Baccano Dischi: riplasmare memorie sonore

Baccano Dischi è una nuova realtà discografica promossa dalla Luiss University Press, una collana musicale che intende costruire un percorso di dialogo tra generazioni e sensibilità differenti a partire da materiali di tradizione orale e folk da riplasmare in materia sonora nuova, attraversando confini spaziali e geografici. Il progetto editoriale si configura soprattutto come un laboratorio di ricerca sonora che “riafferma la natura inquieta e metamorfica della musica italiana. Ideata da Daniele Rosa, general editor di Luiss University Press, nonché firma della rivista musicale “Blow up”, con la curatela artistica di Toni Cutrone (in arte Mai Mai Mai), Baccano ha debuttato con i primi tre releases, album dedicati ai suoni e all’immaginario della Sicilia, disponibili in vinile e sulle piattaforme digitali. Si tratta di “La macchia” di Alfio Antico e Giulio Fonseca, alias Go Dugong, l’album eponimo di Maria Violenza e Irtumbranda (al secolo Luciano Turella), con il collettivo Tropicantesimo e “I racconti di Aretusa”, in cui dialogano Lino Capra Vaccina e Mai Mai Mai. Abbiamo colto l’occasione del lancio di questo innovativo e avvincente progetto musicale di tradizione contemporanea per parlarne con Daniele Rosa.

Da dove nasce l’idea di Baccano? Perché una casa editrice universitaria ha deciso di occuparsi di musiche di ispirazione tradizionale, creando un’etichetta discografica? 
L’idea originale (creare una etichetta all’interno di un “operatore culturale” che è anche parte di una Università) è in effetti molto “antica”, almeno dieci anni, quando somigliava più a una aspirazione lontana che a un progetto. Baccano ha iniziato a prendere consistenza reale quando, da un lato, il buon successo dell’iniziativa editoriale ci ha fatto capire che esisteva un pubblico interessato a contenuti che avevano origine nella ricerca ma fossero capaci di parlare a un numero di persone più̀ ampio dei soli specialisti; 
dall’altro, il nostro “status” particolare – non un editore in senso stretto ma, ripeto, l’iniziativa culturale di una Università – ci ha fatto rendere conto che la ricerca potesse essere interpretata anche in altri modi, modi che non utilizzassero la parola scritta e il veicolo di librerie e biblioteche per essere diffusi. 

Nell’era della musica distribuita principalmente attraverso lo streaming, e che misura i successi in base alle visualizzazioni su YouTube, la scelta di dare vita ad un'etichetta discografica è un voler andare controcorrente? Una "follia" visionaria? O Cosa altro? 
Un sociologo americano a noi molto caro, Neil Postman, ha scritto molte cose interessanti, una delle quali riguardava il fatto che l’insegnamento – o, in senso più ampio, la trasmissione del sapere – equivalesse in qualche modo a una forma di conservazione, tutela; un’altra è che la cultura, in qualsiasi contesto, è costretta sempre ad abdicare alla tecnologia, e cioè, in parole molto povere, che quest’ultima dà sempre forma alla prima. Da una parte, perciò, con Baccano, che esce in vinile e in digitale, vogliamo tentare di mantenere viva una forma di conoscenza e sapere che ha anche nei suoi formati tradizionali (quelli afferenti alla “cultura del disco”) parte del suo significato, e al tempo stesso esplorare le potenzialità, numerosissime, che ci danno l’innovazione e le nuove tecnologie. 

Ci sono modelli discografici del passato a cui avete pensato? E modelli accademici esteri che sono stati fonte d'ispirazione? 
Un modello altissimo e, probabilmente, irraggiungibile è quello dello Smithsonian, che è una istituzione dedita alla riscoperta e cura della tradizione musicale, in particolare statunitense, che viene d’altra parte
divulgata grazie alla loro etichetta, la Folkways. Non so se esistano editori universitari al mondo che abbiano progetti simili al nostro: non lo escludo, ma allo stato attuale il nostro progetto è nato, in buona fede, con la convinzione di essere originale. 

Come si inserisce Baccano nella linea editoriale e culturale della Luiss University Press? 
Lo riteniamo perfettamente nella linea generale della ricerca o, se posso azzardare, della “avanguardia intellettuale” che perseguiamo. In modo particolare, ci interessa con Baccano raccontare una parte della tradizione italiana o, più di preciso, come la creatività nel nostro Paese discenda da una tradizione antica e sia capacissima di procedere a passo spedito verso il futuro. 

Luiss e formazione musicologica, che relazioni ci sono in questo ambito disciplinare? 
La Luiss ha da tempo, nella sua Business School, un vivace e prestigioso master dedicato alle professioni dell’industria culturale compreso naturalmente il settore musicale. È una realtà che ci guarda e guardiamo con simpatia nello spirito di individuare al più presto traiettorie comuni per percorrere insieme la strada che ci aspetta. 

In che modo il “chiasso creativo” insito nel nome riflette la missione e l’identità dell’etichetta? 
Il riferimento è, naturalmente, sia alla mitologia – a Dioniso e alle sue baccanti – ed è, in questo senso, un elemento di comunicazione e narrazione che riteniamo potente. D’altro canto, speriamo di fare rumore abbastanza da far sentire anche alle persone meno attente che nel nostro Paese c’è tanta ricchezza culturale e artistica che merita di essere molto più conosciuta di quanto non sia, e vissuta con orgoglio da tutte le cittadine e cittadini. 

Definite Baccano un “laboratorio di ricerca sonora”: cosa significa concretamente? 
Significa che, date poche coordinate, il tracciato nel quale vogliamo muoverci – l’Italia, il Mediterraneo, l’attenzione alla tradizione – lasciamo artiste e artisti del tutto libere/i di operare come meglio credono, senza vincoli, incoraggiandoli a intraprendere con noi i progetti più coraggiosi che hanno in mente, magari da tempo, e che magari non trovavano un editore. 

Cosa significa per voi “riscrivere il passato attraverso il suono”? 
Intenderei con questa frase dire che il passato non va inteso soltanto in senso museale, qualcosa di distante, fermo laggiù da qualche parte e se mai da ricreare in occasione di qualche rievocazione storica, ma come un laboratorio, una cassetta piena di attrezzi ancora del tutto funzionali per scrivere “nuova musica tradizionale”. 

Perché avete scelto la Sicilia come focus del primo ciclo di pubblicazioni? 
È celebre la poesia di Antonio Machado che dice: non esiste il sentiero, il sentiero lo si fa camminando. Nella nostra ricerca per la costruzione del primo “roster” di musicisti per Baccano ci siamo imbattuti in progetti che avevano, forse in modo – chissà – un po’ mistico, la Sicilia come comune denominatore. Abbiamo pensato di esplicitare questo denominatore e rendere quella grande isola il tema esplicito dei nostri LP. 

Cosa accomuna progetti così diversi come quelli di Alfio Antico, Lino Capra Vaccina e Maria Violenza? 
L’urgenza, il coraggio intellettuale artistico, la verità. E naturalmente, la Sicilia, i suoi suoni, le sue
tradizioni. 

In che modo la collaborazione tra artisti di generazioni ed estetiche diverse arricchisce il progetto? 
La trasversalità (che in altri contesti chiamerei forse “multidisciplinarità”) è un elemento che reputo addirittura essenziale quando si vuol tentare di percorrere sentieri non battuti. Se il dato anagrafico di per sé può essere poco significativo, è molto interessante quanto l’appartenenza degli artisti a “scene” differenti abbia creato cortocircuiti davvero imprevisti e interessanti. 

I dialoghi con l'elettronica sono il "core" del progetto editoriale? 
L’essenza è il dialogo della tradizione con l’era che stiamo vivendo (o forse addirittura con il futuro), di cui la musica digitale è parte consistente. Non si tratta però di uno stilema o di un vincolo necessario: Baccano potrà ospitare lavori completamente analogici, o completamente digitali, tutto quello che la creatività degli artisti saprà apportare. 

Come evitate che il recupero delle tradizioni sonore diventi un’operazione nostalgica o museale? 
Credo sia la musica stessa a rispondere: non c’è una nota, nemmeno quelle più tradizionalmente folk contenute nel primo lato dell’album di Maria Violenza, Irtumbranda e Tropicantesimo, che credo potrebbe essere stata suonata in un tempo diverso dall’attuale. Baccano è fatta da persone vive interessate a raccontare il loro essere vive: finché questo resterà vero, non sarà mai un progetto nostalgico. 

Cosa significa per voi “tradizione in trasformazione”? 
Significa appunto rispettare la tradizione non tentando di replicarla (ma sarebbe mai possibile, in fondo?) bensì usandone l’energia per produrre nuova arte. 

Che impatto culturale e di marketing pensate possa avere il progetto di Baccano? 
Se oltre al nostro lavoro e all’attenzione degli appassionati Baccano raggiungerà le orecchie che vogliamo raggiungere, quelle cioè di tutte le persone che magari non hanno mai ascoltato musica sperimentale o d’avanguardia ma non per disinteresse, bensì perché in pochi la propongono, credo l’impatto potrà essere dirompente. Il marketing, che non è una brutta parola ma una disciplina molto utile e che personalmente trovo appassionante, non è invece tra le finalità del progetto. 

Baccano uscirà anche dai confini nazionali? 
I dischi sono già diffusi con un certo successo (certo, di nicchia) in Europa e negli Stati Uniti. Se la tua domanda invece significa – come credo – se sarà aperta ad artisti stranieri: perché no? Ci interessa un sound, una tradizione, non il passaporto di chi lo interpreta. 


Ciro De Rosa

Alfio Antico e Go Dungong – La macchia/Lino Capra Vaccina e Mai Mai Mai – I racconti di Aretusa/Maria Violenza, Irtumbranda e Tropicantesimo – Maria Violenza, Irtumbranda e Tropicantesimo (Baccano Dischi, 2025)
Baccano Dischi raccoglie con coraggio e persuasione una delle grandi sfide del sistema musicale contemporaneo. Era una questione semplice, in fondo, fino a qualche anno fa: pubblicare musica, dopo averla selezionata nel quadro di un programma (culturale e commerciale) grossomodo editoriale e venderla. È divenuto un problema complesso. Perché la musica ovviamente non si vende più attraverso i supporti tradizionali e il mercato, sebbene infili tentativi di tracciare i profili delle nicchie di vendita (i giovani, i musicofili, gli anziani, i cultori ecc.), è letteralmente stravolto da una fruizione che arriva dritta dalla rivoluzione social. Come abbiamo letto nell’intervista a Daniele Rosa, direttore editoriale della Luiss University Press e ideatore di Baccano, qui si respira però un’aria diversa. Non solo perché si va controcorrente: è inevitabile che si riconduca la rappresentazione all’ostinazione, così come alla fiducia non solo nel supporto ma in tutto quello che rappresenta l’oggetto-disco. Non solo perché il disco appaga l’artista, che realizza oltre alla musica anche il mezzo per condividerla (o almeno partecipa alla sua realizzazione, che entra a far parte del processo di creazione), e l’ascoltatore, che tocca, in un certo senso, chi produce ciò che compra. Soprattutto perché Baccano Dischi rappresenta – e questa sì che è aria fresca – quello che si ricerca nella fenomenologia della produzione musicale. Vale a dire completezza, complicità, complessità. Insomma, un certo tipo di lavoro, di procedimento, che innesta nel mercato degli spazi di contatto, delle circostanze di dialogo che nascono dal progetto: sia del musicista che della label. Sembra quasi – e qui possiamo sembrare vecchi – di tornare a parlare una lingua che una volta conoscevamo: basta navigare il sito di Baccano per riconoscere la passione della progettazione, una sorta di vertigine che porta alla dimensione completa dell’ascolto (con il disco sul piatto e la copertina in mano). Le prime tre produzioni della casa editrice – che è un side project della Luiss University Press, quindi un progetto che nasce con lo studio e con l’idea della produzione culturale come veicolo anche politico di conoscenza – racchiudono parte della mistica siciliana, imperniata in alcune tradizioni espressive. A ben vedere (ma questo non ci stupisce) alquanto diverse tra loro. Vi è Alfio Antico – l’uomo-tamburo di Lentini, sempre presente nelle nostre pagine – con “La Macchia”, un album di otto tracce in collaborazione con Go Dungong, produttore pugliese (alias Giulio Fonseca) che agita elettronica, jazz e psichedelia. Già il titolo sembra voler mischiare le carte, anche se le accezioni della macchia (intesa sia come segno o luogo nascosto) rimandano a qualcosa se non di oscuro
di misterioso, che si infilza come una buca in una traiettoria. I brani sono quanto di più diretto si possa pensare. E non solo per la matrice sonora del tamburo, che Alfio sa piegare e ampliare oltre ogni immaginazione, ma per la venatura estemporanea che ne è alla base.  Si tratta, cioè, di pezzi improvvisati. Mixati, però (e qui un altro tassello aiuta a costruire il puzzle e a immaginarlo), da Tommaso Colliva dei Calibro 35. Ciò premesso, precisiamo che l’album raccoglie evocazioni, anche se riporta in superficie strati di suoni che ci appaiono conosciuti, pur in uno scenario trasfigurato con forza. Il paesaggio sonoro si potrebbe definire siciliano – e qui riconosciamo parte della bravura dei soggetti coinvolti – ma né Antico né Fonseca né tantomeno Baccano sono interessati a musealizzare: si va avanti, si decostruisce e si ricompone, dentro un ciclo infinito di musica viva e trasversale.  Il secondo album in catalogo è “I racconti di Aretusa”, di Lino Capra Vaccina e Mai Mai Mai, un percorso di suoni sovrapposti che ha preso forma durante la residenza artistica all’Ortigia Sound System, il festival dedicato alla fusione di musiche tradizionali ed elettronica. Qui i riferimenti sono ancora più rarefatti. Non perché si allontanino, in termini di approccio, alle musiche popolari, ma perché la forma che assumono i quattro racconti (di oltre dieci minuti ciascuno) che compongono l’album si estendono verso un ambient etnico, che dilata la struttura delle esecuzioni. La base da cui si parte, d’altronde, è una sperimentazione di atmosfera, in cui affondano i piedi entrambi gli autori: Lino Vaccina, musicista sperimentale e minimalista della prima ora – con gli Aktuala e il Telaio Magnetico (che comprendeva anche Franco Battiato), formazioni dei primi anni Settanta legate, in gradi diversi, alla fusione progressive e etnica – e Mai Mai Mai, indagatore elettronico dei suoni del Mediterraneo, che in passato ha fornito riletture interessantissime di brani popolari tratti da “La Gatta Cenerentola” (“Secondo coro delle lavandaie”) di Roberto De Simone e di “Fimmine Fimmine”, collaborando, tra gli altri, con Faraualla, Nziria e Youmna Saba. 
Il terzo album è, infine, un no title di Maria Violenza, Irtumbranda e Tropicantesimo, che propongono un programma di canti popolari che si vestono non solo di elettronica, ma anche di una narrazione più palpabile, più densa e spessa, legata al suono morbido della viola. I poli di questa proposta si pongono in equidistanza, generando un tratto musicale stratificato e, allo stesso tempo, netto. Tra i tre album in catalogo, questo appare il più vicino alle espressioni tradizionali – interpretate attraverso una trasfigurazione più articolata, con brani e temi precisi (“Mafia e parrini”), così come di linguaggi diretti, fuori dall’evocazione. Il panorama che si definisce tra i primi sette brani (siamo sul lato A) è tinto di colori forti: ricorre la sfera sociale e politica, con brani come “Minnivaju”, “Quando lu Moru” e “Virrinedda”, nei quali tutto si impernia sulla voce, sorretta solo da chitarra e viola. Insomma, tutto magnetismo, forte e teso, profondo e tangibile. Il brano numero otto (lato B) è l’interpretazione di questo panorama da parte di Tropicantesimo – un’entità collettiva estremamente varia e perfettamente a suo agio con la vocalità siciliana – inglobato con raffinatezza in un movimento slow elettronico. L’effetto è sbalorditivo, perché marca degli spazi di azione che generano una forma nuova di espressione popolare, tutta intrisa di contrasti: la voce netta della Violenza, il taglio deciso della sua narrativa in dialetto, l’incedere ipnotico del ritmo rallentato.


Daniele Cestellini 

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