Antigone In The Amazon, Teatro Mercadante, Napoli, 11 - 12 aprile 2025

“Antigone In The Amazon”, lo spettacolo ospitato con successo l’11 e il 12 aprile fuori stagione al Teatro Mercadante di Napoli, è un grande sforzo produttivo europeo, ultimo capitolo della Trilogia degli Antichi Miti del regista svizzero Milo Rau, iniziata con l’Orestes in Mosul, nell’ex capitale dello Stato Islamico, seguita dal film su Gesù, The New Gospel nei campi profughi dell’Italia meridionale. La rappresentazione mette in scena un racconto tragico, civile e collettivo che attraversa la foresta amazzonica e si trasforma in un interrogativo che investe il nostro presente globale. Di fronte alla distruzione sistematica della foresta amazzonica, all’espansione violenta dell'agroindustria e alla repressione dei movimenti sociali, il regista sceglie di volgere lo sguardo alla tragedia greca: cosa significa oggi opporsi all’ingiustizia, anche a costo di violare la legge? “Antigone in the Amazon” è frutto di un lavoro sul campo in collaborazione con il Movimento dei Lavoratori Senza Terra (Movimento Sem Terra, MST) in Brasile, ma non è semplice riscrittura della tragedia di Sofocle, piuttosto una performance politica, un atto di resistenza teatrale, un’indagine sulla possibilità stessa del lutto e della memoria in un mondo che cancella i corpi, le storie e le foreste. Per Rau, uno dei principali protagonisti del teatro politico contemporaneo, la scena è sempre un campo di tensione tra
rappresentazione e realtà. Nei suoi progetti precedenti – dalla ricostruzione del genocidio in Ruanda in “Hate Radio”, alla messa in scena di “The Moscow Trials”, in seguito alla condanna del collettivo punk femminista russo Pussy Riot fino al manifesto “The Congo Tribunal” – il regista ha esplorato l’intreccio tra testimonianza, documento e azione simbolica. In questo lavoro la sua poetica sembra radicalizzarsi ancora di più: non si limita a “parlare di” un conflitto, ma lo vive, lo mette in scena con chi ne è parte, lo fa esplodere nella sua dimensione tragica. Il progetto nasce in Amazzonia dove Rau e la sua équipe si sono trasferiti per alcune settimane, stabilendosi in uno degli accampamenti del MST nello stato brasiliano del Pará. Lì, tra le comunità che praticano l’agroecologia e si oppongono all’avanzata del latifondo e della monocultura, Rau ha condotto laboratori, prove aperte, e infine ha filmato la parte centrale dello spettacolo: un funerale reale, politico, celebrato per una delle tante vittime dell'oppressione sistemica in Brasile, una militante uccisa nella lotta per la terra; il tutto a partire dalla rievocazione del massacro del 17 aprile 1996 in cui 19 attivisti riuniti in protesta furono trucidati dalla polizia militare del Parà. Queste immagini costituiscono il cuore del lavoro: il corpo dell’attivista, avvolto nella bandiera rossa del MST, diventa l’equivalente contemporaneo di Polinice, il fratello di Antigone, il cui diritto alla sepoltura viene negato dal re di Tebe Creonte. Ma qui non c’è allegoria: la morte è concreta, il lutto è condiviso, il corpo è presente. Il rito funebre, filmato nel cuore della foresta, si fonde con la messa in scena teatrale, sul palco, gli attori – professionisti e attivisti, tra questi in video anche Kay Sara – recitano e testimoniano, citano Sofocle, Brecht e Paulo Freire, cantano, danzano e suonano il dolente contrappunto musicale eseguito dal vivo da
Pablo Casella. Creonte rappresenta l’autorità e può assumere molte forme: oggi in Brasile, attraverso il teatro di Rau, è l’immagine della legge che difende la proprietà privata contro i diritti collettivi, quella dell’industria estrattiva che devasta la foresta in nome del profitto, quella dei governi che criminalizzano la protesta e militarizzano i territori. Antigone, invece, è chi rivendica il diritto di seppellire i propri morti, di abitare la terra, di opporsi a un ordine ingiusto: "Da Brecht ad Anouilh, da Judith Butler ad Anne Carson, Antigone è un’opera da sempre soggetta a nuove interpretazioni – dichiara Rau in un’intervista realizzata in occasione della prima nazionale al RomaEuropaFestival nel 2023 – la trama è molto semplice, una serie di incontri e canti corali: quando Antigone seppellisce suo fratello Polinice, viola un decreto del re Creonte, perché Polinice è considerato un nemico dello stato e come tale non può essere interrato. Il filosofo Hegel leggeva il confronto tra Antigone e Creonte come quello tra la legge divina e tradizionale e lo stato moderno e razionale. Secondo Judith Butler Antigone mina l’ordine esistente e i suoi simboli in modo ancora più radicale: con un disegno utopico, un progetto fondamentalmente diverso di coesistenza umana, dei vivi e dei morti, dell’uomo e della natura. Ed è qui che entra in gioco l’Amazzonia: credo che l'ordine simbolico
dell’Occidente debba essere messo in discussione e cambiato dall'esterno, dalle periferie del sistema capitalistico"
. Il lavoro intreccia parole e immagini, voci in diverse lingue (portoghese, inglese, olandese), corpi presenti e assenti. La tragedia greca diventa un’eco, un dispositivo drammaturgico che consente di dare forma al dolore e alla disobbedienza. Il coro diventa assemblea, la scena si apre alla testimonianza, il conflitto si materializza nei racconti delle comunità amazzoniche e nei gesti quotidiani della resistenza. Gli elementi scenici sono qualche segno simbolico, l’uso sapiente del video, la potenza delle immagini documentarie. Ma proprio questa essenzialità esalta il carattere rituale e collettivo dello spettacolo, che si presenta come una chiamata alla responsabilità. Con “Antigone in the Amazon” “Non stiamo solo criticando e adattando Sofocle, stiamo occupando l'opera, per così dire, proprio come il Movimento dei Senza Terra occupa la terra. Con gli attori, le storie e la saggezza dell'Amazzonia”. Eppure alla fine esausti e profondamente colpiti dal dramma umano dei contadini brasiliani abbiamo la sensazione che qualcosa durante lo spettacolo si sia incantato, che la forza emotiva nel corso dell’ora e 45 di rappresentazione si fiacchi e che forse “il complesso di colpa mascherato da attivismo” evocato dal palco abbia sortito un effetto contrario, torni come un boomerang nella costruzione metateatrale di questo dotato regista che è critico televisivo, docente e scrittore e che è anche “il più premiato” (Le Soir), “il più interessante” (De Standaard) e “il più ambizioso” (The Guardian) artista dei nostri tempi. 


Simona Frasca

Foto di Kurt van der Elst

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