A sette anni dalla pubblicazione del pregevole “Perle D’Appennino”, Maurizio Geri torna con “La strada” nuovo album come solista nel quale ha raccolto dodici brani autografi, dodici storie che ruotano intorno al tema della strada come teatro dove vanno in scena le esistenze di uomini e donne diversi. Quasi parallelamente è arrivato anche il gustoso “Rencontre in Italia” in coppia con il chitarrista manouche francese Tchavolo Schmitt, un viaggio attraverso la canzone classica italiana da Buscaglione a Kramer, declinato in chiave gipsy swing. Abbiamo intervistato il chitarrista e cantante pistoiese per farci raccontare questi due nuovi progetti discografici, non senza un accenno all’ultimo valzer di Bandaitaliana con il concerto del 31 dicembre e uno sguardo all’evoluzione del suo stile chitarristico e del suo songwriting.
Partiamo dall'incontro con Tchavolo Schmitt. Ce lo puoi raccontare?
Da anni conoscevo di fama Tchavolo, lo incontrai la prima volta al festival “Musica dei popoli” di Firenze, sarà stato il 1989 e quando ho avuto la possibilità di organizzare il “Toscana Django Festival” l’ho invitato e ci siamo conosciuti meglio. Da qualche tempo sognavo di registrare qualcosa con lui.
Quanto ti ha arricchito questo incontro?
Molto sia musicalmente che umanamente, Tchavolo ha partecipato con grande entusiasmo al progetto, è un musicista straordinariamente istintivo e fortissimo come improvvisatore e come armonizzatore, sul tempo poi è un metronomo vivente. Stupisce sempre un po’ trovare musicisti di questo livello che conservano l’umiltà e la voglia di condividere un percorso, quelle amicizie che fanno bene al cuore. Così come l’incontro con Marie Christine Brambilla, attrice e cantante di notevoli qualità interpretative.
Come siete approdati all'idea di pubblicare "Rencontre in Italia", il vostro disco in duo?
Dopo qualche tempo, che ne parlavamo è capitata l’occasione giusta: nel dicembre 2023 Tchavolo è venuto in Italia a suonare al Pennabilli Django Festival, mi hanno chiesto di accompagnarlo e così nei giorni successivi abbiamo organizzato la registrazione nel mio studio di Pontepetri. Ho riunito alcuni giovani musicisti italiani: Federico Zaltron al violino, Francesco Greppi alla chitarra, Pippi Dimonte al contrabbasso e nella settimana a cavallo dell’ultimo dell’anno fra brindisi e panettoni vari abbiamo inciso il disco, è stato molto divertente. Il disco esce ufficialmente a fine dicembre per “Le vele” Egea.
Qual è stato il criterio con il quale avete scelto i brani da rileggere nel disco?
Ho proposto a Tchavolo e Marie la rilettura di alcuni classici italiani, da Buscaglione a Kramer, per non fare l’ennesimo disco dove il gruppo “spalla” italiano accompagna la star straniera; abbiamo voluto suggellare un incontro di tipo artistico dove intrecciare e scoprire un terreno comune che rappresentasse sia la Francia che l’Italia. Le canzoni “Gli amanti” e “Non credo” le avevo scritte pensando proprio a questo disco; la prima la canto insieme a Marie, la seconda avevo anche provato a tradurla in francese ma poi è rimasta in lingua originale.
Come si è evoluto il tuo stile chitarristico nel corso degli anni?
Tecnicamente la musica manouche mi ha fornito elementi armonici ulteriori che si sono affiancati al bagaglio proveniente dalla musica tradizionale, non parlo in termini di difficoltà perché come sappiamo non esistono generi facili e generi difficili, tutto è difficile da suonare bene, semplicemente un ventaglio di colori in più da usare quando si fa musica. Direi che si è evoluto in base a ciò che mi era necessario nei diversi periodi e nelle diverse formazioni in cui ho suonato: lo studio per arrivare ad una espressività di tipo solistico (scale, arpeggi ecc.), l’attenzione all’interplay con gli altri musicisti e la scelta delle parti e del contesto sonoro, la possibilità di accompagnarmi se mi trovo da solo voce e chitarra.
Quasi in parallelo con "Rencontre in Italia" hai dato alle stampe il nuovo album a tuo nome "La strada". Come nasce questo nuovo album?
A “La strada” ci lavoravo già da tempo, l’ho messo in pausa vista l’urgenza e l’occasione che si è presentata con Tchavolo, poi l’ho ripreso e l’ho terminato, è stato un lavoro lungo, tutto fatto in casa. L’ispirazione viene da un libro di Jack London dall’omonimo titolo, racconti autobiografici fra hobo e ferrovie dell’America di inizio ‘900, un libro bellissimo.
Quali sono le differenze e le identità con i tuoi precedenti dischi?
Mi piace molto l’idea di “concept album”, anche i dischi precedenti avevano un filo conduttore, mi risulta più facile scrivere se ho l’obiettivo di un contenitore comune che racchiuda dei pensieri o delle suggestioni; qui più che la musica sono i testi a creare una unità per così dire estetica, la strada è sinonimo di viaggio, anche di esperienze da condividere, è un ambiente piuttosto popolare nel senso che è il palcoscenico naturale di uomini e donne comuni, quando ti metti sulla strada accadono sempre cose che se ci ripensi hanno valore di per se non tanto in funzione di un qualche arrivo, è un po’ il fascino del viaggio in se stesso se vogliamo. Sulla strada cammina l’eroe e il vagabondo, sulla strada passeggi con il cane, a una fermata puoi incontrare un amore, incontrare il tuo assassino, scappare da un bombardamento, combattere contro i giganti, ascoltare un cantastorie, farti illuminare dalla luna, tornare a piedi verso casa con una chitarra in spalla e tante altre cose. A differenza degli altri dischi in questo ci sono importanti autori ospiti, David Riondino di cui parlerò più avanti e Marco Stella con cui abbiamo realizzato la canzone “Baldur”, storia di un cane della finanza, appartenuto ad uno zio di Marco che salva la vita al padrone rifiutandosi di uscire il giorno dell’attentato, quelle vicende che fanno riflettere sul
Il disco è una sorta di work in progress con l'album uscito in agosto e l'Ep con quattro brani che, idealmente, lo completa e che sono stati pubblicati a novembre. Ci racconti le fasi realizzative?
Avendo lo studio in casa riesco a gestire al meglio i tempi e le fasi di produzione, anche dilatandoli nel tempo. Personalmente ho la tendenza a scrivere su diversi temi, un po’ per esercizio, sviluppando una frase che mi viene in mente oppure dandomi un compito a tavolino, a volte compare da queste trame un filo comune da cui estrapolare un titolo che a sua volta guida verso l’esplorazione di altri temi connessi. Di alcuni brani avevo i provini registrati tempo fa e alcune tracce, come le voci, sono rimaste tali e quali, altre le ho rifatte, gli arrangiamenti ovviamente li ho rivisti tutti e perfezionato quelli nuovi. Nella scrittura di alcuni arrangiamenti mi ha aiutato molto l’amico musicista Daniele Mandorli che ringrazio anche per i preziosi consigli in fase di mixaggio e di mastering. La doppia uscita non è stata frutto di chi sa quale strategia, era tanto che ci lavoravo e mi sembrava il momento giusto per pubblicare i primi dieci pezzi, poi quando gli altri quattro sono stati completati li ho fatti uscire, chiaramente sul Cd fisico ci saranno tutti. Il disco è già distribuito digitalmente, la stampa fisica avverrà in primavera probabilmente per l’etichetta Visage Music.
In apertura c'è subito uno dei brani più significativi, "Sancho" nella quale ritorna il personaggio omonimo di "Don Chisciotte de La Mancia" di Miguel de Cervantes. Com'è nato questo brano?
Uno dei primi brani scritti, nasce per essere inserito in un lavoro teatrale insieme all’attore Peppe Lo Parco che poi non abbiamo realizzato. Credo di aver letto tre volte il “Chisciotte”, il viaggio per antonomasia del Seicento spagnolo e molto di più. I due personaggi dialogano alla pari, non esisterebbe un Chisciotte senza Sancho e viceversa.
Altro brano di rara intensità è "Valzer per un poeta". Come nasce questo brano?
Nasce dalla riscoperta dell’importante funzione svolta dai cantastorie nel tramandare i brani tradizionali che oggi fanno parte del nostro patrimonio culturale. Ho avuto la possibilità di lavorare come musicista alla digitalizzazione dell’archivio sonoro dell’ Ecomuseo Montagna Pistoiese, circa un migliaio di canti schedati ed in parte trascritti e arrangiati, provenienti da ricerche condotte dal 1970 al 2001 sul nostro territorio, compreso fra i comuni di San Marcello Piteglio, Abetone-Cutigliano e Sambuca pistoiese. Da questa esperienza mi sono reso conto di quanto il cantastorie, che si esibiva normalmente nei mercati, abbia contribuito alla diffusione di alcuni canti attraverso i fogli volanti, venduti per pochi centesimi insieme a lamette da barba o piccoli oggetti come penne ecc. Nell’archivio, che trovate alla pagina “Sulle vie dei canti” (Ecomuseo Montagna Pistoiese) c’è una bella intervista di Francesco Guccini a Marino Piazza, uno dei cantastorie più importanti del versante emiliano dell’Appennino. Prima di lui, e qui siamo a cavallo fra Settecento e Ottocento, Anton Francesco Menchi di Cucciano (Cireglio, PT) scrisse la famosa “Partire partirò”, brano entrato a far parte della nostra tradizione come canzone contro la guerra; il Menchi sembra avesse una faina ammaestrata che portava con sé ai mercati. “Valzer per un poeta” è un omaggio a tutti i cantastorie, un ringraziamento per il loro lavoro.
"Ballata di Vanni Fucci" è ispirata ai versi di Dante Alighieri nei quali si narrano le vicende di questo ladro sacrilego. Cosa ti ha ispirato della sua figura?
Prima di tutto che è pistoiese! Credo sia l’unico pistoiese citato nell’inferno di Dante, da quello che sappiamo certamente un poco di buono, colpevole fra l’altro di essere un guelfo nero...Dante era bianco, credo che la canzone lo ponga in una luce sociale e psicologica insospettata. Altro brano cardine del disco è "La canzone di Anita" ci puoi raccontare questa splendida canzone? La canzone è dell’amico David Riondino, uno degli autori italiani più ispirati con cui ho avuto il piacere di collaborare in questi anni, sempre attento alla cronaca e con una produzione incredibilmente prolifica di testi e brani originali, per dirne una abbiamo musicato un intero anno di numeri del mensile “Tex”, li trovate su YouTube. Tornando alla canzone di Anita, era talmente bella così che ho voluto lasciarla voce e chitarra, un’eroina fuori dal tempo, senz’altro una delle donne più impresse nella memoria popolare, morta a 21 anni in una palude durante una ritirata, eppure, come dice David, “.attraversa ancora oggi le nostre strade”.
Come si evolvono dal vivo i brani de "La Strada"?
Posso tranquillamente presentare il disco chitarra e voce, ultimamente con il fisarmonicista Giacomo Tosti, che suona con me nello Swingtet, abbiamo portato in giro un concerto in duo, chissà che non riusciamo ad allestire anche una presentazione de “La strada” magari con qualche ospite, vediamo.
Il 31 dicembre saluterete il 2024 con il concerto di addio di Banditaliana. È il vostro Last Waltz. Cosa vi lasciate alle spalle? Qual è il segno tracciato?
Dopo trentadue anni di proficua collaborazione ci lasciamo con serenità, prendendo direzioni più personali, mi sembra che le idee non ci manchino. Ci lasciamo alle spalle un percorso comune dove ognuno ha dato il massimo, ognuno con le proprie inclinazioni e competenze; il segno tracciato, lasciando da parte giudizi estetici e qualitativi che non siamo noi a dover esprimere, è l’esempio che esiste la possibilità di portare avanti per lungo tempo un progetto condiviso e soprattutto la conferma che il totale di un gruppo è sempre superiore alla somma delle singole unità.
Tchavolo Schmitt | Maurizio Geri – Rencontre in Italia (Le Vele/Egea, 2024)
Considerato uno degli eredi musicali di Django Reinhardt, Tchavolo Schmitt è uno dei più importanti interpreti della tradizione del jazz manouche e l’incontro con Maurizio Geri, una delle punte di diamante in Italia di questo peculiare stile chitarristico, non poteva che regalare sorprese. Complice la loro conoscenza avvenuta oltre trent’anni fa al festival “Musica dei popoli” a Firenze, i due musicisti non si sono persi di vista in questi anni e si sono ritrovati in occasione del “Toscana Django Festival” organizzato da Geri. È nata, così, l’idea di realizzare un disco che raccontasse il loro incontro in musica e di lì a poco ha preso vita “Rencontre in Italia”, inciso con la partecipazione di, Marie Christine Brambilla al canto, Federico Zaltron al violino, Francesco Greppi alla chitarra e Pippi Dimonte al contrabbasso. Il disco mette in fila undici brani tra composizioni originali e riletture che, nel loro insieme, raccontano non solo la fortunata collaborazione tra due maestri della chitarra manouche, ma anche il dialogo tra quest’ultima con la canzone melodica italiana da Luigi Tenco a Piero Ciampi, passando per Sergio Endrigo e Fred Buscaglione. Eleganza, poesia e cura melodica rappresentano le direttrici su cui si muove questo album che si apre con la raffinata rilettura della di “Tu dei per me la più bella del mondo” a cui seguono il brillante “Tchavolo blues” e la struggente “Gli amanti”. Il vertice del disco arriva con “Un bacio a mezzanotte”, in cui spicca il perfetto interplay tra le due chitarre di Geri e Schmitt e il violino di Zaltron, sostenuto dal contrabbasso di Dimonte, e la sinuosa rilettura di “Love in Portofino”. La trascinante “Valse a Dora” ci introduce alla bella sequenza in cui ascoltiamo “Fiorin fiorello”, “Menilmontant” e “Non credo” che fanno da preludio la finale con “My Melody” e “Sol me ne vo” che suggellano un disco gustoso da ascoltare dalla prima all’ultima nota.
Maurizio Geri – La Strada (Autoprodotto, 2024)
Quando durante l’edizione 2022 di Mare e Miniere abbiamo avuto modo di ascoltare, in concerto, il progetto “La strada” di Maurizio Geri ci colpì molto non solo il concept, ma anche la poesia e la forza evocativa dei brani, ambientati in quel palcoscenico della vita che è la strada, in cui si racconta di viaggi di uomini e donne, per terra e per mare, in fuga da misfatti o da vite precari, o alla ricerca di un futuro migliore, di amori e amicizie, di poeti e malfattori, di sognatori e di folli. A margine del concerto alla Tonnara “Su Pranu” di Portoscuso, il chitarrista pistoiese ci rivelò che stava lavorando ad un disco che cristallizzasse quel progetto e, così, a due anni di distanza abbiamo avuto modo di ascoltarlo. Composto da dodici brani, incisi presso StudiOfficinaGeri con la consulenza tecnica di Stefano Melone e Daniele Mandorli, il disco restituisce intatte le emozioni del concerto, consegnandoci uno dei lavori più belli ed affascinanti della produzione artistica del chitarrista pistoiese. Ad accompagnare Maurizio Geri (voce, chitarra, saz, tastiere, archi campionati, batteria, launeddas, tastiere, tom) è un gruppo di eccellenti strumentisti che si alternano al suo fianco nei vari brani: Marco Micheli (basso e contrabbasso), Matteo Scarpettini (percussioni), Gabriele Gai (batteria), Gabriele Inglese (flauto), Andrea Pagliari (pedal steel), Carlo Romagnoli (basso), Daniele Mandorli (programmazione archi), Silvano Lobina (basso), Paolo “Pewe” Durante (Hammond), Francesco Greppi (chitarra) e Alessandro Antonini (contrabbasso) e le voci di Laura Tonarelli e Matteo Merli. L’ascolto si apre con l’intesa “Sancho” scritta con Giuseppe Lo Parco che ci porta tra le pagine del romanzo “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes, descrivendone le vicende dalla prospettiva dello scudiero Sancho Panza. Si prosegue con quel gioiello che è “Valzer per un poeta”, giocata su un elegante arpeggio di chitarra, e con la title-track una ballata di grande densa di lirismo dove spicca la pedal steel di Andrea Pagliari. Le storie di marinai di “Lanterne” è affascinante nella sua costruzione melodica e nell’arrangiamento nel quale si ascoltano anche le launeddas suonate dallo stesso Geri. Non meno suggestive sono “Tango alla Luna” e “Baldur” nelle quali Geri ci regala due magistrali prove vocali, ma il vertice del disco arriva con la superba “Ballata di Vanni Fucci” nella quale riprende i versi tratti dal XXV Canto della “Divina Commedia” di Dante Alighieri nei quali si raccontano le vicende del ladro sacrilego pistoiese Vanni Fucci. La struggente “La Guerra di Ninetta” ci introduce alla bella rilettura di “Anita Garibaldi” di Davide Riondino e al poetico ritratto “Laura”, ma c’è ancora spazio per le emozioni con “Dolce Amara” e “La fermata”, mentre “Ballata per Frenk” suggella un disco di assoluto spessore che entra di diritto tra i vertici della discografia di Maurizio Geri.
Salvatore Esposito