Quartetto Areasud – Dorandismo/Areasud Electric Roots – Areasud Electric Roots (Mhodì Music Company, 2024)

#COVERSTORY

Non ha bisogno di invasive opere di ingegneria per coltivare uno spazio comune tra Calabria e Sicilia, territori accomunati da un’antica centralità mediterranea. Dal 2010, quando è nato in maniera informale, il Quartetto Areasud suona musiche di ispirazione tradizionale, pur senza porsi intenti filologici, ma lavorando in un’ottica di ri-creazione. A produrre questo flusso sonoro meridiano sono il folk-singer calabrese Maurizio Cuzzocrea (chitarra battente, chitarra 12 corde, marranzano, tamburello e voce), Mario Gulisano (tamburello, daff, cajon, qaraqueb, bodhrán, marranzano e cori), Franco Barbanera (friscalettu, ney, clarinetto, zampogna a chiave, gaita galiziana e gaida bulgara) e Giampiero Cannata (basso elettrico e mandola), con ospite Marco Carnemolla (basso elettrico). Nel 2021 pubblicano “Musica lievemente tradizionale”, registrato nei mesi di lockdown, in cui Areasud innesta elementi “world”. Nel 2024 vede la luce “Dorandismo”, ma non solo, perché il Quartetto sviluppa anche il progetto parallelo Areasud Electric Roots con la pubblicazione dell’album eponimo, nel quale confluiscono Alfredo Giammarco (didgeridoo, campane tibetane, elettronica e programmazioni) e il compositore Mattia Cavallaro, di estrazione accademica si è preso cura degli arrangiamenti per quartetto d’archi di alcuni motivi tradizionali. Della traiettoria di Quartetto Areasud e di Areasud Electric Roots parliamo con i due frontman di Areasud. Maurizio Cuzzocrea, cantante e musicista calabrese da anni a Catania, ha dedicato i suoi studi musicali alla chitarra battente, diventandone uno dei principali interpreti e punto di riferimento per molti appassionati e musicisti. All’attività di musicista affianca da sempre un’intensa opera di divulgazione ed animazione culturale e musicale. Il polistrumentista siciliano Mario Gulisano,
musicista già con storici gruppi come Nakaira e Oi Dipnoi, negli anni Ottanta ha diretto l’etichetta Edith Music; è attivo in progetti artistici a sfondo sociale, come divulgatore della musica e cultura siciliana con l’Associazione Darshan, come curatore di rassegne musicali e progetti artistico-culturali di dimensione europea, e come direttore artistico di Alkantara Fest.

Come nasce Quartetto Areasud?
Maurizio Cuzzocrea – Nasce di parto naturale! Anni di frequentazioni, pranzi, cene, momenti musicali comuni, spesso informali, un lavoro continuo di promozione della musica tramite le associazioni Darshan e Areasud. È stato naturale dare un nome e una regolarità al nostro modo di stare insieme anche sul palco. 

Quali i percorsi dei diversi musicisti?
Mario Gulisano – Da quando Maurizio è venuto a vivere a Catania è entrato nella nostra comunità musicale, portandosi dietro tutta la sua ingombrante calabresità, fatta di canti, suoni e frequentazioni nelle quali ci ha trascinato, lui appartiene a quel mondo di musica tradizionale che consente di alimentare nuove vie per il canto e la musica contemporanea. Mentre io, Franco Barbanera e Marco Carnemolla veniamo da lunghi anni insieme, avendo fatto parte di numerose esperienze folk (e non solo) della scena catanese, tra cui Nakaira e Oi Dipnoi, e siamo insieme musicalmente da oltre venti anni.

Come si configura il vostro sguardo sulle musiche del Sud Italia?
Maurizio Cuzzocrea – È uno sguardo affettuoso, non nostalgico e assolutamente lontano dagli stereotipi. Molto incide la frequentazione con altri musicisti, che in diverso modo vivono queste musiche. Ma per quanto amiamo (chi più, chi meno) l’espressione sonora della tradizione, non sentiamo di poterci fermare a una riproposizione di natura imitativa. A cosa potrebbe servire oggi? Penso che sia necessario avere il coraggio di esprimere una propria immagine sonora, anche per offrire il proprio lavoro alla critica.

In che rapporto siete con le fonti (archivi documentari, suonatori, ecc.)?
Mario Gulisano –
Per chi lavora come noi, gli archivi sono un bene, ma anche un rischio. C’è il pericolo di ascoltare, scegliere e perdersi nella necessità di rielaborare a tutti i costi, per rendere contemporanei brani che non ne hanno bisogno, infilare note e variazioni un po’ da tutte le parti per cercare di stupire. Suonatori ne abbiamo incontrati direttamente o ne abbiamo mediato la conoscenza, questo è il settore di Maurizio, ma, se lasciassi parlare lui, ci vorrebbe un’intervista a parte!

Come si arriva da “Musica lievemente tradizionale” a “Dorandismo”?
Mario Gulisano – Ci arriviamo prendendoci gusto e continuando a domandarci cosa ci spinge a suonare questa nostra musica. Il primo è un lavoro molto legato a dire chi siamo e nasce da un confronto in piena era Covid, lo abbiamo registrato con grande passione e anche molta artigianalità. Il secondo è stato necessario perché ci divertiamo molto a suonare insieme e vogliamo continuare a farlo sapere.

Perché “Dorandismo”?
Maurizio Cuzzocrea – Perché è il nome del nostro movimento artistico-culturale, dedicato all’umanità di chi in qualche modo riesce ad arrivare. Il nome fa riferimento a Dorando Pietri, il maratoneta (erroneamente conosciuto come Petri, ndr). Noi siamo come lui, in qualche modo ce la facciamo, non vinciamo, non riempiamo i palazzetti e non vendiamo milioni di copie, ma sappiamo che il nome del vincitore della maratona di Londra è stato dimenticato, quello di Dorando no. 

Come opera Quartetto Areasud nella costruzione dei lavori?
Mario Gulisano – In genere partiamo da un canto, una strofa, un frammento di musica tradizionale dei territori che frequentiamo di più. Poi la formazione si allarga includendo anche altri musicisti che arricchiscono gli arrangiamenti con i loro contributi, armonie e soluzioni ritmiche.

“Strina” è il vostro canto augurale che apre il disco…
Maurizio Cuzzocrea – Lo abbiamo scelto apposta. Nel mio paese di origine, Paola (CS), ma anche in altri confinanti, si usava, e ancora oggi si usa, andare in giro suonando di porta in porta, augurando appunto fortuna e salute. In cambio si riceveva cibo e ospitalità. Ed è ciò che abbiamo messo in scena quando abbiamo deciso di puntare su questo pezzo per registrare un video-clip promozionale, che ha avuto un discreto successo sui Social. Per l’occasione abbiamo invitato tutto il paese a partecipare alle riprese, coinvolgendo gli abitanti e l’amministrazione comunale sul set.

“Passione”, “Aquila Bella”, “Oi venu sonnu”, “Rondinella”, “Za Vecchia/U puddicinu”, questi brani riprendono testi di diversi generi tradizionali su cui aveste costruito le vostre musiche…
Maurizio Cuzzocrea – Sono canti della tradizione calabrese, alcuni più noti, altri meno. Da tempo fanno parte delle cose che canto, e suonando insieme hanno preso strade autonome rispetto a una riproposta filologica che non appartiene al nostro modo di essere. È sempre difficile definire una veste musicale per canti che, nella loro versione di ricerca, sono stratificati nel tuo ascolto, ma registrarli in un progetto nuovo è forse il modo migliore per capire come la lingua si intreccia con i suoni.
Mario Gulisano –
Invece “Ciatu” è un motivo d’autore, è una storia di dolore interiorizzato nel tempo, inespresso, un canto di “separazione” tra due persone che si sono amate tutta la vita, un padre e un figlio. È un modo di elaborare l’assenza, il lutto. È un pezzo che ho scritto con la collaborazione di Marco (Carnemolla, ndr) all’epoca degli Oi Dipnoi, infatti fece parte del disco “Pontos”. Qui, diversamente da quella versione, arrangiata con l’organetto di Valerio Cairone, in cui io stesso cantavo, ho voluto affidare la voce al timbro di Maurizio, come a voler sperimentare in studio come la sua interpretazione potesse dare nuovamente dignità a quella storia.
Maurizio Cuzzocrea – Così come “Lu ‘ngui ‘ngua / Sùmati”, dove rielaboriamo dei versi tradizionali in Siciliano. È un pezzo di origine catanese. Si tratta di una rarità, contrariamente a tutta una tradizione di canti di mamme o nonne, perché qui è un padre (o forse un nonno) a cantare, celebrando la gioia che investe la casa in cui nasce un figlio o un nipote, ed in cui, anche se spesso si sente piangere il neonato, quello è un pianto che porta allegria e felicità in tutta la famiglia.

Con Areasud Electric Roots la prospettiva si amplia ancora di più per la collaborazione con il compositore Mattia Cavallaro. Cosa ha portato questo suo intervento in fase compositiva nei brani a suo nome e negli arrangiamenti del lavoro?
Maurizio Cuzzocrea – Con Mattia abbiamo avviato un percorso di collaborazione che vuole esplorare la capacità della musica di tradizione orale di influenzare le scelte artistiche di chi non c’è cresciuto insieme. 
Tanti compositori si sono rapportati con la musica della propria cultura, noi stiamo provando a provocare la reazione di chi, ascoltando frammenti musicali, possa comporre nuove musiche in continuità con le nostre scelte, senza avere una formazione specifica o essere stato influenzato dalle varie forme di espressione del folk italiano. Siamo molto contenti di avere trovato in lui un compagno nel nostro viaggio musicale e di recente abbiamo presentato il suo lavoro per quartetto d’archi in un convegno di ricerca etnomusicologica al Conservatorio di Cosenza.

“Ogigia”, presente anche in “Dorandismo” è il brano d’apertura: un biglietto da visita di un nuovo corso?
Mario Gulisano – “Ogigia” è un omaggio a gran parte del nostro recente percorso creativo. In questo brano si ritrovano lo stile crossover dei Nakaira, in cui Franco (Barbanera, ndr) giganteggiava nell’uso degli strumenti a fiato, e una forte spinta ritmica. Il pezzo nasce da un frammento raccolto da ricerche nel repertorio dei Balcani, a cui abbiamo cambiato ritmo e andamento. Preziosa la collaborazione in studio di Branislav Radoikovic dei Naked, gruppo serbo di amici e colleghi di scuderia, per l’unico brano deve suona un contrabbasso acustico in tutto il disco.

“Flatus vocis” è un'altra composizione che parte dalla tradizione ma approda altrove…
Maurizio Cuzzocrea – L’idea era quella di mettere alla prova Mattia (Cavallaro, ndr) nella stesura delle parti del quartetto, ma anche la nostra capacità di accostare in un lavoro unitario che esplora passato e 
presente, l’estrema tecnologia del digitale con un suono puramente acustico come quello di un quartetto d’archi. Impreziosisce il risultato l’apporto della parte vocale, che ho improvvisato in studio utilizzando dei frammenti di un canto tradizionale calabrese.

Anche qui ci sono ospiti, non solo italiani...
Mario Gulisano – È stata un’esigenza di produzione. Eravamo in studio in Ungheria, e si è reso necessario utilizzare orchestrali del luogo. Credo che Eszter Filóné Nagy (violino), Erzsébet Palojtay (viola) e Mátyás Ölveti (violoncello), capitanati da Valerio D’Ercole al primo violino, abbiano fatto un eccellente lavoro in una sola giornata di riprese. Per l’occasione il nostro fonico ungherese Puha Szabolcs, che ha seguito molti dei miei lavori in studio sin dai tempi degli Oi Dipnoi, si è inventato un colpo di genio: ha piazzato un microfono ambientale nel corridoio della sala di registrazione, catturando su traccia separata l’eco del suono reale dei musicisti, e ottenendo così un riverbero naturale che è stato aggiunto al suono complessivo del quartetto. Ciò a reso tutto più reale e naturale.

Uno dei brani portanti è “Ya Tir”.
Mario Gulisano – Secondo me questo pezzo è un brillante esempio di come abbiamo lavorato nel disco. Su un tema tradizionale, abbiamo chiesto al nostro amico e collega marocchino Saïd Tichiti di scrivere un testo che fosse in linea con le liriche tradizionali. Lui si è presentato in studio, sempre in Ungheria, con il suo guembri, che è una specie di basso con tre sole corde di budello e una “tavola” armonica formata da 
pelle di capra, con cui si accompagnano in genere i cantastorie berberi, e poi ha aggiunto la magia della sua voce, il bendir, e le tradizionali nacchere metalliche qaraqueb … che mi ha costretto a registrare insieme a lui nel brano: un divertimento assoluto!

In “Mukahter” c’è la voce di Faisal Taher…
Maurizio Cuzzocrea – Faisal, storica voice in lingua araba della world music italiana, è un caro amico. Partecipò con testo e voce alle registrazioni di “Musica lievemente tradizionale” e, poiché Areasud Electric Roots prevedeva l’utilizzo di parte delle tracce di quel disco, abbiamo pensato di affidare alle sapienti mani del presti-digi-designer Alfredo Giammanco la sua voce, enfatizzando ancor più l’impiego dell’effettistica per aumentare la prospettiva della sua collocazione nel piano sonoro.

Mario, tu hai un impegno nella direzione  di Alkantara Fest. Come va il Festival? Quali le difficoltà che si incontrano?
Mario Gulisano – Alkantara fest, di cui sono ideatore e direttore artistico dagli esordi, rappresenta il punto più alto (e impegnativo) della programmazione culturale di Darshan, l’associazione che rappresento. Sta crescendo sempre di più, soprattutto per la presenza di un team consolidato che lavora quasi tutto l’anno con il fine di migliorare l’offerta e la fruizione del festival. È un’esperienza immersiva, l’utenza ha infatti la possibilità di campeggiare sul posto, o trovare alloggio nelle vicinanze, e partecipare così alle tante attività proposte dal mattino a tarda notte. Workshop di strumenti, laboratori di danze popolari da tutta Europa, escursioni guidate in bici e a piedi sull’Etna, oltre a numerosi concerti di alto livello, ne fanno un appuntamento fisso di fine luglio ormai consolidato nel territorio. Numerose le partnership istituite nel
tempo, come quella di quest’anno con la vostra testata in qualità di media partner. Le difficoltà sono quasi sempre le stesse, risolvere favorevolmente le fide e gli obbiettivi che noi stessi ci poniamo, cercando di migliorarci. Ad esempio, l’anno scorso ci siamo sottoposti volontariamente a un monitoraggio Green, invitando una azienda specializzata in certificazioni di eventi. E alla fine la sfida è stata vinta: abbiamo ottenuto la certificazione “low impact”. Ci piacerebbe, ma non è un obbligo, che il nostro esempio possa essere seguito anche da altri festival della Rete Italiana World Music, che riunisce 21 festival folk e world, e di cui siamo anche noi fondatori.

Quali le date di quest’anno: c’è già una programmazione?
Mario Gulisano – Sulla homepage del sito alkantarafest.it si trova il programma completo dell’edizione 2025, che si svolgerà dal 12 luglio al 2 agosto tra anteprime ed eventi off, presenterà quasi un mese ricco di musica, incontri e contaminazioni musicali. Tra gli ospiti di rilievo, spicca Eugenio Bennato, che presenterà il suo nuovo progetto discografico “Musica del Mondo”, e il celebre Trio Mandili, giovane gruppo georgiano diventato virale in tutto il mondo grazie ai loro video spontanei in cui eseguono canti polifonici in ambientazioni rurali e l’attuale rivelazione della scena world africana, il senegalese Momi Maiga. Torna anche Alkantara MediOrkestra, la coproduzione originale del festival, che il 9 maggio pubblicherà il disco dal vivo Jazzbound, registrato durante la tournée 2024 con Antonello Salis e il sassofonista norvegese Karl Seglem. L’ensemble si arricchisce nel 2025 di nuovi elementi, tra cui il cantante e percussionista palestinese Mahmoud Hamad, accanto a protagonisti come il polistrumentista Enzo Rao e la musicista greca Chrysanti Gkika (kemechè). Il focus principale del festival sarà nei quattro giorni 24-27 luglio presso l’Azienda Agricola Il Pigno a Zafferana Etnea (CT), con la partecipazione di numerosi artisti italiani e internazionali. La chiusura del festival, il 2 agosto a Santa Venerina (CT), vedrà protagonista l’energia e il talento di Alessio Bondì, cantautore palermitano tra le voci più originali della nuova scena musicale in lingua neo-siciliana. Alkantara Fest conferma la sua vocazione green, adottando pratiche sostenibili certificate e offrendo un’esperienza immersiva che unisce campeggio, workshop e
concerti in un unico biglietto integrato. Gli Early Bird sono già in vendita sul sito e resteranno disponibili a prezzo promozionale fino al 30 aprile.

Quanto è cruciale rapportarsi al circuito trad & world europeo, che sembra lavorare con obiettivi più concreti di alcune realtà associative italiane?
Maurizio Cuzzocrea – Fondamentale. Nel nostro piccolo, infatti, portiamo avanti simili strategie da parecchio tempo. Non soltanto a livello nazionale e internazionale. Abbiamo anche contatti con artisti extra europei, con cui ci sono progetti per residenze artistiche in itinere in Sicilia, che ci condurranno a suonare in giro per l’Europa e non solo. Le partnership istituzionali con soggetti pubblici e privati, come ad esempio ItaliaFestival, una delle principali reti nazionali nel campo dei festival, ci portano spesso in contatto con realtà artistiche produttive e performative che ampliano i nostri orizzonti artistici e umani. A che cosa serve la musica allora? Non soltanto a ubriacarsi … (ride, ndr)

Come si sviluppa un concerto di Quartetto Areasud rispetto ai dischi?
Maurizio Cuzzocrea – In genere cerchiamo di non tenere troppo in considerazione gli arrangiamenti dei dischi. La musica tradizionale, come si sa, nasce dalla spontaneità, dalla ripetizione ciclica, e pertanto, ciò che abbiamo fissato su traccia rappresenta un preciso momento nel processo cronologico di maturazione stilistica. Oggi non suoneremmo probabilmente quelle canzoni nello stesso modo, oppure sì…
Mario Gulisano –
Intendiamo dire che dal vivo succedono sempre tante cose, fuori e dentro il palco. Cambiano le condizioni tecniche o di ascolto oppure i luoghi stessi, in cui un suono è più o meno riproducibile. Le canzoni vivono di spontaneità espressiva e tanti altri fattori che si combinano fra di loro. Se facessimo musica elettronica pura, forse potremmo tenere fede agli arrangiamenti originali, ma forse si perderebbe il bello di essere appunto “dal vivo”. Ecco perché invitiamo sempre il nostro pubblico a venire ai concerti, piuttosto che limitarsi ad ascoltare le nostre tracce in streaming.

Prossimi impegni di Quartetto Areasud?
Mario Gulisano – Dopo un soddisfacente tour nel 2024, in cui abbiamo toccato diverse città italiane e alcuni festival all’estero, vorremmo dedicarci a produrre nuova musica. Magari sfruttando qualche residenza artistica con ospiti internazionali per dare nuova linfa e sfogo alla creatività. Stiamo infatti lavorando a un nuovo progetto, che porteremo in scena nel 2026, che coinvolge musicisti europei e giovani italiani e sarà un viaggio musicale tra il Mare Mediterraneo e il Mar Baltico, ma è ancora troppo presto per sapere altri dettagli.
Maurizio Cuzzocrea – Nei mesi scorsi abbiamo ultimato un piccolo tour natalizio che ci ha visto protagonisti per dieci concerti in altrettanti piccoli comuni della valle dell’Alcantara (a cavallo tra Catania e la provincia di Messina), con uno spettacolo parallelo sulla Natività in chiave del Sud, in cui ospitavamo il cantante e ricercatore Vittorio Ugo Vicari, che vorremmo ripetere. Per adesso quindi stiamo riflettendo sulle prossime tappe. Nel frattempo, però non disdegniamo di suonare in giro qualora ne capiti l’occasione. Quindi invitateci senza timore, potremmo dedicarvi una bella Strina beneaugurante, sempre che abbiate da offrire del buon vino a sufficienza.


Quartetto Areasud – Dorandismo/Areasud Electric Roots – Areasud Electric Roots (Mhodì Music Company, 2024)
Due album pubblicati nell’arco di un anno danno il senso degli orizzonti aperti con cui rileggere le espressioni della tradizione orale, riconducibili alle culture musicali calabrese e siciliana. Si ritrovano insieme musicisti esperti che, attraverso scelte timbriche raffinate e la presenza di amici-ospiti, propongono una rivisitazione della tradizione senza velleità filologiche, ma come ri-generazione dei materiali. “Dorandismo”, registrato tra Sicilia e Ungheria, è un viaggio nelle terre del sud ispirato alla determinazione del maratoneta Dorando Pietri: una storia che diventa ode musicale alla perseveranza umana. La “Strina” calabrese, canto augurale propiziatorio, apre il disco, presentando una formazione compatta e in continua evoluzione, a proprio agio nelle strutture melodiche, nell’incastro timbrico e nella spinta ritmica, con la voce autorevole di Cuzzocrea a guidare il racconto. Il canto religioso “Passione/Rua” intreccia elementi testuali tradizionali e musiche originali; la voce si posa su un tappeto percussivo denso di marranzano, mentre nella sezione strumentale la gaita assume un ruolo centrale. “Ciatu”, brano d’autore (Gulisano/Carnemolla) cantato da Cuzzocrea, è un canto di separazione tra padre e figlio, costruito su un fraseggio di ney, un bordone di marranzano e la chitarra battente dal tocco argentino. Riflesso di sponde mediterranee è la fusione tra la serenata calabrese “Aquila Bella” e “Ya Tir”, portata in dote dal marocchino Saïd Tichiti al guembri, che ha composto e cantato un testo ispirato a una figura poetica tipica dei cantastorie erranti del Mediterraneo. “Oi veni sonnu” è una delicata ninna nanna tradizionale in cui l’intimità vocale di Cuzzocrea trova eco nei cori e nel gioco delle corde. La dimensione fiabesca prende invece il sopravvento nella potente “Za Vecchia / Un puddicinu”, filastrocca incastonata in un ritmo di tarantella. Ambientazione balcanica per lo strumentale “Ogigia”, evocazione dell’isola mitologica dell’Odissea: la gajda guida la scena sonora su un formidabile bordone creato dal marranzano, con l’innesto del contrabbasso acustico di Branislav Radojkovic. Corde argentine e flauto accompagnano la dolce “Rondinella”, ispirata a un canto lirico dell’Alto Jonio cosentino. Qui, l’innamorato chiede a una rondine –    messaggera d’amore nella tradizione popolare e letteraria – di poterle “scippare” una penna per scrivere alla sua amata. Le voci si intrecciano in un arrangiamento che valorizza la melodia. La gaita torna protagonista nella danzante “Irosa”, mentre gli svolazzi del clarinetto introducono la conclusiva “Lu ‘ngui ‘ngua / Sùmati”, che rielabora versi di una ninna nanna catanese: un uomo celebra la gioia per la nascita di un figlio, e nella parte finale danzante (“Sùmati”) il brano si anima grazie a un gustoso incrocio di fiati. 
Nell’organico “aumentato” denominato Areasud Electric Roots, i musicisti si confrontano con numerosi contributi internazionali e interventi di ospiti, ma soprattutto con gli arrangiamenti per archi (Valerio D’Ercole al violino, Eszter Filóné Nagy al violino, Erzsébet Palojtay alla viola, Mátyás Ölveti al violoncello) curati da Mattia Cavallaro, compositore di estrazione accademica, e con gli inserti elettronici di Alfredo Giammanco, digi-designer che spinge oltre la rimodulazione di temi tradizionali e originali con sequenze improvvisative. Ne scaturisce un lavoro di forte originalità, che si dirige verso molteplici direzioni e tiene conto anche del lungo arco di registrazione (tra il 2021 e il 2023). Non è un limite, naturalmente, ma una constatazione che arricchisce la varietà delle soluzioni musicali. Si ascoltino, ad esempio, le stratificazioni della già citata “Ogigia”, che apre il disco, o l’intenso trattamento per archi ed elettronica della “Tarantella Iblea”, su musica di Cavallaro, ispirata a una tarantella per friscalettu. “Na Furmica”, con la sua cassa implacabile, spinge verso la danza, mentre “Ntrizzari”, sempre di Cavallaro, è una partitura per archi ispirata a un canto raccolto da Antonino Uccello in provincia di Siracusa. Più avanti, il compositore calabrese firma anche “Flatus vocis”, brano che intreccia un frammento di testo tradizionale calabrese, cantato da Cuzzocrea. La voce storica arabo-siciliana di Faisal Taher entra in “Mukhater”, con un impianto dominato da strumenti a corde: il lauto di Carmelo Siciliano e la mandola di Giampiero Cannata. “Ya Tir” viene ripresa in una nuova versione, cantata da Saïd Tichiti con una forte impronta ritmica electro/dub. Chiusura affidata a “Alla Zampognara”, ancora una composizione di Cavallaro, ispirata a una tarantella calabrese per zampogna. Nel suo essere “lievemente tradizionale”, la traiettoria sonora di Areasud mette in gioco una fitta rete di connessioni, incarnando una visione musicale aperta.


Ciro De Rosa

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