Songhoy Blues – Héritage (Transgressive Records, 2025)

La storia dei Songhoy Blues comincia a Diré, vicino a Timbuktu con l’arrivo di Ansar Dine, il movimento jihadista che proibisce sigarette, alcol e musica. Il giovane chitarrista Garba Touré capisce che è arrivato il momento di trasferirsi dall'ansa del fiume Niger nel nord del Mali a sud, nella capitale Bamako. Lontano da casa la musica permette di non tagliare il cordone ombelicale ed è così che Garba comincia suonare con musicisti del suo stesso gruppo di provenienza, i songhoy e incontra il cantante Aliou Touré e il bassista Oumar Touré. Hanno il suo stesso cognome, ma non la stessa provenienza familiare. Ciò che li unisce è la volontà di “ricreare quell'atmosfera perduta del nord e far rivivere a tutti i rifugiati le canzoni del nord”. Nasce così, dieci anni fa, l’intenso e vivace “Music in Exile”. E poi “Résistance” (2017) e “Optimisme” (2020). Il quarto album l’hanno fatto maturare cinque anni: “Héritage” raccoglie undici brani realizzati nelle sale di registrazione Remote Records e Moffou di Bamako insieme al co-produttore Paul Chandler e con la partecipazione di colleghi come Afel Bocoum, Rokia Koné, Neba Solo e Madou Diabaté. Per una volta, l’approccio è interamente acustico e lo dichiarano già le prime note dell’energico brano tradizionale “Toukambela” in apertura dell’album. Chitarra, calabash (in chiave percussiva) e flauto si intersecano alla voce solista e ai cori prima di dar spazio a una serie di assoli: soku (violino a una corda), arpa kamalengoni, flauto, chitarra. Nel resto dell’album si aggiungeranno anche kora e xilofono Senufo. Soku e calabash dichiarano fin dalle prime battute l’andamento ipnotico di “Gambary”, sostenuto da voce e basso nei toni gravi. Si volta pagina con “Norou” che su suadenti note di kora e con la partecipazione di Rokia Traore, nella seconda parte, racconta il difficile rapporto con il “norou”, i soldi: metro della capacità di sopravvivere, ombra che si allunga sui rapporti fra le persone.  “Dagabi” completa la paletta sonora introducendo anche i toni alti e i profili melodici tipici dello xilofono, occasione per lasciare maggiore libertà expressiva e improvvisativa anche alla chitarra. A metà scaletta, “Gara” (“benedizione” nella lingua songhay) cerca di riattivare il dialogo fra generazioni: “Questa canzone è un'ode al ruolo di guida e alle benedizioni degli anziani all’interno della società, in particolare il ruolo dei genitori. Un adagio africano dice che ‘la cima di un frutto maturo non marcisce mai’: in questa canzone incoraggiamo le giovani generazioni a fare del bene e a chiedere la benedizione degli anziani”. Il blues più profondo arriva con brani come “Boutiki” e con la conclusiva “Issa”. “In ‘songhay’, ‘issa’ significa fiume e qui gli rendiamo un vibrante tributo. Chiediamo che il fiume sia mantenuto pulito. Si deve ricordare che svolge un ruolo importante nella vita delle persone, per la pesca, per l'agricoltura, per l'allevamento. È essenziale per tutti gli esseri viventi, per il diritto alla vita. Chiediamo di evitare di gettare rifiuti tossici nel fiume. Cantiamo che l'acqua è la fonte di vita per tutte le specie e quindi dobbiamo mantenere puliti i nostri fiumi. Esprimiamo così anche la nostra gratitudine per i due fiumi che scorrono nel nostro Paese. Grazie a te, ‘Issa’, per aver reso possibili così tante espressioni della vita”


Alessio Surian

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