Noi non ci sanremo, L’Asino che Vola, Roma, 11 febbraio 2025

Sanremo, si sa, è Sanremo. Lo è nel bene e lo è nel male, che lo si osanni o lo si critichi è qualcosa che alla fine ti coinvolge, e riesce a farlo anche per contrarietà. Da qualche anno a questa parte accade, infatti, che la prima serata del Festival della canzone italiana sia attesissima anche da parte di un manipolo di cultori del genere d’Autore, genere che sicuramente non vede in Sanremo il momento “clou” della sua rappresentazione, anche se la musica d’Autore a Sanremo in realtà non è mai mancata. È nata quasi per gioco tre anni fa su iniziativa di Luigi Grechi de Gregori, fratello del più noto Francesco: un’iniziativa che, proprio in concomitanza con l’inizio del festival, propone una minikermesse di selezionate e raffinate sonorità autoriali. Il tutto si svolge tra le accoglienti mura dell’Asino che Vola, locale romano che da tempo oramai rappresenta un punto di riferimento irrinunciabile per chi, fuori dal clamore dei grandi eventi, ama raccogliersi intorno a fraseggi musicali più intimi, in un’atmosfera gradevolmente vintage che riporta ai tempi dei locali underground, culla di note che negli anni avrebbero accompagnato le più vibranti emozioni di un’intera generazione. E se tutta l’Italia guarda Sanremo, “Noi non ci Sanremo” vuole porsi come elegante alternativa a un contesto dove la musica troppo spesso passa in secondo piano rispetto al grande carrozzone su cui viene ammassata. Il locale è gremito, addetti ai lavori si scambiano saluti e abbracci, gomito a gomito con un pubblico
multigenerazionale, che non vede l’ora di godersi le proposte sonore senza distrazioni glam o gossip riecheggianti. Sono i “Giovani del Folkstudio”, che poi non sono proprio tutti giovani, ad alternarsi sul palco e a farlo gratuitamente. Lo fanno in realtà una volta al mese, quindici cantautori che arrivano da ogni parte d’Italia per pura passione e il piacere di rivolgere a un pubblico consapevole il proprio messaggio sonoro e poetico. E, come ogni mese, fuori selezione e fuori scaletta, i primi tre che si presentano entro le 19,30 all’Asino che Vola hanno la possibilità di raccontarsi senza filtri, senza censure, senza timori. Insomma, è la prima serata del Festival, vero, e da tre anni è diventata un must, ma qui all’Asino questa cosa si fa abitualmente. E la si fa da dieci anni. Nella breve introduzione narrativa, Luigi Grechi spiega che si tratta di una “garbata” opposizione al Festival, che rivendica il diritto di fare musica in maniera libera, fuori dai paletti imposti dagli sponsor, dai deliri della sala stampa, dal timore della critica, dall’ansia della competizione, dai tempi incalzanti, dalla pubblicità intermittente. Sappiamo che Sanremo, nel corso della sua esistenza, è riuscito a proporre anche ottima musica, ma lo ha sempre fatto esclusivizzando l’evento, quasi che, al di fuori di Sanremo, la musica non possa essere divulgata e goduta. È una sorta di stagionalità che annulla in una ciclicità spesso alienante la proposta musicale per assecondare le esigenze di un mercato che “o vendi o sei out”. E, con i meccanismi odierni che non computano più copie di dischi ad arricchire le collezioni casalinghe di ciascuno di noi, ma fanno riferimento alla compulsione di un clic, diventa sempre più difficile trovare spazi e momenti in cui restituire alla musica il respiro che merita, e i giusti tempi e modi di ascolto. Qui, sul piccolo palco dell’Asino questo respiro se lo prendono Paganini, Marcello Canzonieri e Riccardo Vicentini, che hanno vinto la sola sfida contemplata: presentarsi entro le 19,30. Sono note, storie, chitarre, poesia, e un pubblico
che si fa man mano più numeroso ed attento ai racconti di vicende familiari in cui ci si specchia, di viaggi, di incontri che ciascuno di noi ha in qualche modo vissuto nella sua esistenza. Dall’antipasto si passa alla pietanza, la prima servita da Lorenzo Lepori e la dichiarata voglia di esprimersi e poi da Carlo Valente, che è stato uno dei ragazzi che, dieci anni fa, si conquistarono questo spazio con l’intenzione di farlo germogliare e crescere. Emilio Stella ci racconta le sue “Cose Piccolissime” ma vitali, Leo Folgori irrompe con un prezioso blues realizzato nella più classica delle forme stilistiche, e Gaia Clarizia, definita da Grechi la “quota rosa” della serata srotola “Il Velo”, ballata delicata come le ali di una libellula. Sono ragazzi giovani, commoventi nella loro voglia di raccontarsi e nel loro entusiasmo, e a chi è fresco di visione di “A Complete Unknown” certe analogie se non altro ambientali non possono non venire in mente. Il livello anagrafico si alza un poco, e prende chitarra e scena Paolo Capodacqua, che propone due ballate intense ed eseguite con poetico mestiere, una dedicata ai migranti e un’altra al Che. Lo fa con lirismo, senza retorica, e con quella capacità di ricamare ad arte il pizzicar di corde che gli è propria e ne fa uno dei migliori chitarristi e compositori che il nostro panorama musicale possa vantare. Ma “Noi non ci Sanremo” non è certo da meno del festival, ci mancherebbe. E anche qui all’Asino arriva la guest star: fedele all’appuntamento da oramai tre anni, e sicuramente assai più performante
dell’affaticato Simon Le Bon che avremo modo di vedere sul palco dell’Ariston nei giorni successivi, fa il suo ingresso il “raccomandato “ Francesco de Gregori, in una bolla di commozione che scalda il pubblico, emozionato da un contatto che diventa fisico, uno scambio energetico intenso e coinvolgente cui il Principe non si sottrae di certo. La fisarmonica passionale di Primiano di Biase intona “Belle Époque”, e l’incanto si fa materia, per proseguire con “Falso Movimento” e “Stelutis Alpinis”. È sicuramente il momento topico della serata, e ci starebbe che la gente abbandonasse la platea dopo la magia di Francesco de Gregori, ma non accade; perché chi questa sera è all’Asino vuole godersela fino in fondo la proposta musicale, e non ha da pentirsene. L’onere dell’esibizione successiva a cotanto nome è affidato a Giovanni Block, non sconosciuto a questo palco, che da Napoli ci porta la sua inarrestabile ironia e freschezza, e come sempre coinvolge il pubblico in maniera diretta e teatrale proponendo una composizione importante dedicata alle morti sul lavoro, e successivamente il brano che probabilmente meglio fa da cornice a questa serata e che racconta, con un fraseggio serratissimo riecheggiante l’incalzante rap di Caparezza, del rifiuto di omologazione artistica che è poi il valore condiviso da tutti i partecipanti alla serata. A seguire, un altro De Gregori, un De Gregori per caso, che di nome fa Daniele e , accompagnato dall’elegante chitarra di Fabrizio Emigli, ci canta d’amore, dell’amore famigliare che tanto spazio ha trovato quest’anno sul palco Sanremese, non sempre con la stessa spontaneità e freschezza, purtroppo. È poi la volta di Gianluca Bernardo ed Emanuele Colandrea, e ancora Lucio Bardi e Fabrizio Emili, e si ritorna pian piano adolescenti, quando i cantautori ci accompagnavano nelle sottolineature dell’esistenza, e ci fornivano un conforto che non sempre si riusciva a trovare in famiglia o tra gli amici. “A che serve scrivere canzoni se non le puoi cantare col primo che passa” dice Colandrea, e sono quelle le note che ti accompagnano tutta la vita. Sono le note che ritroviamo in tanti
brani che ci hanno fatto compagnia, indelebili come solo la cifra introspettiva delle note d’Autore riesce ad essere. Sono le note di canzoni come “Amici Mai” e “Sono solo canzonette”, per intenderci, che riecheggeranno proprio sul palco dell’Ariston tra qualche giorno. E nel guardare i numeri di Bennato e Venditti, non possiamo dimenticare il nostro germogliare insieme, i poster in camera, gli accordi riprodotti in maniera incerta sul manico di una chitarra, le voci un poco stonate, i vinili consumati fino a forarne i solchi, e ad un tempo non ritornare a questa indimenticabile serata all’Asino. Ma sono e saranno anche le note, ne siamo certi, di “Volevo essere un duro” che a Sanremo trionferà, fornendo a posteriori un significato ancora più intenso a questo bellissimo momento musicale. Lucio Corsi è uno dei ragazzi che il palco dell’Asino ha entusiasticamente ospitato, accolto e coccolato quando ancora nessuno poteva prevedere come sarebbe andata a finire. A conferma che il desiderio di qualità, di scrittura, di musica ben composta, di immediatezza, di genuinità, di note e poesia da ritrovare “ad ogni passo della vita” non si è esaurito. E ne siamo immensamente felici. Ah…”Noi non ci Sanremo” anche il prossimo anno, ovviamente! 


Roberta Gioberti

Foto di Roberta Gioberti

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