Libérica – Alé-Iberian Chants (Segell Microscopi, 2025)

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Un genere antico come il flamenco, con i suoi palos distribuiti nelle diverse aree geografiche della Spagna, unisce musicalmente il Paese: è questa una peculiarità che si può ritrovare in pochissimi altri generi e luoghi. Quando poi si sommano a questo genere, già autoriflessivo, altre nobili espressioni come il jazz non si possono che raggiungere raffinati risultati come quelli evidenti in questo disco. Le voci dei cantanti catalani Pere Martínez, del valenciano Carles Dénia e del gaditano Antonio Lizana si incontrano in Libérica testimoniando coesistenza stilistica, mentre la tromba e la voce della eccellente Alba Careta e il sassofono della giovane e talentuosa Aina López portano una irrefrenabile energia all’interno dell’ensemble. Nella sezione ritmica troviamo invece il pianista Max Villavecchia, i batteristi Raphael Pannier e Oriol Roca, e lo stesso leader del gruppo Manel Fortià al contrabbasso, strumento unificante e davvero dominante nel progetto. Ne scaturisce un riuscitissimo esperimento dove si passa da atmosfere jazz, addirittura free jazz, ai ben più tradizionali palos flamenco e viceversa, con naturalezza e senza soluzione di continuità; un’operazione che risulterebbe finanche ostica se non fosse trattata con la poesia, la competenza e la perizia di questi artisti. Introdotto da un assolo di contrabbasso pizzicato, Il primo palos che incontriamo in “Rossinyol” è quello della Soleá, che connota etimologicamente la solitudine, in questo caso di una donna nubile. Da questo mood ben presto si esce per perdersi in un assolo pieno di grinta e rassegnazione di Aina Lopez, che alla fine sfocia di nuovo nel canto flamenco di Pere Martínez, continuando il dialogo con il sax e creando un affascinante contrasto. Il secondo brano è invece l’evocazione di una bulerías tradizionale accompagnata da Manel Fortià e Raphael Pannier. Si tratta di una ninna nanna della campagna di Tarragona (Catalogna) intitolata “Sant Joan Feu-lo
Ben Gran”. Qui il dialogo avviene tra Pere Martínez e Antonio Lizana, all’interno del quale si ascoltano in eco frammenti della nota “Nana del Caballo Grande” di lorchiana memoria, cantata da Camarón de la Isla. “Malagueña de Barxeta” è un classico valenciano in cui protagonista è appunto il famoso compas originario di Malaga. Qui si può ascoltare sul tappeto della sezione ritmica il duetto Pere Martínez-Carles Dénia, e successivamente ancora un assolo di sassofono di Aina López che dialoga con la voce. Verso la fine compare uno dei riff più iconici del flamenco. Con “Granaïna de Montaverner”, introdotta dal contrabbasso suonato con l’arco invece, grazie alla partecipazione di Carlos Dénia si scivola dal compas libero della granadina valenciana ad una libera buleria. In risposta, appare una versione molto bella e originale di una granadina flamenca, intitolata “Lo que lloró”, eseguita da voce, pianoforte, percussioni e contrabbasso. Segue un classico come “La Tarara”, che mescola le liriche di Lorca e Camarón con i testi valenciani del canto pasquale che ha lo stesso titolo. La forza della ripetitività del “tarara” mista alla poetica di Lorca e Camarón in un ambiente popolare valenciano. “Lo que lloró” è una granadina classica dove l'idiomatica chitarra è sostituita da un delicato accompagnamento del pianoforte suonato direttamente sulla cordiera che introduce la suadente voce. Segue un efficace tema originale di due note congiunte discendenti, trasportata a diverse altezze e su cui si incastra l’onomatopeico “tarara” ripetuto e poi la sorprendente citazione dello standard jazz “All things you are”, ripreso
dall’improvvisazione del contrabbasso. In “Cants de Batre” troviamo ancora una volta il duo Pere Martínez-Carles Dénia, mentre il resto della band improvvisa. Arriviamo a Valencia dove compare un classico come “Malagueña de Barxeta”, e dove possiamo godere di nuovo dell’accoppiata Pere Martínez-Carles Dénia, e anche un assolo di sassofono di Aina López che dialoga con la voce. Torniamo in Catalogna, a San Joan de las Abadesses (Girona), e troviamo questa versione di “Comte Arnau” dove, dopo un’introduzione libera appare il canto su un ritmo dispari 3+2 seguito da un eccellente assolo di sassofono Antonio Lizana. Invece “A Dibujar Esta Rosa” è un’alegrias che presenta il tradizionale “tiriti tran tran tran”, seguito da una parte libera e fantasmagorica che, dopo la chiusura cadenzale alla fine di ogni strofa cantata, introduce delle improvvisazioni strumentali solistiche e alla fine collettive. Ritorna poi l’alegrias tradizionale. Segue la famosa “Cançó del Lladre” la cui melodia i chitarristi classici conoscono molto bene nell’elaborazione di Miguel Llobet nelle sue ‘Canzoni catalane’. Ancora, ecco “El Garrotín”, un palos binario dell’Asturia ma originario dal tango catalano, che qui è trattato con il compás di dodici della Seguryia andalusa in un clima di jazz new Orleans. Non ci poteva essere modo migliore per sintetizzare il messaggio di questo gruppo e concludere questo lavoro. Un disco di grande fascino e spessore artistico, molto suggestivo e particolare per le “corde” a me vicine che mi risvegliano tante situazioni musicali vissute. Ci auguriamo di sentire sperimentazioni di così alto livello nel nostro Paese, che ha un patrimonio folklorico inestimabile, da Nord a Sud. 


Francesco Stumpo

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