(a cura di) Anita Pesce e Giuliana Fugazzotto, Shellac, SOFOS 2024, pp. 253, euro 38,00

Il libro che andiamo a commentare è un interessante volume dal titolo “Shellac”, a cura di Anita Pesce e Giuliana Fugazzotto, primo lavoro editoriale di SOFOS (Società italiana di studi sulla fonoriproduzione storica) e primo della collana “I Quaderni di SOFOS - Storie e strategie per la valorizzazione del patrimonio fonografico del primo Novecento”. Al di là di fare il punto della situazione sullo stato delle conoscenze sul “mondo dei dischi”, l’obiettivo è fare in modo che il grande pubblico si avvicini all’enorme patrimonio sonoro conservato e disseminato all’interno di Istituzioni statali, regionali, comunali, pubbliche e private. Il volume si divide in quattro capitoli all’interno dei quali si possono leggere testi di nove autori che trattano l’argomento del disco in gommalacca sotto vari punti di vista, sia scientifici che divulgativi. Il primo capitolo, intitolato “Storie di musicisti e cantanti, contiene due testi: Pfiferani ciociari di W. Darby e la riscoperta delle incisioni discografiche per zampogna del 1904, scritto da Giuliana Fugazzotto, e 12 cantanti ritmiche 12. Storia delle ragazze che ci hanno fatto scoprire lo swing (1939-1945)”, scritto da Simone Calomino. Il testo di Fugazzotto propone uno studio etnomusicologico sulle più antiche incisioni di musica popolare italiana realizzate da pastori e pfiferani ciociari per la Gramophone Company. Secondo le ricerche, le registrazioni si dovrebbero a William Sinkler Darby, il quale nel 1904 doveva trovarsi a Roma per registrare della musica sacra in Vaticano. Va usato sempre il condizionale perché purtroppo non si sa con certezza quando Darby sarebbe arrivato a Roma e nessun documento conosciuto riporta notizie che direttamente o indirettamente riguardino le registrazioni con i pastori della Ciociaria. Proseguendo nella lettura si possono notare degli approfonditi confronti tra le matrici, ascoltabili scansionando un QR Code che rimanda direttamente al canale YouTube di SOFOS. Il fatto di poter sentire le fonti sonore è molto utile per i lettori particolarmente interessati alla storia riportata dall’autrice. Inoltre, c’è una particolare attenzione rivolta ai modelli di zampogne suonati, al ruolo che svolgevano durante l’esecuzione e si è cercato di capire anche chi fossero gli esecutori. Entrando maggiormente nei dettagli, le zampogne svolgevano ruoli solistici e tra gli esecutori emerge la figura di Giggi il Moro, definito “lo zampognaro della Regina”, perché la regina Margherita, dopo averlo ascoltato al Teatro Costanzi di Roma, lo invitò nella sua residenza in Via Veneto a suonare nei periodi natalizi. Insomma, oltre all’aspetto etnomusicologico emerge anche un approccio riconducibile all’organologia, cioè alla branca scientifica che si occupa dello studio e della classificazione degli strumenti musicali. C’è da tenere presente che in etnomusicologia sono tanti gli studi simili a quello proposto da Fugazzotto e spesso possono emergere anche dei punti in comune fra loro. Per fare un esempio nello specifico, gli etnomusicologi che si occupano di studiare la canzone napoletana potrebbero portare avanti delle ricerche sui posteggiatori, cioè i musicisti che si potevano e a volte ancora oggi si possono ascoltare per le strade o nei ristoranti di Napoli. La storia di Giggi il Moro è molto simile a quella del posteggiatore napoletano Giuseppe Di Francesco, detto ‘o Zingariello, il quale cantò e suonò la chitarra per diversi anni nel salotto lussuoso di Richard Wagner in Germania. Il testo di Simone Calomino cambia scenario: propone una bellissima panoramica sulla diffusione dello Swing in Italia. L’attenzione è rivolta a dodici cantanti soliste che, verso gli anni ’40, introdussero un nuovo stile vocale. L’ispirazione partì da alcuni dischi Jazz americani arrivati in Italia clandestinamente, nascosti nelle stive dei transatlantici. Le cantanti di quell’epoca vennero definite “ritmiche”, in quanto il ritmo prevaleva sulla melodia. Ovviamente, come tutte le novità artistiche, lo Swing non piaceva al grande pubblico perché preferiva ascoltare le interpretazioni, spesso melense, dei cantanti melodici o della musica sinfonica, operistica etc. Allo stesso tempo lo Swing piaceva alle nuove generazioni, quindi era a tutti gli effetti una sottocultura musicale che ha avuto un progressivo sviluppo grazie a queste cantanti: Laura Barbieri, Isa Bellini, Jone Caciagli, Carlastella, Nella Colombo, Tina de Mola, Silvana Fioresi, Dea Garbaccio, Maria Jottini, Lucia Mannucci, Italia Vaniglio e Lia Vandelli. Tutte loro incisero dischi lasciando ai posteri una traccia tangibile del loro operato. Ecco che subentra la casa discografica La Voce del Padrone-Columbia, la quale per prima cominciò a usare il termine “ritmico” per definire chi cantava il nuovo stile in corso. Il secondo capitolo, intitolato “Storie di collezioni e collezionisti, contiene tre testi: International Zon-O-Phone Company / Disco Zonofono. Analisi della produzione e identificazione delle stampe”, firmato da Sergio Alfonsi, “Benedetti e Toffalori, due collezionisti e la passione per il canto”, scritto da Filomena Latorre, e “Una scatola magica (che mi ha cambiato la vita)”, opera di Mauro Gioia. Il testo di Sergio Alfonsi pone l’attenzione su una casa discografica in particolare: la International Zon-O-Phone Company, nata a Jersey City nel 1901. Dalla casa discografica americana nacque la filiale italiana che pubblicò sotto l’etichetta Disco Zonofono. Il testo è particolarmente utile per collezionisti e studiosi che vogliono riconoscere le varie stampe e distinguere le copie originali Zonofono dalle successive stampe della Gramophone & Typewriter. Viene riportato che la filiale italiana non ha avuto vita lunghissima (1901-1903), ma ha comunque prodotto 1083 matrici e un elemento importantissimo da tenere presente è questo: i dischi Zonofono hanno presentato varie etichette che si rivolgevano a un pubblico diversificato. Tra queste va ricordata l’etichetta azzurra, tramite la quale incisero molti cantanti, come il famosissimo tenore Enrico Caruso. Lo scritto di Filomena Latorre pone l’attenzione sul concetto di collezione discografica. Come si sa, chiunque può scegliere di collezionare come hobby qualunque cosa: libri, antiquariato, etc. Ovviamente, Tra questi oggetti rientrano anche i dischi. Ciò che scrive l’autrice ha un valore rilevante soprattutto se si considera che, con l’avvento delle piatteforme digitali, potrebbe essersi persa la passione di collezionare dischi. Parlare di collezione discografica non è facile, in quanto molte sono private e non sempre i collezionisti sono disposti a diffondere la conoscenza di ciò che conservano. Ma ce ne sono alcune famose: a Milano si ricorda la Collezione Contini, la più grande in Italia; a Torino c’è la collezione di Mario e Sergio Alfonsi, appassionati di lirica; poi si ricorda la collezione conservata nel Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università di Pavia; a Napoli spicca la Casa Museo di Sergio Ragni dedicata maggiormente alla musica di Gioacchino Rossini, nonché patrimonio aperto a chi vuole conoscere tutto il repertorio rossiniano. L’autrice riporta anche altre collezioni e dal testo si comprende quanto il patrimonio discografico in Italia sia tutto da scoprire. Il testo di Mauro Gioia interrompe la trattazione scientifica di tutti gli altri articoli analizzati finora ed entra in gioco la pura divulgazione, anche umoristica. Si tratta di un racconto personale di come, da collezionista e performer, M. Gioia abbia saputo trarre ispirazione dai dischi grammofonici per realizzare i suoi spettacoli e le sue “conferenze cantate”. Racconta di come progressivamente si sia costruito una grande collezione che copre quasi completamente il suo appartamento e poi riporta anche un curioso aneddoto secondo il quale un 78 giri possa essere “assunto e digerito”. Il resto dell’aneddoto non verrà svelato in sede di recensione. Il terzo capitolo, intitolato “Storie di restauri e tecnologie”, contiene due testi: “Digitalizzazione massiva e restauro digitale di dischi fonografici”, scritto da Sergio Canazza e Alessandro Russo, e “Problematiche di conservazione e nuove soluzioni per il restauro dei dischi a 78 giri in gommalacca”, scritto da Maura Fugazzotto. L’intervento di Canazza e Russo affronta la questione della conservazione, riversamento e restauro digitale dei materiali fonografici antichi. In particolare viene riportata la lunga storia del Centro di Sonologia Computazionale (CSC), facendo riferimento agli ambiti di ricerca dei quali si è occupato negli anni per la conservazione del patrimonio musicale: sistemi elettronici per la creazione musicale, sistemi digitali per la sintesi sonora, strumentalità, espressività, beni culturali musicali e interazione inclusiva. Il testo di Maura Fugazzotto è come se andasse a completare l’argomentazione del testo precedente, in quanto affronta il problema del restauro fisico dei dischi. Viene riferito che lo stato di conservazione di un disco è legato primariamente alla sua forma e al suo uso. Se un disco viene frequentemente maneggiato e conservato in ambienti non controllati, magari accatastato insieme ad altri dischi, le problematiche più comuni sono la fratturazione, la lesione, la mancanza e il distacco. A questo punto il testo riporta alcune metodologie di restauro fisico dei dischi, da metodi rozzi per, come si suol dire, salvare il salvabile, a metodi da laboratorio scientifico, quindi più precisi. Il quarto e ultimo capitolo, dal titolo “Storie dell’industria fonografica”, contiene due testi: “Milano e la rapida fortuna dell’industria fonografica italiana”, scritto da Massimiliano Lopez, e “The Milan Branch at the turn of the twentieth century: Correspondence from the EMI Archive. A look behind the scenes”, scritto da Hugo Strötbaum. Lo scritto di Massimiliano Lopez delinea la primissima comparsa delle invenzioni di Edison e Berliner a Milano, in un arco temporale che si muove tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Anche in questo caso siamo di fronte a un completamento di un altro testo, cioè quello presente nel secondo capitolo scritto da Sergio Alfonsi. Però se il capitolo precedente si basa maggiormente sulle collezioni e sui collezionisti, M. Lopez pone l’attenzione sulla ricostruzione storica degli eventi più importanti del contesto milanese dell’industria fonografica italiana. Il testo di Hugo Strötbaum è l’unico in lingua inglese dell’intero volume ed è anch’esso incentrato sulla città di Milano. Racconta in modo estremamente dettagliato e facendo riferimento a un corpus epistolare di notevole interesse storico-documentario la produzione di dischi greci della Gramophone nel capoluogo lombardo. In conclusione è necessario fare una riflessione. Siamo nel 2025. Come si ascolta la musica oggi? A partire dal 1999 la fruizione musicale ha subito un drastico cambiamento e ciò si deve a due informatici, Shawn Fanning e Sean Parker, i quali lanciarono Napster, una piattaforma di file sharing con la quale si poteva scaricare e ascoltare musica in modo gratuito. Non era certo la normalità all’epoca, dato che la musica si comprava fisicamente. In più, Napster era illegale, ma non si trattava di musica pirata, gli iscritti potevano condividere i files. Naturalmente, le majors discografiche (Universal, Sony, Warner e EMI) non erano d’accordo e si unirono per denunciare Napster per violazione del diritto d’autore. S. Fanning e S. Parker persero al causa nel 2001, quindi la piattaforma fu chiusa, ma da allora il mercato musicale non fu più lo stesso, perché se da un lato si può fermare Napster, dall’altro non si può fermare Internet. Ecco che non molti anni dopo arrivò Spotify, con la quale oggi, con un abbonamento, è possibile ascoltare un quantitativo illimitato di musica utilizzando soltanto il cellulare. Da un punto di vista pratico, piattaforme del genere sono molto comode e offrono anche un’eccellente qualità sonora, ma da un punto di vista idealistico, oggi non c’è più il piacere di andare in un negozio di dischi e di toccare con mano la musica che si sceglie di comprare. Una cosa è certa: nei decenni passati, quando non esisteva Internet, non si aveva la possibilità di ascoltare la canzone del nostro artista preferito in ogni momento della giornata. Allora un libro come questo, incentrato sulla produzione dei dischi a 78 giri in shellac, è importantissimo sia per ricordarci che la musica non si fermerà mai, cambierà sempre, sia per testimoniare come si distribuiva in passato, inoltre invita il lettore a riflettere su quanto sia immenso il patrimonio sonoro da scoprire e da conservare. 

Francesco Tommasino

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