valore.
Che ruolo gioca l’elettronica su disco e dal vivo?
Il ruolo dell'elettronica, sia su disco che dal vivo, non è mai quello di imporre un sound. È piuttosto un’estensione sottile della voce: serve a sostenerla, a renderla più chiara e a spiegarla, anche quando è moltiplicata attraverso i loop. La sua rilevanza, però, è sensibilmente maggiore nel contesto live rispetto al disco. Oltre a un impianto di bordoni spigolosi e potenti – curati da Paolo Montella, musicista che ha curato il suono elettronico degli attuali live – l'elettronica dal vivo emerge dalla parte più oscura e improvvisativa del mio processo performativo, in costante dialogo con chitarre e percussioni. In questo contesto fluido e imprevedibile, a volte acido, le voci rappresentano l'unica certezza della scrittura musicale.
Come avete costruito la tracklist?
Avevamo già alcuni brani composti nella fase iniziale del progetto, nati dalle collaborazioni che ho raccontato prima. Le tracce rimanenti sono state poi inserite in una seconda sessione di studio. Il canto su impianto polivocale e le melodie del sud Italia rappresentano il filo conduttore che ha guidato l’intero processo di costruzione dei brani del disco.
Barra del timone rivolta a sud? Sarà sempre così?
Difficile prevedere se questa rotta ci accompagnerà per sempre, ma una cosa è certa: il Sud esercita su di noi un richiamo irresistibile. Per noi non rappresenta solo una direzione geografica, ma un concetto ampio e profondo. È il Sud del mondo, uno scrigno di emozioni ancestrali e di saggezza antica. Ma è anche il sud del corpo, inteso come quella dimensione viscerale, istintiva e autentica di noi stessi, dove risiedono passioni, spontaneità, gioie e dolori. È un richiamo che, come esseri umani, sentiamo profondamente nostro e che, attraverso la musica che facciamo, cerchiamo per ora di esplorare.
Cosa succede dal vivo rispetto a quanto si ascolta su disco?
Come accennavo, il nostro live è una vera e propria celebrazione del suono vocale, un rituale che instaura un dialogo tra l’orizzontale e il verticale: la voce, nella sua corporeità, diventa un ponte tra la terra e il cielo. Il mio obiettivo è innescare un processo di riflessione in chi partecipa ai nostri concerti. Spero che tutto questo possa arrivare come un gesto d’offerta, capace di stimolare interrogativi, pensiero critico, tensione e cura verso un’esistenza libera dalle apparenze.
Ra di Spina – Vocazioni (Agualoca Records, 2025)
Le fonti sono di quelle che contano – da Lomax a Carpitella, da De Simone al testimone carpinese della tradizione “blues” garganica Antonio Piccininno, da Rosa Balistreri ad Antonio Infantino – in queste “Vocazioni” di Ra di Spina. In copertina campeggia un ex voto: un volto e un cuore sacro, simboli della collettività e della devozione, “un’immagine attraversata da radici o vene del corpo che raccontano la vitalità e la spiritualità del canto”, spiega Laura Cuomo, ideatrice e cuore pulsante del progetto. Timbri vocali già ricchi individualmente, che entrano l’uno nell’altro, si trasformano emotivamente e reciprocamente, si sovrappongono, si inseguono, si ritrovano con l’ausilio di loop e delay su cui si innestano l’accorta e raffinata perizia chitarristica di Nobili e i calibrati colori percussivi di Manna. Da un lato Ra di Spina persegue la ripresa di canti tradizionali dell’Italia meridionale nutrendosi di fonti d’archivio e discografiche o di ascolti di prima mano, dall’altro esprime una rilettura che ne conserva l’essenza primigenia, eppure adotta timbriche inedite, estetiche rivelatrici di inusitate profondità. Ne scaturisce, insomma, un’invenzione, posizionata tra memoria e spazio di rinnovamento. Passando alla tracklist, l’attacco è di quelli che lasciano il segno, un coup de cœr, di quelli che ti strappano mentalmente e ti trasportano in un tempo altro. “Madonni quant’è jirti stu palazzo” è un canto all’altalena dell’area di Ferrandina (Matera), legato al periodo di Carnevale. I cantori eseguivano questi brani mentre si dondolavano durante i festeggiamenti. Un testo dalla duplice valenza, che può rappresentare un’ascesa spirituale o alludere alla sfera del piacere sessuale. “Il movimento avanti e indietro dell’altalena implica il superamento di un confine, ma senza oltrepassarlo del tutto. Rappresenta un’oscillazione perpetua tra opposti”. Le voci sono il fulcro, con le chitarre che aprono scenari e percussioni e loop al servizio del canto. La successiva “Sant’Anna”, dalle inflessioni che evocano la sponda sud del Mediterraneo, è una invocazione devozionale campana alla madre di Maria, venerata come dea della fertilità. Il brano è stato raccolto dal cantatore Biagio De Prisco di San Marzano sul Sarno (Sa), uno dei pochi veri esponenti della tradizione musicale campana in filiazione diretta con il mondo contadino. Trasfigurata nella sua ambientazione sognante è “Ciuriddi du lu chianu”, canzone siciliana scritta e interpretata dalla cantrice Rosa Balistreri, in cui testo e melodia derivano da una canzone francese per bambini molto popolare, composta negli anni ’40. Il testo descrive i fiori della pianura che crescono, racconta della fine dell’estate e delle castagne che si schiudono, a segnare l’ingresso della stagione autunnale. Ci si sposta in Calabria per “Matajola”, che in forma call & response racconta il dialogo tra un padre incollerito e una figlia che costruisce un castello di scuse per evitare la punizione. Performance brillante con l’iterazione vocale a riprodurre le procedure chitarristiche dei cantori di Longobucco, nel cosentino. Risalendo lungo il mare, eccoci a un classico: “Procidana”, proposta in due versioni, in studio e “dal vico” (saggio della dimensione da concerto), come bonus track di chiusura del disco. Qui il tributo è rivolto a Roberto De Simone e all’arte di Concetta Barra, che ne fu interprete ineguagliabile. Colpisce il contrasto tra le voci e i misurati interventi elettronici, che danno vita a un equilibrio espressivo di grande efficacia. Con un’eterea “Ninna Nanna di Carpino”, Ra di Spina si confronta con il repertorio garganico. L’intreccio delle tre voci (Cuomo, Luongo e Totaro) è sostenuto da un tappeto elettronico discreti. Da Montemarano, terra irpina della tarantella rituale carnevalesca, arriva invece “Nananà Tarantella”, tema di solito eseguito senza supporto strumentale, il cui testo nonsense ha funzione ritmica di accompagnamento al ballo; qui il piano di Rocco De Rosa ne impreziosisce l’originale rilettura. Altro nome tutelare è il “tarantolato” Infantino, dal cui repertorio è tratto il canto di questua “Matarrese grottesca” in cui primeggiano ancora le tessiture canore del primo organico del gruppo, sostenute da un incalzante pattern ritmico. Approdiamo nuovamente in Sicilia con “Surfarara”, canto dei minatori di zolfo registrato da Alan Lomax nel 1954 nel nisseno: la fluidità della base elettronica fa da sfondo alla profonda grana timbrica di Cuomo su cui ricamano le voci di Luongo e Totaro. Ancora una testimonianza delle sofferenze del lavoro è offerta da “Canti dei salinai”, melodie che aiutavano a mantenere il ritmo collettivo durante la raccolta del sale. Lomax raccolse queste espressioni nei dintorni di Marsala. Alfio Antico interviene con il suo fraseggio inconfondibile e al tamburello, sulle splendide sequenze condotte dalle tre voci. Pur oscillando tra il passato prossimo e il presente della line-up, il programma di “Vocazioni” restituisce pienamente l’idea progettuale dei Ra di Spina, il cui live set è di forte coesione sonora, esito di una ricerca di essenzialità stilistica e di una costante complementarità tra le due voci dotate di gran nitidezza, e le trame degli strumenti acustici e digitali che le avvolgono. “Vocazioni” riluce in forza di padronanza e passione, con esiti pienamente convincenti sul piano della ricerca e degli arrangiamenti: un canto che si fa memoria collettiva, svelando sequenze fascinose a ogni ascolto.
Ciro De Rosa
Foto di Kristel Pisani