A Portoscuso, nella provincia del Sulcis Iglesiente (Sardegna sudoccidentale) si svolge da diciotto anni “Mare e Miniere”, un festival musicale che si articola in concerti e laboratori didattici di strumenti, canti e balli tradizionali. A essere più precisi “Mare e Miniere” – che ormai è una piccola istituzione, dati gli ospiti e le attività che si svolgono ininterrottamente, da mattina a sera, nell’arco della rassegna – è un caposaldo del sistema musicale di ispirazione popolare. Un caposaldo perché ci suggerisce un metodo, cioè una condotta, un processo che si svolge oltre i giorni delle rappresentazioni e che, anzi, arriva a costituirsi, ad assumere la sua forma propria, a un livello senz’altro meno tangibile. Il livello, cioè, della riflessione sulla musica popolare e sulla sua dimensione contemporanea: un mondo estremamente colto – tanto per cavalcare un paradosso storico – che in parte ci ha lasciato (in ragione del cambiamento di prospettiva e di ritmo, di velocità) e che in parte, però, continua ad affacciarsi proprio lì dove siamo noi e dove siamo adesso: la musica, che è un processo tanto ciclico quanto lineare, la politica, che è un processo inclusivo con effetti concreti quanto astratto e cangiante, l’interpretazione in chiave moderna delle espressioni che ci sono state tramandate. Processo, quest’ultimo, tanto sociale quanto politico, tanto
divisivo quanto trasversale e, spesso, indipendente. Tutti questi concetti, processi, immagini si stratificano a “Mare e Miniere”, che BlogFoolk, in qualità di media partner, ha seguito anche quest’anno. Il festival è organizzato dall’associazione culturale ElenaLedda Vox con la direzione artistica di Mauro Palmas. Si potrebbe dire che, grazie alla convergenza di pilastri indiscussi della musica sarda, il suo significato è riconducibile in parte alla resistenza culturale, in parte all’esibizione della bellezza musicale – ricercata, studiata e suonata – e in parte alla condivisione di quell’insieme di dati di cui si diceva in apertura. Insomma, il significato è quello di movimento, inteso come attivismo e militanza, e come linguaggio e performance. In questo solco si è mosso alla perfezione Peppe Voltarelli, che la sera del 25 giugno ha inaugurato il cartellone dei concerti insieme all’Orchestra Poco Stabile (Marco Argiolas al clarinetto, Silvano Lobina al basso, Mauro Palmas alla mandola, Andrea Ruggeri alla batteria). Voltarelli ha rimarcato, perfettamente a suo agio, il suo assetto da intrattenitore raffinato, esplorando il suo repertorio storico e, con altrettanta partecipazione, il suo nuovo album “La grande corsa verso Lupionòpolis”. “Mare e Miniere” si svolge nella tonnara di Portoscuso, un complesso che, oltre a essere il
nucleo del paese, ha il fascino di un oggetto antico a lungo utilizzato e consumato. Un oggetto – in questo caso complesso, con le sue implicazioni storiche, sociali, economiche e culturali – che ha perso la sua funzione d’uso originaria ma che, grazie al festival, ne ha acquisita una nuova e, per quanto temporanea, altrettanto intensa e condivisa. L’importanza della tonnara è sotto gli occhi di chiunque la guardi dall’esterno: affaccia sulla piazza del paese, accanto alla chiesa e al limitare del municipio. La sua muraglia bianca, in contrasto con l’azzurro denso del cielo, abbaglia i passanti, per maestosità e presenza, e la sua linearità massiccia e irregolare è interrotta da un portone imponente, di legno pesante ma sospeso a mezz’aria in modo un po’ ridicolo ma fascinoso, come una gigantesca porta a ventola da saloon. Varcato il portone si apre la radura che porta al mare, delimitata a sinistra dagli arconi delle rimesse delle vecchie imbarcazioni delle mattanze e a destra da una serie di edifici compositi, tra cui anche una chiesa. Se, una volta entrati, ci si avvicina al mare e ci si volta, si può godere dell’interno della muraglia che affaccia sulla piazza: da questo lato ha la forma di un grande casolare, con gli spazi disposti su due piani e la scala esterna per accedere al secondo. Questo caseggiato bianco e irregolare, puntellato
dalle porte delle aule in cui si svolgono i seminari durante il giorno, diviene lo sfondo magico dei musicisti che, esibendosi dal palco, guardano il mare mentre suonano. Il 26 giugno è stato presentato “Nostra patria è il mondo intero. Speranze italiane nel Canzoniere popolare”, una selezioni di canzoni di protesta rimodulate per l’occasione da un ensemble centratissimo, composto da Elena Ledda, Simonetta Soro, Mauro Palmas, Maurizio Geri, Silvano Lobina, Marco Argiolas, Andrea Ruggeri, con i racconti di Bruno Gambarotta. Inutile dire che l’atmosfera è quella della creatività e della bellezza. In più c’è la componente della condivisione, legata alla musica d’insieme, che si concentra in modo determinante durante i seminari e, allo stesso modo, durante i concerti. La sera del 27 giugno ci è stato ricordato, grazie a “Una parola… e la mia voce suona. Pasolini tra musica e poesia”, curato da Elisabetta Malantrucco per Radio Techeté (con Simonetta Soro, Elena Ledda, Anna Lisa Mameli, Mauro Palmas e Marcello Peghin), che Pier Paolo Pasolini ascoltava la musica classica dei grandi maestri oppure la musica popolare, quella raccolta dagli studiosi sul campo. La sua estetica lo poneva, in sostanza, dentro a due poli distanti ma ugualmente nitidi e carichi, evidentemente, di significato poetico: al centro c’era il poeta che amava tutti
gli aspetti della vita, quindi tutta la sua complessità e irregolarità, entro la quale, in piccoli e selezionatissimi spazi, trovava posto anche qualche rara “canzonetta”, appartenente allo scibile della produzione musicale pop. A “Mare e Miniere” abbiamo ascoltato una forma contemporanea di queste polarizzazioni, con incursioni che ricomprendono però anche jazz e rock. I casi più rappresentativi sono stati quelli dei tre concerti che si sono svolti tra le serate di venerdì e sabato. Il primo è stato quello di Andrea Andrillo, cantautore sardo legato a una visione artistica senza limiti, né linguistici né musicali, che ha presentato il suo ultimo album “Fortunate possibilità”, accompagnato da Silvano Lobina (basso), Fabrizio Lai (chitarra) e Nicola Vacca (batteria). Il secondo è stato il concerto di presentazione di “Sighida”, l’album di Mauro Palmas e Giacomo Verdeu (organetto) accompagnati dai Concordu e Tenore di Orosei e l’Orchestra poco stabile di Mare e Miniere. In questa occasione l’album ha assunto una dimensione diversa, più corale e meno intimista rispetto alla versione originale, che ha espresso la forza musicale delle composizioni e, in particolare, la loro tensione evocativa. Il terzo concerto è stato quello di Sandra Bautista, vincitrice del Premio Andrea Parodi 2024, che ha chiuso il cartellone con la sua narrativa fluida e
dolce, accompagnata da Claudia Bardagi al pianoforte e Cra Rosa alle percussioni. Se è vero che il mondo popolare sta scomparendo, sono altrettanto vere almeno due considerazioni: è inevitabile che scompaia nelle forme che sono state documentate e che ispirano e hanno ispirato nei decenni scorsi diverse generazioni di artisti. Ma quel mondo è ancora pieno di sorprese e incongruenze. E oggi, che non è più considerato semplice e rubricabile solo perché elaborato in modo diverso – e questa è la seconda considerazione – riusciamo a comprendere ciò che le sue articolazioni stanno generando: intuizioni trascinanti, che rappresentano il nervo resistente di un movimento musicale diffuso e differenziato, all’interno del quale continuiamo a scoprire e sperimentare. L’ultima serata, come da tradizione, è stata dedicata alla restituzione, al dono speculare che “Mare e Miniere” porge al suo pubblico e che gli “studenti” dei corsi porgono a “Mare e Miniere”: è il concerto degli allievi, che imprimono la loro presenza nel ciclo di crescita del festival, accompagnati dai maestri che tengono i corsi (tra i quali ricordiamo, insieme ai componenti dell’Orchestra poco stabile, Enza Pagliara e Dario Muci, Vincente Boniface, Riccardo Tesi, Alessandro Foresti, Viola Centi e Silvia Cavicchioni).
Daniele Cestellini
Foto e video di Salvatore Esposito
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