“Dove la notte brucia il giorno le mani mescolano i suoni, gli sguardi si rincorrono come innamorati tra i canti della terra. Dove radici e rami si conciliano, ogni respiro si fa ritmo, la lentezza incalza nei battiti di un fuoco nuovo”. Questa istantanea in versi ci introduce ad “Ànemo”, opera prima dell’ensemble Lumenea. La formazione salentina è nata proprio lì: in quel punto di contatto tra le radici e i rami, tra la lentezza di un respiro antico e il battito incalzante di un fuoco nuovo. Lumenea – "nuovi fuochi", in griko –
rappresenta la prosecuzione e l’evoluzione del percorso, intrapreso quindici anni fa con l’Orchestra Sparagnina, da un gruppo di oltre trenta giovani musicisti salentini a corollario, di una serie di laboratori di musica tradizionale che Ambrogio Sparagna, tenne in una scuola di Corigliano d’Otrano (Le). Dopo diversi concerti e la pubblicazione del disco “Aska kalèddhamu” nel 2012, il trasferimento di alcuni suoi componenti in altre città per motivi di studio, ha determinato la frammentazione del gruppo; tuttavia, questo non ha fatto spegnere la fiamma di quella fortunata esperienza. L’amore per la musica della loro terra e l’interesse verso la cultura e la lingua grica ha fatto da collante e così, ancora sotto la guida di Ambrogio Sparagna, si sono ritrovati Samuele Anchora (violino voce e tamburo a cornice), Antonio Costantini (tamburi a cornice), Elisabetta Donno (tamburi a cornice), Laura Vizzi (voce e tamburo a cornice) e le voci di Francesca Cezza, Lucia Costantini e Claudia Vantaggiato e Maria Grazia Luchena, ai quali si è aggiunto Erasmo Traglia (ghironda, ciaramella e torototela) ed ha preso vita il progetto Lumenea. Ascoltato dal vivo nel corso della XI edizione del Festival Popolare Italiano a Roma, il gruppo ci consegna un disco che cristallizza in modo molto efficace l’intensità e l’entusiasmo delle loro performance sul palco. Composto da dieci brani tradizionali della Grecìa Salentina, riletti con consapevolezza e slancio creativo, “Ànemo”, si caratterizza per architetture sonore prettamente acustiche in cui i tamburi a cornice costruiscono un solido impianto ritmico che sostiene le linee melodiche dell’organetto e del violino, le invenzioni timbriche di Treglia, e le voci, spesso protagoniste in forma corale, in un gioco di richiami e risposte che evoca i canti alla stisa. Durante l’ascolto a spiccare sono la bella rilettura di “Checciuleddha”, intessuta di dialoghi serrati tra le voci e l’organetto, il canto d’amore “Aspro”, la struggente “La fontanella” e il canto di carcere “Su rivatu a san Frangiscu”, denso di pathos e sobrietà. Trascinanti le pizziche come “Pente poja” e “Struscica” che mettono al centro l’energia della danza, ma è con il travolgente climinax di “Tela” che l’album tocca il suo apice emotivo. “Ànemo” è un atto d’amore per la cultura popolare, un album che profuma di memoria, ma vive nel presente con la forza gentile di chi non ha mai smesso di credere nel valore della propria lingua, della propria terra, della propria storia.
Salvatore Esposito
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