Amaro Freitas, Veneto Jazz, Sale Apollinee, Teatro La Fenice, Venezia, 26 aprile 2025

Il pianista Amaro Freitas è tornato in Veneto per la terza primavera consecutiva, dopo i due appuntamenti alla Villa dei Leoni, a Mira nel 2023, e al Laguna Libre, a Venezia nel 2024, quando aveva da poco pubblicato “YY”. Nel frattempo ha preso confidenza con l’inglese che alterna al portoghese nei suoi brevi e precisi scambi col pubblico. Ha esordito ricordando Papa Francesco nel giorno del suo funerale e gli ha dedicato il primo brano con cui ha voluto veicolare un ethos di pace e di connessione fra i viventi che ha attraversato poi tutto il concerto. Particolarmente a suo agio con il pianoforte Fazioli messo a disposizione da Veneto Jazz, il musicista di Recife sa intagliare nell’avorio gemme di bachiana memoria per poi cullarle in mulinelli che ne mettono in evidenza l’anima danzante. È solo col secondo e terzo brano che il ricco universo ritmico del pianista si congiunge alla sua prima passione, la batteria, che ha suonato da adolescente prima di dedicarsi alle tastiere di cui è maestro suo padre. Questa doppia familiarità con il mondo ritmico e armonico gli permette di cucire blocchi musicali apparentemente partoriti da generi distanti tra loro, ma abilmente
amalgamati in suite che aprono nuovi scenari senza staccare l’orecchio dal dna sonoro delle prime battute che continua a figliare inedite soluzioni. Nel terzo brano fa capolino la sua maestria nella “Dança dos martelos”, il dialogo con i martelletti del piano in cui sposa le dinamiche del pianismo "percussivo" con quelle del piano “preparato” con oggetti di diverso peso e elasticità, capaci di far risuonare nello strumento i fraseggi dei tre tamburi atabaque (rum, rum-pi e lê) delle cerimonie afrobrasiliane. Il rapporto col piano veicola sia familiarità, sia rispetto: sa raccontare un’intera storia con la sola mano destra mentre la sinistra si posa abilmente non sulla tastiera ma direttamente sulle corde; e si tiene quasi sempre lontano dai pedali, sfiorando appena, a volte, quello destro con la stessa destrezza e finezza con cui un violinista imprime col dito della mano sinistra una leggera vibrazione alla corda per far sì che si incontrino intonazione e durata. Ma la sua mano destra sa anche “schiaffeggiare” l’avorio, soprattutto quando si tratta di far salire di tono certi passaggi ostinati che lungo tutta la prima parte del concerto sanno far salire la tensione: senza divaricare le dita, lo “schiaffo” sintetizza il momento di 
sospensione armonica e di accento ritmico, senza mai dar l’idea di imprimere forza al gesto che sembra, piuttosto, seguire amichevolmente le leggi della gravità. Se in passato gli espliciti richiami ai maestri del jazz erano numerosi, a La Fenice l’omaggio è stato riservato al solo Monk con la composizione stride “Green Monk”, quasi un saluto al jazz prima di immergere gli ascoltatori nella parte più rituale e sognante del concerto, il suo viaggio, da cittadino della metropoli Recife, nell’Amazzonia dei Sateré Mawé dove l’acqua e il fiume sono detti “y’y”. Da qui vengono anche piccoli e potenti flauti che, insieme al suo canto e al raffinato gioco col loop del tecnico del suono Vinicius Aquino, trasportano lungo un fiume che attraversa le mutevoli ecologie acustiche amazzoniche. Il finale e i due bis restano in sintonia con questa atmosfera sognante e con la consapevolezza di aver sincronizzato la sala al divenire del mondo, dando voce a questo sentimento con “Gloriosa”, la canzone dedicata alla madre Rosilda, in cui coinvolge il pubblico a cantare all’unisono il ritornello e a tenere due note lunghe: pochi gesti da abile “direttore” permettono di trovare in breve volumi e intensità adeguata. Il suo prossimo appuntamento italiano è con Piano City a Milano il 25 maggio quando chiuderà la rassegna al Main Stage della GAM - Galleria d'Arte Moderna di Milano. 


Alessio Surian

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