Prodotto attraverso a un’operazione di crowfunding, “Niepraudzivaya” è il secondo album di Hajda Banda, gruppo polacco-bielorusso che si rifà alle tradizioni musicali di Podlachia e Polesia, territori compresi tra Polonia, Ucraina, Bielorussia e Russia, non limitandosi però alla sola reinterpretazione, bensì proponendo molte proprie composizioni.
I componenti di Hajda Banda (rimasti in cinque dopo l’uscita dal gruppo di Kasia Dudziak), Daria Butskaya e Nika Jurczuk al violino e voce; Mateusz Dobrowolski al tamburo a cornice, baraban, pandereita e voce; Jakub Zimończyk alla fisarmonica, sax baritono e voce; Paweł Iwan al salterio a percussione, scacciapensieri e voce, affiancati in alcuni brani da Iwona Pawlak (sax alto), Jędrzej Weber (tuba) e spacepierre (woodblock), hanno registrato quindici tracce, la prima delle quali è “Niepraudzivaya kalina” brano da matrimonio bielorusso reinterpretato dandogli una triplice forma. All’inizio è infatti un brano corale, sostenuto da una scarsa, ma incisiva ritmica; poi si trasforma in uno strumentale che riprende il motivo cantato; quindi perviene a un finale solo voci. “Od cymbalistów” è una rapida e vivace polka, con protagonisti il cymbalon, i violini e gli ottoni in modalità brass band, il tutto con un’allure che rimanda alla molteplicità delle culture musicali di quell’area geografica e con un finale quasi caotico in mezzotempo, che rileva le radici hardcore-punk dei componenti del gruppo. “Poleski” è un medley di oberkas basate su motivi presenti nella tradizione della Polesia polacca. “Vierba”, un dialogo tra una sposa e un salice, grazie al suono della fisarmonica di Zimończyk ha un sapore parigino, ed assume il carattere di una di quelle canzoni che gli immigrati polacchi in Francia cantano per riandare con la memoria alle proprie origini. Seguono la bella polka intitolata “Wołkowycki”, uno dei primi brani suonati dalla Hajda Banda, e “Grodzieński”, un set di mazurche bielorusse ispirate a Stanisław V. Malenczyk, musicista molto abile, che suonava contemporaneamente violino e armonica. Dalla Polesia ucraina arriva, velocissima e trascinante, “Kułakiewiczowa”, di uno dei più noti compositori di musica da danza della regione, Terentiy Havrilovych Kulakevych. Alle sole voci è affidato “Czumak”, canto a contrasto tra una madre e un figlio che discettano sull’amore e sulle conseguenze del bere. Il lento ritmo ternario di una kujawiak, con il cymbalon in evidenza, accompagna un breve testo in “Od Słowika”. Dopo, troviamo “Kyiv-Minsk”, costituito da due valzer, il primo dei quali è l’inno ufficioso di Kyiv, mentre il secondo viene dal repertorio della Rada Folk Band di Minsk. Un esempio di chastushka (una canzone umoristica) eseguita su una serie di polche della Podlesia è “Vinko”, che è seguita dalla altrettanto rapida “Łysy”, una delle più popolari danze dell’est europeo (nota anche con il titolo di “Karapet”), anche in questo caso accompagnata dal canto a due voci. Un’altra kujawiak è “Żukowski”, pezzo in memoria di Adolf Żukowski, grande fisarmonicista della Podlacchia. Una nervosa e quasi elettrica “Kadryl”, cioè quadriglia, trasfigurata secondo lo stile del gruppo, precede “Kalina Malino”, canzone che nell’esecuzione e nell’arrangiamento sembra collegarsi ad esempi molto più nordici, ed il cui tema appare tristemente attuale: una donna incinta scrive al proprio amato, che si trova al fronte. Questi convince il proprio comandante a consentirgli un breve ritorno a casa, dove trova la donna gravemente ammalata. A quel punto egli promette di sposarla non appena lei si sarà risanata. Dopo il fulminante “Hajda!”, del 2023, Hajda Banda torna con un album maturo, evoluto nella forma e nei contenuti, che conferma il gruppo come uno dei più interessanti dell’Est Europa e che, vista la bassa età media dei suoi componenti, riserverà sicuramente delle altre ottime sorprese per il futuro.
Marco G. La Viola
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