Flook – Sanju (Flatfish Records, 2025)

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Prendendo spunto delle note di accompagnamento di “Sanju” riteniamo che il termine adatto per descrivere la musica dei Flook sia “confortevole”, dove però l’aggettivo non va inteso nel senso di qualcosa confezionato secondo schemi di facile presa per il pubblico, ma banali. La musica del gruppo anglo-irlandese è infatti piacevole e conquista immediatamente l’ascoltatore, ma non è mai scontata, e la qualità compositiva ed esecutiva elevatissima, senza perdere nulla in spontaneità e in gioia di vivere, tutte cose che traspaiono in ogni passaggio dei 5 brani di “Sanju”. Come nei precedenti anche in questo album la musica del gruppo è incentrata sul suono dei flauti: quello contralto di Sarah Allen, quello in legno e il tin whistle di Brian Finnegan, completati da Ed Boyd alla chitarra acustica e John Joe Kelly al bodhrán. Al quartetto, a dare ulteriore spessore e fascino ai brani, si sono poi uniti John Calvert all’ukulele basso, basso elettrico e shaker; Steve J Jones al pianoforte, sintetizzatori, tamburello e voce; Patsy Reid al violino e viola e ancora al piano Konstantine Tumanov. Come un tempo, quando il supporto era fisico e vinilico, l’album ha una durata totale di poco più di 30 minuti, una singolarità in un panorama in cui il digitale rende possibili produzioni a volte quasi ipertrofiche. Ciò a nostro parere è un elemento che gioca a favore della qualità complessiva di “Sanju”, in quanto lo rende compatto nell’ispirazione e ricco di una costante e positiva tensione. D’altro canto i Flook sono decisamente parchi nelle loro produzioni: “Sanju” è infatti soltanto il loro quarto album
in trent’anni, quasi metà dei quali – tra “Haven” del 2005 e “Ancora” del 2019 – passati senza nuove incisioni. Tutte le tracce sono composte da due a quattro pezzi, tra loro collegati secondo lo schema tipico dei medley. In tal modo ogni brano ha una doppia, tripla o quadrupla natura, ognuna delle quali con una propria atmosfera musicale, attraverso cui sono evocati luoghi, descritti elementi naturali, momenti di vita, emozioni e sensazioni. Il pezzo d’apertura, intitolato “The farther shore/Winter flower” ha dapprima il respiro ampio di una air che canta dello spazio di mare compreso tra la contea irlandese di Antrim e le coste occidentali della Scozia, e poi si fa intimo e ancor più delicato nel raccontare dell’amore universale che si manifesta attraverso lo sbocciare di un fiore invernale. Il successivo quartetto di gighe “Jig For Sham/The Dawn Wall/Johnny D’s/Timewaver” inneggia al coraggio di combattere malattie e avversità, e nell’ultimo frammento, alla creatività e al mistero che sottendono all’Arte. “Koady/The Burning Lion”, ha un inizio prog-folk che si trasforma in una danza, secondo una modalità alla Ian Anderson, e vuole essere un gesto di solidarietà con i musicisti che vivono nell’Ucraina
devastata dalla guerra. “Tie The Knot In Georgia/Ed's Big Five-O/Faqqua” da tenera e amorevole celebrazione di un matrimonio a Tblisi si trasforma in una danza che inneggia alle sfide e all’entusiasmo degli abitanti di Faqqua, villaggio nella Cisgiordania occupata. Con la conclusiva “Where There Is Light/The May Waterway/Ninety Years Young” si ritorna a una dimensione domestica, con un cantabile pieno di speranza, che lascia il posto a due gighe evocanti la spensieratezza delle lunghe giornate estive e celebranti le generazioni più anziane, di cui il gruppo ha raccolto l’eredità culturale e musicale. Controcorrente, in questa temperie di immagini e suoni digitalmente resi senza difetti, anche la copertina del disco, una foto di un arbusto di rosa bianca tutt’altro che perfetto, con alcune foglie segnate dall’azione di un parassita, e petali dai bordi piegati. E va bene così, perché la musica – e la vita – non sono mai qualcosa di perfetto, In ambedue vi sono difetti e variazioni dalla idealità, che le rendono uniche e affascinanti, e nelle quali risiede il segreto della loro evoluzione. flook.co.uk - flookquartet.bandcamp.com


Marco G. La Viola

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