Savina Yannatou | Primavera en Salonico & Lamia Bedioui – Watersong (ECM, 2025)

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“Watersong” è la nuova produzione, la quinta licenziata dalla bavarese ECM, della straordinaria vocalist Savina Yannatou, accompagnata dal suo storico e compatto ensemble, Primavera en Salonico (Kostas Vomvolos a qanun, fisarmonica e direzione artistica, Harris Lambrakis al nay, Kyriakos Gouventas al violino, Yannis Alexandris all’oud, Michalis Siganidis al contrabbasso e Dine Doneff alle percussioni), e in collaborazione in alcune tracce con la cantante tunisina Lamia Bedioui, residente ad Atene dal 1992, con cui Yannatou aveva già collaborato in “Songs of the Mediterranean”. La cantante ateniese è personalità dalla grande reputazione nel panorama ellenico; vanta collaborazioni con compositori classici, con la sua voce ricca di sfumature ha ripreso repertori di tradizione orale e di musica antica, si è resa interprete dell’éntechno tragoudi (la canzone d’autore d’arte greca) o, ancora, ha partecipato a progetti di impronta più sperimentale. Con ampia libertà esecutiva Yannatou, cantante plurlingue, si muove nel suo bacino culturale elettivo che è, soprattutto, quello mediterraneo, accogliendo in recital e dischi canzoni di vari luoghi ed epoche. Si comprende dal titolo come questo lavoro abbia nell’acqua il suo tema unificante; per di più Yannatou non si limita a perlustrare il Mare Nostrum, dalla Spagna all’Asia Minore, ma infila sortite nell’Inghilterra rinascimentale e nelle gaeliche Ebridi. Quello della band Primavera en Salonico non è mero accompagnamento della la vocalist, l’ensemble intesse superlative trame strumentali che toccano differenti idiomi, dalla musica classica a quella tradizionale, dal jazz all'improvvisazione. L’anima di casa si affaccia subito nella traccia d’apertura, “The Song of Klidonas”, un tradizionale di Kimolos,
isola delle Cicladi, in cui il canto, sempre in primo piano, evoca il rituale dell’“acqua silenziosa di San Giovanni”, associato al solstizio d’estate. Nel secondo brano sono legate due canzoni: “Naanaa Algenina” (“Menta del giardino”), originaria dell’Aswan egiziano, e “Ivana”, canzone della Macedonia settentrionale. Nella prima entra la voce di Bedioui, mentre Savina esegue il controcanto; sotto il profilo strumentale il nay sottolinea la melodia, costruendo la transizione verso “Ivana”, in cui la cantante greca dà prova delle sue numerose inflessioni, sconfinando in passaggi improvvisativi. Raggiungiamo Cipro con “Ai Giorkis”, inno a San Giorgio, per procedere a ritroso nel tempo alla corte spagnola cinquecentesca di “A los baños del amor”, punteggiata dalle corde dell’oud. In Tracia, quindi, “Perperouna” si sviluppa su tempi dispari: è una preghiera affinché l’acqua bagni la terra per garantire un raccolto propizio. L’accompagnamento di violino, contrabbasso, ney e percussioni conferisce slancio al motivo, innestando nuovamente sequenze improvvisative. La cetra apre la via alla voce in “Con qué le lavaré?”, che ci riporta al XVI secolo. Il canto è tratto dal “Cancionero del Duque de Calabria”, pubblicato a Venezia nel 1556, una raccolta che include villancicos spagnoli. Seguono i doppi sensi erotici di “Sia Maledetta L’acqua”, la celebre villanella napoletana. Si erge
splendidamente la voce di Bedioui in “Mawal”, una poesia del X secolo musicata dal cantante iracheno del XX secolo Nazem al-Ghazali. Lo spoken word dell’artista tunisina si distende su uno strato percussivo, Yannatou si inserisce con circospezione, la sua voce si muove sotto la parola recitata. Entra anche il violino a sostenere il canto melismatico e gli ornamenti di Bedioui. “Kalanta of the Theophany” è una carola greca che assume una veste jazzistica improvvisativa, mentre dalla tradizione greca dell’Asia Minore è portata con pathos “The Immortal Water”, l’acqua immortale: le lacrime. “Full Fathom Five” è una composizione del liutista inglese Robert Johnson, collaboratore di Shakespeare, tratta da “The Tempest”, dove è associata al “Canto di Ariel”. Voce e armonici prodotti dal “waterphone” di Doneff esaltano l’atmosfera fatata del brano. Proprio da questo tema è partita l’idea di dare forma a un progetto imperniato sulla duplice natura dell’acqua: acqua come benedizione e come maledizione, fonte di vita e minaccia. Il tracciato acquatico ci conduce verso la canzone gaelica “An Ròn” (La Foca), in cui ney e qanun costruiscono una magica ambientazione “celtica” (nelle note la canzone è riportata come irlandese. In realtà, si tratta di un brano gaelico scozzese diffuso nelle Ebridi); è una sorta di lamento ispirato alla selkie, figura mitologica (può essere di matura maschile o femminile) che vive come foca nel mare, ma che, in certi momenti, può liberarsi della pelle di foca per trasformarsi in essere umano. Qui, innamorata di
un umano, la creatura è sempre divisa tra il mare e la riva. Si veleggia di nuovo nel Mediterraneo, in Corsica, da cui proviene “O Onda”, già inciso in passato da Savina. Sorprendentemente, ma fino a un certo punto, conoscendo le vaste geografie sonore frequentate dalla cantante, si passa a uno spiritual afro-americano, “Wade in the Water”, con la fisarmonica che prende il largo; il brano sfocia in “Allah Musau” che, guidati dal canto di Bedioui, ci riporta nuovamente in Egitto sulle rive del Nilo, in un crescendo strumentale e vocale. Dice di lei Yannatou: «Mi piace molto lavorare con Lamia. Non solo perché interpreta magnificamente i brani in arabo, ma anche perché posso improvvisare sulla sua voce. Le nostre voci sono molto diverse, ma si combinano bene». Il finale del brano riprende il ritornello del canto afroamericano, portando a conclusione questo lavoro in cui la favolosa Savina e i suoi pregevoli compagni di viaggio, con elegante attitudine ricercano ancora una volta punti comuni e legami tra differenti tradizioni musicali. 


Ciro De Rosa

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