Duŝan Bogdanović è un chitarrista, compositore, teorico e didatta dalla solida formazione accademica, originario di un luogo con una grande tradizione musicale come la Serbia. Dopo gli anni di studio a Ginevra è partito alla volta di Los Angeles dove ha vissuto per molti anni, incontrando e coltivando profondamente anche il jazz. Negli anni Settanta, quando il dibattito tra serialità, minimalismo, neo-avanguardia e post-modernismo è accesissimo, egli sceglie una via del tutto personale che lo porta a creare un originalissimo linguaggio sincretico. In esso emergono la sua anima balcanica, le sue esperienze ginevrine e californiane, le contaminazioni con la musica dell’Africa subsahariana, di Bali, del Giappone, insomma il suo sguardo sulle musiche dal mondo è a 360 gradi. Da qui nasce il suo stile severo ma a metà tra la composizione e l’improvvisazione, l'oralità e la scrittura, in cui un macao, un palos flamenco, incontra un raga indiano, una poliritmia africana o un contrappunto rinascimentale. Egli utilizza insomma, dall’alto della sua formazione classica, il patrimonio etnico mondiale, reinventandolo e portandolo ai più alti livelli musicali senza mai fargli perdere il nervo originario e senza dimenticare nemmeno per un istante espressività e ispirazione. Il tempo gli ha dato ragione poiché oggi la sua musica è eseguita e amata in tutto il mondo. Non solo, ma, come i veri geni, ha anticipato temi di grande attualità, come il rapporto tra musica dell’uomo e della natura, da cui emerge una visione sempre meno antropica, e una musica in perfetto equilibrio tra il corpo, l’ambiente e la mente, come sostiene la moderna teoria dell’ “embodied cognition”.
Con queste premesse il giovane e promettente chitarrista calabrese Stefano De Marco, diplomato al Conservatorio di musica di Cosenza, lo omaggia con una esemplare raccolta di dieci brani tra i più conosciuti dello smisurato repertorio del compositore, dal titolo programmatico “Beyond borders”, cd che esce con la l’etichetta canadese ‘Doberman Musique’ di ‘Les Productions d’OZ’. Il lavoro ha anche la peculiarità di essere stato registrato, mixato e masterizzato dallo stesso interprete che ha suonato con una chitarra del liutaio calabrese Antonio Scaglione, la grafica del disco è di Florence Lemay.
Un chitarrista da ammirare dunque per la scelta coraggiosa di uscire dalla comfort zone otto-novecentesca, per affrontare questo affascinante repertorio con chiarezza esecutiva e maturità musicale, facendo emergere ogni voce di questa meravigliosa musica, mai semplice o banale, su uno strumento ritmico ma anche polifonico come la chitarra, che richiede grande maestria per far emergere tutte le voci senza far cadere il suono. In brani come “Mysterious habitat” emerge il rapporto sottile che l'autore ha con l’oralità e la scrittura, richiedendo all'esecutore una partecipazione insieme motoria e mentale, passando dal concettuale al fisico e in cui la scrittura non è che un medium. Una richiesta perfettamente mantenuta da De Marco. Si tratta di un famosissimo brano in 5/4 dal carattere meditativo ma anche motorio, dichiaratamente ispirato al barocco “Les Barricades mystérieuses” di François Couperin. Il rispetto del compositore per l’oralità e l’improvvisazione emerge anche nei brani di “The Levantine tales”, chiaramente dedicati alla musica del suo popolo e dove le influenze bartokiani non sono casuali. Quasi sempre gli schemi ritmici dei suoi brani sono di tipo additivo piuttosto che divisivo, ma accuratamente scritti con la notazione occidentale. Per esempio il terzo tempo della “Jazz sonatina”, che pur mantenendo fede alla forma classica si serve della fluidità del jazz, è scritto in 12/8 ma la sua un’accentazione è di tipo additivo (4+3+2+3). Altro tratto caratteristico del compositore è il modo con cui opera le trasformazioni motiviche che sono insieme di tipo lineare-dinamico e di tipo nonlineare-statico. Un esempio esempio ne è la “Sonata n.1.” Qui il compositore, giovanissimo, dimostra la sua conoscenza delle grandi forme occidentali, come la sonata appunto, con un sapiente uso dello sviluppo tematico e del contrappunto ma anche della musica colta a lui contemporanea. A volte Bogdanović intitola i brani in modo descrittivo ma non bisogna incorrere nell'errore di fermarsi a quel livello: essi sono invece delle evocazioni in cui quello che conta è l'impatto che hanno i luoghi e le situazioni reali nel suo mondo interiore. Un esempio è “New York afternoon” in cui il paesaggio sonoro metropolitano riverbera con la sua sensibilità artisrica. Un altro esempio sono le “Cinq Miniatures Printanières”, pubblicate nel 1979 che il compositore ambienta in forma brachilogica nelle varie stagioni dell’anno, sono infatti dei quadretti sonori i cui contenuti musicali evocano ma non dicono esplicitamente, non a caso riflettono le influenze della musica indiana, di Stravinsky e soprattutto di Debussy. La sua è una musica sempre ispirata e sincera, anche quando è molto ‘pensata’, e come tale arriva all'animo dell'ascoltatore e dell’interprete come in questo caso.
Un disco imperdibile che, grazie a Stefano De Marco, collega il Sud dell’Italia con il resto del mondo, Caldamente consigliato a chi si voglia avvicinare al linguaggio di questo straordinario compositore in maniera chiara e efficace, sia come ascoltatore, sia come chitarrista che voglia cimentarsi per la prima volta allo studio del repertorio di Bogdanović, essendo i suoi spartiti reperibili in maggior parte presso la stessa Casa canadese che ha pubblicato il cd.
Francesco Stumpo
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