Esprit de finesse e meticolosa ricerca musicale sono i “segni particolari” di Filippo Gambetta (organetto e mandolino brasiliano) e Alessandro Scotto d’Aniello (chitarra brasiliana a 7 corde). I due strumentisti e autori, insieme agli ospiti di questo esordio discografico, approdano al debutto dopo anni di session informali e concerti. Con “Choropo” – una crasi che unisce due espressioni musicali popolari sudamericane, il choro e lo joropo – dirigono il timone oltre oceano, verso sud. Il choro, nato a Rio de Janeiro agli inizi del Novecento, nel corso del tempo ha assorbito influenze da vari generi, non solo brasiliani. Lo joropo, invece, è una danza in forma ternaria dichiarata nel 2014 Patrimonio Culturale del Venezuela. Però non siamo di fronte a un semplice florilegio di repertori, bensì a un vivace dialogo timbrico tra due strumenti insoliti, a un gioco di rimandi musicali tra le due sponde dell’oceano, a intrecci e connessioni temporali che arricchiscono la tracklist con valse musette, mazurche, tarantelle e liscio. Freschezza, passione e voglia di esplorare ci hanno conquistati: “Choropo”, pubblicato da Visage Music a cavallo tra la fine del 2024 e l’inizio del nuovo anno, è il nostro disco del mese. Ne parliamo con i due musicisti genovesi.
Come nasce questo duo?
Alessandro Scotto d’Aiello - Con Filippo ci siamo conosciuti durante varie rode di choro che si svolgevano nella nostra città; da lì, soprattutto durante la pandemia, abbiamo preso l'abitudine di vederci per condividere le nostre esperienze e conoscenze musicali e per studiare assieme nuovo repertorio. In un momento di apertura durante la prima estate dopo il lockdown quasi casualmente abbiamo iniziato a
suonare come duo in un locale sul mare a Genova, così, poco a poco, abbiamo iniziato a notare le potenzialità che poteva avere il nostro incontro.
L’interesse verso lo choro e le forme di joropo venezuelano, divertissement o studio “matto e disperatissimo”?
Alessandro Scotto d’Aiello - Tutto parte dalla voglia di condividere musica assieme. Quando abbiamo iniziato a suonare insieme, Filippo aveva già da più tempo esperienza con lo choro, io tramite l'interesse per il samba mi stavo avvicinando da poco anche a questo genere brasiliano. C’è da dire che io in quel momento ero da poco tornato da vivere quasi quattro anni in Sudamerica, dove per due anni ho viaggiato nel continente alla ricerca di vari generi folclorici locali. In questo modo ho imparato vari ritmi e una maniera diversa di pensare musicalmente. Nei nostri pomeriggi di studio e condivisione musicale ci siamo messi a tirare giù quasi per gioco musica strumentale venezuelana per mandolino, ascoltando i dischi di maestri del genere e in questo modo si è iniziato a delineare il repertorio del nostro duo.
Secondo voi che ruolo occupano choro e joropo nelle rispettive culture plurali di Brasile e Venezuela?
Filippo Gambetta - Lo Choro in Brasile e lo Joropo in Venezuela, non sono generi musicali settari o legati solo ad uno strato della società o a un nugolo di appassionati. Al contrario, rappresentano gli ingredienti spesso principali che hanno definito la grande canzone popolare delle rispettive nazioni. Troviamo così canzoni su una base joropo nel repertorio della grande voce del Venezuela, Simon Diaz, oppure - per il
Brasile - intrecci e colori "choristici" nella grande tradizione della canzone e del samba (samba e choro, del resto, sono storicamente generi molto connessi). Nel presente questi generi musicali sono veicolo di grande valore nel creare ponti culturali, con artisti stellari del calibro di Hamilton de Holanda e Alexis Cardenas costantemente impegnati a declinarle in infiniti contesti nel panorama world.
Come avete costruito il suono di questa accoppiata inusuale tra organetto e chitarra a 7 corde e bandolim, anche considerato l’uso di strumenti diversi da questi nelle differenti tipologie di joropo?
Filippo Gambetta - Per prima cosa va detto che abbiamo a lungo vissuto – e tuttora viviamo – la pratica dello choro in una dimensione “dal basso”, confrontandoci ed apprendendo nel contesto della roda de choro, occasione informale in cui suonare con altri appassionati del genere. Questo rappresenta senza dubbio il sostrato su cui si fonda il sound del nostro duo. Per il resto, attraverso lo studio e le esperienze di ognuno di noi, ci siamo sentiti pronti per creare oggi ponti tra i vari linguaggi che abbiamo studiato e praticato negli anni. Crediamo che un concerto ed un album caratterizzati da colori differenti, strutturati come un viaggio tra le due sponde dell'oceano, possano essere un veicolo per aprirci ad un pubblico curioso e non solo di addetti ai lavori.
Il ruolo della settima corda del violao è un passaggio cruciale nello sviluppo dello choro…
Alessandro Scotto d’Aiello - Il ruolo della settima corda nello choro viene dall’imitazione dei controcanti scritti ed eseguiti al sassofono tenore da Pixinguinha, grande capostipite del genere. Si narra che il suo
chitarrista abbia visto dei musicisti gitani provenienti dalla Russia utilizzare una di queste chitarre a sette corde, e così abbia deciso di incorporarla al genere, per avere più possibilità dal punto di vista dei bassi. Da lì in poi questo tipo di chitarre sono diventate imprescindibili strumenti del genere creando varie generazioni di sette cordisti a partire dal famoso Dino 7 Cordas, chitarrista che ha gettato le basi del linguaggio accompagnando tra gli altri i dischi di choro di Jacob do Bandolim ed i dischi di samba di Cartola.
Come avete scelto i brani di choro da interpretare?
Filippo Gambetta - La scelta è spesso dettata dalle esigenze dell’organetto, che non ha le stesse possibilità (per estensione, tessitura e va dicendo) della fisarmonica e quindi funziona bene solo in alcuni brani scelti del genere. La tonalità è per esempio un altro vincolo legato al tipo di strumento che suono. Pagao, Sorriso de Cristal, Louco por musica sono brani che suoniamo da tempo e che fanno scaturire alcune delle anime plurali di questo tipo di musica: ad esempio l’apertura al jazz suggerita da “Louco por Musica”.
Attraversate più volte l’oceano, interpretando il valse musette e il ballo liscio con due autori come Joseph Colombo e Wolmer Beltrami, molto diversi tra loro…
Filippo Gambetta - Il carattere veloce e terzinato è il trait d’union dei due valzer del disco. Hanno come scrivi, colori e climi differenti. Il tema di Wolmer Beltrami (“Lo Scapolo”, ndr) ha accordi jazzistici ed un'anima scanzonata, mentre “Nany” è più lirico ed arioso, con una sonorità più d’antan. Per entrambi i
brani si tratta di giocare a portare sull'organetto una musica propriamente per la fisarmonica, nell'insolito abbinamento con la chitarra sette corde.
La predilezione per il ballo vi porta a riprendere una mazurka e un merengue d’autore…
Alessandro Scotto d’Aiello - Esatto, il duo, per quanto si esibisce spesso in concerti da ascolto, ha una solida base ritmica e interpreta musiche provenienti dal ballo. Questo perché le nostre esperienze musicali derivano da molte musiche danzanti, del resto quasi tutto ciò che é musica folclorica ha un forte legame con il ballo e questo si può notare in quasi tutto il nostro repertorio.
E a contribuire con vostre composizioni: “El Mercado Oriental”, “Upupa”, “Andorinhoes” e “Taranatré” per Filippo…
Filippo Gambetta - Sono quattro composizioni molto diverse tra loro. “El mercado Oriental” è uno joropo, “Upupa” una mazurka lenta, “Andorinhoes” uno choro dedicato all'arrivo dei rondoni a Genova in primavera, Tarantatré una tarantella. Tra le quattro quella più inusuale è senz'altro “El mercado Oriental”, perché per la prima volta ho giocato a portare sull'organetto i colori del folclore venezuelano (genere in cui l'organetto è tradizionalmente presente, anche se in misura di molto inferiore rispetto a mandolini, mandole, cuatro, arpa).
Alessandro Scotto d’Aiello - Questo pezzo nasce dall'idea di comporre un baiao ma poi le vie della composizione sono infinite e ne è nato un pezzo di confine, come si può anche notare dal nome, così abbiamo deciso di registrarlo nel nostro disco anche per sua anima meticcia.
Non mancano ospiti che cesellano con i loro strumenti… come li avete scelti?
Alessandro Scotto d’Aiello - Quasi tutti gli ospiti che hanno partecipato al nostro disco sono nostri amici musicisti con cui ci è capitato di suonare assieme in varie occasioni. Per molti aspetti le nostre scelte sono state naturali, come per esempio la partecipazione di Fabio Vernizzi in “Louco por musica” (un pezzo che avevamo eseguito in trio varie volte,); essendo lui un ottimo pianista jazz, ha aiutato a dare un tocco importante alla composizione. Sia il flauto di Marco Moro – ospite in “Baiao Mediterrao” – che il sax soprano di Giulio Gianí che ha suonato in “Sorriso de cristal” sono stati elementi piú volte presenti nelle nostre rode di choro o serate musicali. Saulo Giovannini è un ottimo pandeirista e percussionista brasiliano che risiede in Portogallo, dove in questo momento sto vivendo e partecipando insieme a lui a vari progetti; l'unica musicista che non conosciamo personalmente é Rebecca Roger Cruz polistrumentista venezuelana che ha partecipato registrando le maracas di un joropo di nome “Pa’ oriente compay”.
Filippo Gambetta - Durante il mese di marzo terremo in Italia un tour di presentazione dell'album, che toccherà numerose città tra cui Torino, Milano, Genova, Aosta, Brescia. Anche l'estate 2025, che va piano piano imbastendosi, sarà un periodo molto incentrato sui concerti del duo, principalmente in rassegne musicali nazionali. In concerto proponiamo il repertorio del disco, attraversando quindi alcune delle musiche popolari di Europa e Sudamerica da noi riarrangiate con organetto, chitarra sette corde e bandolim. Punto di forza del nostro concerto è sicuramente la varietà dei climi che portiamo, passando da un valse musette a una mazurka lenta, da uno choro sambato a una tarantella, da un veloce tema popolare venezuelano ad un clima di confine con il jazz.
Ciro De Rosa
Filippo Gambetta e Alessandro Scotto d’Aniello – Choropo (Visage Music, 2024)
Come si può leggere nell’intervista, lo spirito del duo formato da Filippo Gambetta e Alessandro Scotto d’Aniello è quello che si compone tra lo studio, la frequentazione e la voglia di suonare, interpretando e rappresentando, mettendolo insieme le suggestioni di alcune musiche sudamericane. Nello specifico si tratta di alcune musiche brasiliane (choro) e venezuelane (joropo), che dialogano con musiche a dir poco distanti (valse musette, mazurca, tarantella, liscio) e che, nei loro intrecci e nelle interpretazioni di questo duo eccelso, tratteggiano il profilo di un panorama sonoro del tutto nuovo, pronto a essere ritrasmesso, suonato. Questo spirito misto di assorbimento ed esecuzione lo si riconosce nella sequenza dell’album, in cui si rincorrono (letteralmente) dodici brani densi, pregni di dita, tasti e corde, pulitissimi e profondi. Ma lo si riconosce anche nel modo in cui sono stati eseguiti e fermati nelle registrazioni. Che – inutile dirlo – sono state realizzate in diretta: perché, deduciamo e confermiamo, lasciano l’impronta del suono puro, poroso della performance. Attenzione, non si tratta di sbilanciarsi per forza – a scapito della precisione e di una profondità più verticale o di concetto – a favore di un’immediatezza e, infine, di una dimensione più partecipativa come l’esecuzione live. Si tratta, in questo caso, di riconoscere la raffinata analogia che i due musicisti – accompagnati da strumentisti straordinari – riescono a mantenere tra la trama e il discorso, tra la storia che hanno conosciuto e la voce che sono riusciti a darle: tra le matrici, le iconografie e l’interpretazione. La narrativa che si produce non manca di nulla: né di profondità né di intensità. Al contrario, in questa dimensione pregna di elementi che si compensano e sostengono, la narrativa del duo è sempre chiara e orizzontale, diretta al punto culminante di ogni processo. Quella sensazione della rincorsa che connette i brani è un vero sollievo: perché definisce una cornice di sicurezza, quasi di naturalezza. Come se il discorso – così ben assemblato e incastrato – non potrebbe, date le condizioni e gli agenti, assumere una forma diversa. Insomma, ci si sente appagati e si riesce a godere di tutti i passaggi, come se si fosse, da questi, trasportati, sostenuti, alleggeriti. Come emerge dall’intervista, una buona parte del lavoro è stata determinata anche dagli strumenti principali: chitarra brasiliana a sette corde (suonata da Alessandro Scotto d’Aniello), mandolino brasiliano (il mitico bandolim) e organetto (suonati da Filippo Gambetta). Insieme producono un sono “oversize”, misto, che raccoglie e amplifica i riflessi più intensi: che si amplifica circolando tra quei tasti e quelle corde. Un suono che – nello schema di una polivocalità sempre intensa – definisce una dinamica trascinante, in cui i timbri si riformano nel dialogo, scacciando definitivamente i riferimenti più riconoscibili. Questa dinamica, se per i più è difficile riconoscerla nei brani delle tradizioni sudamericane, appare del tutto evidente in quelli europei, nei quali risuonano infinite trasfigurazioni, sia di forma che di senso. D’altronde, tanto per riportare tutto al visibile, l’intersecazione (diremmo, a questo punto, ragionata quanto ispirata) è alla base del titolo stesso dell’album, che coniuga quei due riferimenti primari in cui si sono immersi Gambetta e d’Aniello: lo choro e lo joropo (Choropo). Insomma tutto conduce qui, come ci dicono i due maestri genovesi, nel carattere composito delle espressioni popolari cui rimandano: sono generi che “hanno definito la grande canzone popolare delle rispettive nazioni”, fino ad arrivare ad “artisti stellari del calibro di Hamilton de Holanda e Alexis Cardenas”. Allo stesso modo, la loro elasticità raggiunge e penetra l’Europa più aperta, nella quale il ritmo è romanticamente assuefatto dalla voce degli strumenti e dal rintocco squillante dei passi dei danzatori. Una volta solcata questa via non si torna più indietro, perché si è colpiti in pieno dal vortice roboante delle influenze.
Daniele Cestellini