Fra mattina e pomeriggio, la giornata di studio ha alternato comunicazioni di ricerche, soprattutto sulle tradizioni venete, all’ascolto di documenti sonori originali e di esecuzioni dal vivo coinvolgendo: Dina Staro, Paola Barzan con Elida Bellon e Giulia Prete (D’Altrocanto Duo), Giuseppina Casarin e il Coro delle Cicale, Chiara Crepaldi, Grazia De Marchi in dialogo con Federica De Carli, Rosanna Trolese, Rachele Colombo. In apertura, Placida “Dina” Staro ha proposto una sequenza di ninne nanne diverse fra loro per poi commentarle attingendo alle sue ricerche etnomusicologia ed etnocoreologia (è presidente del Dance Ethnocoreology Study Group dell’International Council for Traditional Music, ICTM). Ha intitolato il suo contributo “Costruire e ricostruirsi: il canto delle donne” e l’ha articolato in sei tappe. La prima, “Riconoscersi”, ha sottolineato la specificità del ruolo della donna lungo il ciclo di vita dove è protagonista dei momenti “liminari”, di transizione alla vita e alla morte, con la capacità di rivendicare la ricerca di spazi di felicità rispetto alle esigenze e agli stress produttivi che dominano i ritmi quotidiani. Questo rimanda alla seconda tappa, “Costruirsi”, cioè saper interrompere determinate ecologie acustiche e indurre trasformazioni, il passaggio a diversi stati psicofisici, per esempio quello del riposo e del sogno, attraverso la consapevolezza delle modalità ritmico-melodiche che richiamano (con segnali di allerta) e spostano l’attenzione e inducono nuove sensazioni.
Nella terza tappa ha fornito esempi efficaci di lamenti, richiami, ninne nanne sequenziali, canti monostrofici che permettono spazi di improvvisazione. Nella quarta tappa ha fornito esempi di canti (tirindine, filastrocche) che sanno indurre cambiamenti dei parametri psicofisici; per poi affrontare nella quinta tappa le ninne nanne a serenata e i canti polistrofici ispirati ai ritmi dei balli, a “confermare” e creare legami. La consapevolezza di questi repertori e ventagli di possibilità di ascolto e esecuzione permette, ed è questa la sesta ed ultima tappa, di ricostruirsi e identificarsi, attraverso il canto-movimento, nella consapevolezza che una chiave di accesso ai percorsi di autoguarigione è fornito nel rapporto madre-figlia nella primissima infanzia e che i mediatori che facilitano il recupero devono essere parte integrante del percorso vitale dell’individuo. Ha fatto da contrappunto a questo richiamo al canto come veicolo di felicità la relazione sui canti devozionali, centrati sul dolore, presentata da Paola Barzan dal titolo “Ve voglio cuntare il dolore di Maria. La devozione femminile nel canto tradizionale” che ha preso in considerazione vari esempi dalle aree montane, compresi repertori cimbri eseguiti con perizia da Elida Bellon e Giulia Prete, D’AltroCanto Duo, che curano personalmente gli arrangiamenti e le armonizzazioni dei canti nel rispetto della tradizione
musicale e hanno condiviso un esempio dalla Sardegna appreso da Elena Ledda. L’ultimo intervento della mattina, “Cucitrici di canti”, ha visto protagonista Giuseppina “Beppa” Casarin, impegnata da in vari progetti di teatro e musica con gruppi come il Coro Voci dal Mondo (nato nel 2008 a Mestre) che promuove e sperimenta anche in chiave transculturale la Pratica di Comunità musicale e guida dal 2013 il Coro delle Cicale, progetto ponte fra realtà musicali dei territori veneti e friulani, insieme a: Elisa Giolo, Patrizia Bertoncello, Mariagrazia Pastori, Cinzia Ferranti, Martina Ferraboschi, Antonella Bolzonello, Alberta Fiorot, Paola Perin, Tatiana Munaro, Federica De Carli. Il coro ha presentato un’ampia selezione di canti tratti dai repertori raccolti da ricercatori come Luciano Zanonato che documentano canti narrativi, sociali, e sulle condizioni di lavoro: delle filandere. Un secondo ambito di canti riguarda le mondine. Canti, ha ricordato Beppa Casarin, che affrontano tematiche sociali, di lavoro, di lotta e che prendono forma in ampi spazi, quindi cantati “a distesa”, accanto alla luce riflessa nell'acqua, con la testa vicina all'acqua perché in posizione piegata, mentre si lavora, con voce non alta, ma unitaria, collettiva, in ascolto delle altre voci, in un uno spazio libero. Un terzo ambito ha riguardato i canti delle braccianti, canti in pubblico, di lotta che hanno portato,
in luoghi come Cavarzere, ai primi contratti di lavoro. Alla ripresa dei lavori nel pomeriggio, con “Voci di donne nel Delta del Po. Canti e racconti di vita” è stato il turno di Maria Chiara Crepaldi, etnografa adriese, responsabile dell’archivio Etnografico dell’Associazione Minelliana di Rovigo (nella cui collana “Etnografica” ha pubblicato diversi volumi) che ha brevemente fatto riferimento alle sue ricerche (nei comuni di Mira, Chioggia, Fiesso D’Artico ed Adria) per poi soffermarsi sul periodo in cui è stato fondato (nel 1986) il Centro Etnografico Adriese e il Gruppo folcloristico Ande cante e bali, condividendo alcune narrazioni soprattutto relative alle diverse relazioni stabilite con testimoni locali da Liberovici nel 1968 (la raccolta 117 degli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Musicale S.Cecilia di Roma, documentata da Squilibri nel 2015) e dal gruppo di Crepaldi nel 1986. Federica De Carli ha quindi intervistato Grazia De Marchi sui canti femminili del Veronese, sia in chiave di raccolta, si di riproposta, come è avvenuto negli anni Settanta con il Canzoniere Veronese (protagonista anche di un documentario di Frédéric Rossif) e con il Nuovo Canzoniere popolare, costituito nel 2007. In particolare, sono stati rievocati gli incontri e i repertori raccolti nell’album “Canti da osterie del Veronese” e negli album “…e
vengo a risvegliarti col mio canto” e “Venendo giù dai monti sento una voce cantare” che testimoniano gli incontri di Grazia De Marchi con testimoni della tradizione popolare veronese come Fiorina Chesini, conosciuta grazie a Nori Formica, e le donne di Fane. E’ stata l’occasione per ricordare anche i lavori di Ettore Scipione Righi col “Saggio sulla musica popolare di Verona”, della seconda metà dell’Ottocento, e il documento fonografico pubblicato dall’etnomusicologo Marcello Conati (“Ricerca nella provincia di Verona”, Albatros 1979), oltre al mitico quaderno su cui Fiorina Chesini annotava i testi dei canti e che purtroppo è andato perduto dopo la sua morte nel gennaio 1989. Nell’ultima parte del pomeriggio sono salite sul palco e hanno raccontato e, soprattutto, cantato due ricercatrici e cantautrici con un esplicito approccio femminista. Con “Dal gioco cantato al canto della vita”, Rosanna Trolese ha percorso rapidamente e ironicamente i suoi esordi come cantante e chitarrista veneziana, collaboratrice negli anni Sessanta del programma regionale RAI “El Liston” e poi, dal 1967, con il Canzoniere Popolare Veneto, col quale ha partecipato agli spettacoli “Tera e Acqua) e alla registrazione di “Addio Venezia Addio”. Ha quindi sottolineato come il coinvolgimento politico nel territorio veneto, sui temi della giustizia sociale e del femminismo l’abbia portata a scrivere nel 1970 lo spettacolo “Che la tasa, che la piasa, che la staga in
casa”, per poi collaborare o dirigere vari gruppi e cori, come quello femminile dell’Università Popolare Auser di Treviso, che ha diretto fino al 2017, così come ha saputo interagire e dirigere i numerosi presenti nei cori che hanno sostenuto i ritornelli delle sue canzoni. Rachele Colombo ha letto un testo scritto apposta per l’incontro e che prende a prestito il titolo di una sua canzone molto conosciuta, “Canto par mi, canto par ti…”, procedendo a condividere in modo sentito le sue scelte musicali e a motivare le collaborazioni – da Calicanto a Archedora a Compagnia delle Acque – documentate da produzioni discografiche pluripremiate, si tratti di canti da batelo o di composizioni originali che attingono alla tradizione per affrontare temi di impegno sociale e ambientale. La sua ricerca musicale la porta oggi a sentirsi come un luogo in cui avviene costantemente uno scambio fra i binari delle ferrovie, o come l’oblò di una lavatrice, col suo perenne caleidoscopio di ingredienti che interagiscono fra loro, pur con un sentimento di fondo: la consapevolezza di appartenere al popolo, di essere chiamata ad incarnare canti taciuti, a dar voce a melodie sussurrate.
Alessio Surian
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