L’immagine di una targa segnaletica stradale con il numero 25, affine a quelle che segnavano le vie della città vecchia di Mostar, è la copertina di “Bosa Mara”, album celebrativo del quarto di secolo dalla prima pubblicazione discografica dei Mostar Sevdah Reunion (chiamati MSR dagli stessi musicisti), la band bosniaca che nel suo nome ha impresso quello della storica città dell’Erzegovina. Accanto, troviamo “Sevdah”, parola turca per passione, desiderio ma anche malinconia, un genere di popular music urbano, spesso in tempi dispari, dal carattere intimista e nostalgico, la cui storia musicale ha attraversato l’impero ottomano, quello austro-ungarico e la vita musicale della Jugoslavia fino alla creazione di una sorta di canone stilistico (operata dalla mediatizzazione radiofonica). La sevdah ha avuto più ampia diffusione nel circuito world music tra gli anni ’90 del Novecento e il nuovo millennio dopo l’implosione dello stato degli slavi del sud cui seguì una forte esposizione nei media delle musiche tradizionali e pop di quelle terre. È quel contesto post-bellico (1992-1995 sono gli anni del conflitto in Bosnia-Erzegovina) che spiega il significato del terzo termine, “Reunion”. Dragi Šestić, allora un giovane appassionato, inizia a ricercare e a radunare fuori e dentro il Paese straordinari cantori e strumentisti fino a diventare il produttore della band. Una storia di passione, di impegno, di grande perseveranza di un personaggio incredibile, musicista non professionista in grado di costruire qualcosa di culturalmente enorme nei tragici ma anche speranzosi anni del dopoguerra.
Qui non ripercorreremo la storia di dischi epocali, di separazioni, di perdite e di tutto ciò che di magnifico è accaduto in questi venticinque anni di vita dei MSR, piuttosto andremo a dire di più di questo album giubilare, “Bosa Mara” (“Maria a piedi nudi”), titolo di una canzone nella tracklist. Con Dragi in cabina di regia come produttore e, come sempre, in veste di attento e amorevole manager e discografico della Snail Records, la band resta fedele alla proposta revivalistica della sevdalinka, pur attingendo ad altri repertori balcanici, dalla Croazia al Kosovo albanese ma non solo, perché sorprendentemente dentro troviamo influenze bluegrass, rock, jazz, latine e pure una cover. Oggi, i membri della formazione mostarina sono Antonija Batinić (voce), Miso Petrović (chitarra solista e ritmica, arrangiamenti), Sandi Duraković (chitarra ritmica), Gabrijel Prusina (pianoforte e fisarmonica), Ivan Radoja (violino), Marko Jakovljević (contrabbasso e basso elettrico e šargija) e Senad Trnovac (batteria). Con la partecipazione di Boris Vuga (fisarmonica in “Zatvorena kapija”), Pedro El Granaino (voce in “Čaje Šukarije”), Muntu Valdo (voce, chitarra ritmica e armonica in “E Titi Lambo”), Miguel El Cheyenne (cajon e handclap in “Chaje shukarije”), Dominic Ntoumos (tromba in “E Titi Lambo”) e Djeno Mujić (percussioni, “Zatvorena kapija” e “Chaje shukarije”).
L’opener è il tradizionale albanese-kosovaro “Zatvorena kapija” (Il cancello chiuso), tratto dal repertorio della cantante Nexhmije Pagarusha, che mette in bella mostra il canto ispirato di Antonija Batinić, meno che trentenne vocalist della band a partire dal precedente “Lady sings the Balkan Blues”. https://www.blogfoolk.com/2023/02/mostar-sevdah-reunion-lady-sings-balkan.html La sua voce domina anche nella successiva “U Trebinju gradu” (Nella città di Trebinje), canzone ricca di pathos in una versione particolarmente riuscita, vuoi per le transizioni accordali che per l’uso dei cori. Con questo brano inizia il trittico di sevdalinke bosniaco-erzegovesi: è uno scavo tra brani dimenticati o, se celebri, vestiti di nuovi panni come la danzante “Zvijezda tjera mjeseca” (“La stella insegue la luna”) e la spumeggiante title track, “Bosa Mara Bosnu pregazila” (Mara a piedi nudi ha plasmato la Bosnia), motivo dalle marcate venature bluegrass. Lirismo appoggiato sulle corde argentine della chitarra in “Djevojka je zelen bor sadila” (La ragazza piantava un abete verde), un altro tradizional ben conosciuto. Si cambia registro con “Čaje Šukarije” (Bella ragazza), super classico reso famoso nell’interpretazione dell’immensa cantante rom macedone Esma Redžepova, a cui è conferita una brillante vesta flamenco-rock-jazz, grazie alla complicità del cantante gitano andaluso Pedro El Granaíno. Segue “A što ti je mila kćeri?” (E cosa hai, mia cara figlia?”), composizione del poeta romantico serbo Jovan Jovanović Zmajm (1833-1904), le cui poesie sono spesso state musicate. La lirica, che sembra riflettere la preoccupazione di una madre per la figlia, diventa una ballata intensa caratterizzata dal dialogo tra corde e piano. Sorprende, poi, il duetto con l’artista camerunense Muntu Valdo nella canzone di umore afro-latino “E Titi Lambo” (Non importa) proposta in versione bilingue con deliziosi fraseggi di tromba e violino. Pure inatteso è il classico messicano “Besame Mucho”, che in bosniaco diventa “Ljubi me”, in virtù dell’adattamento realizzato dal chitarrista solista della band, Mišo Petrović. Lo stesso musicista firma la musica di “Mesem Chori”, scritta in collaborazione con l’artista e attivista rom serbo Dragan Ristić (dei Kal), che l’aveva confezionata tanto tempo fa per la grande cantante rom Ljiljana Buttler senza mai averla utilizzata. L’andamento melodico sinuoso e l’inflessione vocale soul di Batinić, il ritmo irregolare e swingante, il groove che richiama sonorità ragtime e R’n’B lo rendono uno dei brani più squisiti del lavoro. Superba e accorata l’interpretazione di Antonija di “Daj mi Bože joči sokolove” (Dammi, o Dio, occhi da falco), una potente immagine poetica che evoca il desiderio di raggiungere la propria amata. Questa ballata croata proviene dal Međimurje, la regione “tra i fiumi” situata nella parte settentrionale della Croazia, al confine con la Slovenia e l’Ungheria. È la canzone che ci conduce in fondo a questo album che sembra segnare l’inizio di nuovi e avvincenti percorsi per la strepitosa storia dei MSR.
Ciro De Rosa
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