(a cura di Vincenzo Esposito), Annabella Rossi, Il colpo di sole e altri scritti sul Salento, Kurumuny 2024, pp. 160, euro 16,00

Annabella Rossi (Roma 14 settembre 1933 - 4 marzo 1984) continua ad essere, nella storia della ricerca demo-antropologica italiana del Dopoguerra, una figura relativamente poco conosciuta. E questo nonostante la quantità e la qualità dei suoi studi e delle sue ricerche sul campo, svolte spesso in collaborazione con studiosi di assoluto prestigio (su tutti Ernesto de Martino e Roberto De Simone). Ancora oggi, a oltre quarant’anni dalla prematura scomparsa, colpisce la pionieristica documentazione prodotta e composta da materiali di ricerca raffinati, ottenuti nel ricorso alla macchina fotografica e alla ripresa video e sonora come parte integrante dell’indagine etnografica, restituendoci un ineguagliato fondo archivistico di tracce sonore, fotografiche e video, depositato presso l’Archivio dell’Istituto Centrale per il Patrimonio immateriale del MiC, che sta procedendo gradualmente alla sua sistemazione, digitalizzazione e valorizzazione. Questo appassionato percorso di indagine e riflessione ha un punto di partenza quanto mai emblematico: la partecipazione – da giovanissima e con modalità rocambolesche – alla spedizione del 1959 diretta da Ernesto de Martino nel cuore del Salento sul fenomeno del tarantismo. Un interesse per l’enigmatico fenomeno e per il territorio che ne fu la “patria elettiva” (anche se come è attestato la sua diffusione è ben più ampia e “mediterranea”) che la studiosa romana coltiverà assiduamente – all’interno di un’attenzione più generale per le forme della vita associata, della religiosità popolare e della cultura materiale del Meridione italiano – fino alla fine dei suoi giorni, dedicandovi frequenti visite, ricerche, pubblicazioni e preziosi documentari che saranno trasmessi anche dai canali Rai. In particolare, dalla partecipazione alla ricerca di Ernesto de Martino sul tarantismo, scaturirà – proprio nel giorno della festa di San Pietro e Paolo, il 29 giugno – un incontro cruciale: quello con Michela Margiotta, una contadina ‘tarantata’ (nata nel 1898) proveniente da un paese vicino, Ruffano, con cui intratterrà nei sei anni seguenti una fitta corrispondenza, iniziata spontaneamente da parte della donna che sarà l’‘Anna’ delle “Lettere da una tarantata” (1970 De Donato; 2015 Squilibri): una testimonianza di straordinaria efficacia espressiva, resa non a caso attraverso il solo montaggio di lettere-documento capaci di dare corpo all’intenzionalità di una testimone del contemporaneo “mondo magico” del Mezzogiorno. Michela Margiotta soffriva sia del ‘male di san Paolo’ che del ‘male di san Donato’, quindi era ‘tarantata’ e soggetta a una serie di disturbi nervosi e imputabili al volere del santo taumaturgo. Nell’anno della reciproca conoscenza, e di nuovo nel 1965, Annabella Rossi si reca a Montesano Salentino (Le) a documentare la festa di san Donato del 6-7 agosto e il dolente pellegrinaggio che vi si svolgeva (di cui scrive in “Le feste dei poveri”, Laterza 1969). All’interno della cappella i pellegrini – per la maggior parte sofferenti per il male mandato dal santo protettore degli epilettici e dei malati di mente e che solo il suo stesso tramite poteva annichilire – con indosso un abito bianco, si abbandonavano a comportamenti parossistici e convulsivi, invocazioni ed esortazioni, e trascorrevano comunitariamente la notte a fianco del santo. Nei frequenti ritorni pugliesi Annabella Rossi documenta anche diversi aspetti della vita delle comunità locali, tra cui tecniche del lavoro agricolo e artigianale, quali la produzione del tabacco, l’arte dei figuli con la lavorazione della creta a Cutrofiano e Ruffano, paese quest’ultimo in cui si recò più volte proprio per incontrare Michela Margiotta, riportando preziose testimonianze anche sull’antica fiera di san Marco e sulla imponente festa in onore di san Rocco che si svolge nella frazione Torrepaduli. Negli stessi anni ottiene la cattedra di antropologia Culturale all’Università di Salerno e conduce ulteriori ricerche, prevalentemente in Basilicata, Calabria e in Campania, dove raccoglie varie espressioni del mondo popolare, soprattutto occasioni festive legate al carnevale, impresse in diversi saggi e nel volume realizzato con Roberto De Simone, “Carnevale si chiamava Vincenzo” (1977 De Luca). Nel corso delle lezioni salernitane a cui partecipano prevalentemente giovani del luogo, si imbatte in significative sopravvivenze di locali forme di tarantismo che la conducono a promuovere nel 1975-76 una ricerca con i suoi studenti, rilevandone la persistenza, almeno fino agli anni ’60 del Novecento, nella zone intorno alla Piana di Paestum e anche nei dintorni di Sessa Aurunca, al confine con il Lazio, con caratteristiche in parte originali rispetto all’omologo salentino. Una preziosa indagine, a cui l’antropologa teneva molto, rimasta incompiuta a causa della malattia che la colpì: alcuni risultati parziali sono stati pubblicati, a cura di alcuni sui collaboratori, solo nel 1991 nel volume “E il mondo si fece giallo. Il tarantismo in Campania”, Jaca Book. L’ultimo ritorno nel Salento fu nel giugno del 1977 quando con Claudio Barbati e Gianfranco Mingozzi realizza le riprese della puntata conclusiva di un’inchiesta televisiva sul tarantismo, trasmessa sul secondo canale della Rai l’anno successivo, dal titolo “Sud e magia. In ricordo di Ernesto de Martino”, che comprenderà la documentazione di un esorcismo domiciliare di un tarantato, “Romano di Nardò” e una controversa e animata intervista a “Maria di Nardò”. Personaggio quanto mai significativo, Maria era stata una delle tarantate principali protagoniste della ricerca di Ernesto de Martino e della correlata documentazione fotografica realizzata da Franco Pinna, nonché delle celebri immagini del documentario “La taranta”, che Gianfranco Mingozzi realizzò immediatamente dopo la spedizione demartiniana e che viene integralmente riproposto nel documentario del 1978: un’esposizione mediatica di lungo periodo e mai esplicitamente autorizzata, evidentemente per nulla gradita da Maria, che si dimostra decisamente contrariata durante l’incontro con i ricercatori. Questo percorso scientifico e sentimentale che ha legato l’antropologa romana alla terra salentina si è voluto ricostruire nella mostra multimediale “Il Salento di Annabella Rossi. La ricerca visiva sul tarantismo e oltre”, promossa dall’Istituto per il Patrimonio Immateriale del MiC insieme al Polo Bibliomuseale Regionale di Lecce e curata da Stefania Baldinotti e da chi scrive. Dopo la prolungata esposizione la scorsa estate presso la Biblioteca Bernardini di Lecce, la mostra ha trovato spazio in diversi Comuni salentini – Montesano, Ruffano, Nardò - a vario modo coinvolti nelle ricerche della Rossi, per approdare all’attuale allestimento nel Museo della Ceramica di Cutrofiano, dove rimarrà fino al 22 marzo. Sempre nell’ambito delle attività legate all’anniversario della precoce scomparsa della studiosa romana, la casa editrice Kurumuny ha meritoriamente promosso la ristampa del volume “Il colpo di sole e altri scritti sul Salento”, originariamente pubblicato nel 2002 (fu la prima opera editata della casa editrice salentina fondata e diretta dal compianto Luigi Chiriatti), a cura di uno dei principali allievi dell’antropologa, Vincenzo Esposito, docente presso l’Università di Salerno. Si tratta di un agile volume che riporta alcuni scritti composti fra il 1960 e il 1971 prevalentemente per riviste e pubblicazioni destinate a un pubblico non specialistico (anzi, a volte con finalità quasi di promozione turistica) dedicati appunto alla terra salentina e alle indagini culturali condotte. In essi emergono uno sguardo curioso, attento ai sentimenti della gente più umile e disagiata, e i vari ambiti di cui Annabella Rossi si è interessata: l’artigianato popolare, il “mondo magico” delle “classi subalterne”, con al centro ovviamente il tarantismo; ma anche un’attenzione più generale al territorio salentino – da cui evidentemente era molto affascinata – e la sua cultura materiale, come i cibi tradizionali. Nel denso e approfondito saggio introduttivo, Vincenzo Esposito ricorda come Annabella Rossi non si stancasse di sottolineare come la propria attività di ricerca “nascesse dalla fusione dell’impegno scientifico con il suo forte interesse umano verso i deboli, gli emarginati, i subalterni, i poveri”, che in quegli anni vivevano ancora una realtà “fatta di privazioni, sfruttamento ed emarginazione culturale”, una condizione di “alterità” che poteva essere “letta e documentata attraverso il loro ‘stigma’”. Un ragionamento pienamente demartiniano (e sul rapporto con quello che la Rossi definiva il suo “maestro” Esposito si sofferma a lungo), tendente a “denunciare, far conoscere agli italiani, nella temperie degli anni Sessanta e Settanta del Novecento, le condizioni culturali ed economiche sfavorevoli in cui versavano il Sud e la sua gente e a provocare e favorire prese di coscienza individuali e sentimenti di opposizione collettiva verso quella terribile condizione di sfruttamento culturale”. Ad arricchire ulteriormente questa nuova edizione del libro, una appendice fotografica con una selezione dei bellissimi scatti salentini di Annabella Rossi conservati presso l’Archivio dell’Istituto per il Patrimonio immateriale del MiC e una introduzione della sua curatrice, Stefania Baldinotti, in cui viene descritto lo stato dell’arte del recupero del Fondo dedicato e le azioni intraprese negli ultimi anni e ancora in corso finalizzate alla tutela, conservazione e valorizzazione di questo straordinario giacimento di immagini e di memorie. 
Il libro verrà presentato nell’ambito delle attività correlate alla mostra allestita a Cutrofiano, giovedì 13 febbraio alle ore 18:00 presso il Museo della Ceramica e Biblioteca del comune salentino, con la partecipazione di Eugenio Imbriani, docente di Antropologia Culturale dell’Università del Salento, Giovanni Chiriatti, editore e direttore di Kurumuny Edizioni, Maria Lucia Colì, assessore alla cultura del comune di Cutrofiano.  

Vincenzo Santoro

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