Il doppio album “Siamo in cattive acque. Canzoni inedite”, pubblicato da SquiLibri con la curatela di Enrico de Angelis è una straordinaria raccolta di canzoni inedite di Piero Ciampi nella quale hanno trovato posto undici brani mai ascoltati prima e altri ventuno con significative varianti, nella musica o nei testi, di canzoni già note. Si tratta di una retrospettiva preziosa, oltre che di rilevanza storica, attraverso la quale vengono svelate due fasi del percorso artistico del cantautore livornese, una delle quali pressoché sconosciuta. La prima risale al 1967 allorquando si trovò a lavorare con il musicista genovese Elvio Monti, mentre la seconda è relativa alla collaborazione con Gianni Marchetti negli anni Settanta, ed in particolare alle fasi preparatorie di “Ho scoperto che esisto anch’io” di Nada del 1973 dal quale arrivano due inediti, interpretati curiosamente al femminile, come se a cantare fosse l’artista toscana. Abbiamo intervistato Enrico de Angelis per farci raccontare questa nuova pubblicazione discografica.
Partiamo da lontano. Da dove nasce il tuo interesse verso Piero Ciampi? Cosa ti colpiva delle sue canzoni?
Il mio interesse verso Piero Ciampi parte davvero da lontano. Sebbene abbia cominciato, già a dodici anni, a seguire i cantautori italiani degli anni Sessanta, che mi avevano colpito per la loro autenticità, la loro verità e la loro originalità, Piero Ciampi mi ha letteralmente fulminato, già dalla prima volta che lo vidi in televisione nel 1962 cantare “Lungo treno del sud”. Fui folgorato dalla sua figura, dalla sua voce, da quella canzone bellissima, dal testo, dalla melodia… Successivamente, ho avuto modo di conoscerlo sempre di più e di seguirlo proprio da fan e da collezionista e, fra le mille cose che potrei dire, mi ha sempre commosso la compresenza in lui di questi due registri del tragico e dell’ironico, del disperato e del tenero.
Negli anni il tuo interesse si è tradotto in studio della sua opera e poi in quattro libri e in un doppio album precedente a "Siamo in cattive acque". Questo album raccoglie quello che mancava ancora da scoprire della sua produzione artistica?
I brani di questo disco si riferiscono a due momenti artistici diversi. Uno è il 1967, l’altro sono gli anni Settanta, la sua fase artistica più famosa ed importante, quando lavorava con l’assistenza continua di un grande musicista come Gianni Marchetti. La prima parte, quella del 1967, colma veramente una lacuna oggettiva, perché è un momento molto circoscritto, praticamente al solo mese di maggio del 1967 quando Piero Ciampi stava lavorando all’album di Lucia Rango, composto quasi per intero da sue canzoni. In quella circostanza, approfitta per registrare anche lui nello stesso studio delle canzoni che probabilmente avrebbero potuto – basta contarle - un intero Lp. Di questo momento noi non sapevamo niente. Conoscevamo solo il lavoro per Lucia Rango, che era seguito nella direzione musicale e negli arrangiamenti, dal genovese Elvio Monti, un musicista molto versatile che ha fatto molte cose e, in quel momento, stava lavorando anche con Fabrizio De André. Dall’ultima fase con Gianni Marchetti, nel disco,
sono presenti molti provini di canzoni, alcune delle quali già note, ma con varianti molto diverse e ci sono anche pezzi assolutamente inediti, mai sentiti prima. I brani di questo periodo colpiscono soprattutto per il fatto che sono gli ultimi anni della sua storia artistica. Lui è chiaramente alterato da un punto di vista fisico e anche forse psicologico, per cui sentiamo un artista e un uomo molto estenuato ed estenuante, con questi andamenti lenti, strascicati, che saltano da urla a sussurri, a nonsense. È il periodo più doloroso della sua vita, macerata anche da vicende esistenziali notevoli come la solitudine, l’abbandono delle sue donne….
Ci puoi raccontare la storia e le fasi dei diversi ritrovamenti che ti hanno condotto alla realizzazione di questo prezioso doppio disco "Siamo in cattive acque"?
I ritrovamenti che ho utilizzato per la realizzazione di questo album partono, cronologicamente, dalla morte di Piero Ciampi nel gennaio 1980. Ho sentito proprio il bisogno mio personale di fare di tutto per ricordarlo, perché non fosse dimenticato. Infatti, già il primo libro che scritto su di lui l’ho pubblicato alla fine di quello stesso anno. Da quel momento in particolare e, poi, anche per la scrittura dell’opera omnia che ho raccolto nel 1992 dove si trova tutto - canzoni, poesie, racconti - e poi ancora per i libri successivi, ho avuto, grazie al cielo, la fiducia e la collaborazione di Gianfranco Reverberi, Gianni Marchetti, Pino Pavone e infine di Roberto, il fratello di Piero, ovvero gli artisti che hanno collaborato a stretto contatto con il cantautore livornese e sono intervenuti in maniera più o meno massiccia nella realizzazione dei suoi dischi e delle sue canzoni. Loro hanno capito la mia passione per Piero e mi hanno cominciato a fornire dei documenti, manoscritti ma anche brani registrati per lo più in musicassette, ma altre cose erano rimaste fuori e quindi ho continuato negli anni a raccoglierle partendo da questi documenti fondamentali regalatemi dai suoi grandi musicisti. Poi c'è stato tutto un giro di collezionisti che mi hanno aiutato. Dagli anni Novanta, Piero Ciampi ha cominciato ad essere riscoperto anche da artisti, da musicisti, anche di generazioni giovani e, quindi, c'è una crescita di interesse per cui si è arricchita tutta questa selva di fan che definisco “ciampiani d.o.c.”. Non sono
tantissimi ma sono interessati a tutto, ad ogni minima cosa e, così, sono nate delle reti di contatti con loro e con molti, siamo diventati proprio amici. Sono stati loro a segnalarmi, o in qualche caso a fornirmi materiali dove c'erano dei brani inediti. Nel disco li ho ringraziati tutti uno ad uno.
I brani raccolti nei due dischi arrivano da due periodi differenti della vita di Piero Ciampi. Come si è evoluta la sua scrittura in queste due fasi?
Le canzoni del 1967 risentono dello stile dei primi cantautori e degli arrangiamenti dell’epoca, anche un po’ jazzati, un po’ swinganti. Il canto è molto più pacato, più ordinato e, diciamo così, più melodico, più pulito. Le registrazioni degli anni Settanta, invece, presentano una vocalità più anarchica, disordinata, irregolare, quasi declamata o recitata.
Quali sono le perle da scoprire di questo doppio album?
Mi è veramente difficile dire per me quali sono le perle che si possono trovare fra le trentadue tracce di questo doppio album. “Il tuo corpo”, per esempio, è una canzone bellissima nella quale vediamo la ripresa dell’incedere di una donna sulla strada, la sua fisicità, la sua sensualità, i suoi vestiti, il suo fascino. C’è, poi, “Perché” il cui titolo è banale ma la canzone è originalissima e stranissima. È ambientata nel 1944 e Piero se la prende con la sua ragazza che gli giura amore eterno, ma in realtà se la fa con i soldati americani venuti a liberarci. Dagli anni Settanta, direi “Mai muoversi” o “Fra trent’anni” che sono divagazioni lunghissime su una tessitura pianistica jazz alla McCoy Tyner, tutto merito di Gianni Marchetti. Ci sono, poi, i provini per Nada, per esempio, che lei metterà nel suo bellissimo album del 1973, “Ho scoperto che esisto anch'io”. Ebbene, lui canta queste canzoni al femminile e già questo è una curiosità. Quello che mi ha colpito, però, è la l’espressività, l’intenzione assolutamente motivata con cui lui canta questi provini come se dovesse pubblicarli lui. Tra questi provini ci sono due canzoni che Nada non inserirà nel disco e sono totalmente inedite, per esempio “Sono seconda”, nella quale riprende una sua ossessione, quella della competitività tra uomo e donna. Ci sono anche cose particolari, come quei brani
con Elvio Monti che pensavamo fossero stati incisi successivamente ma che vanno retrodatati al 1967 come “Non c'è più l’America” e “Miserere”, per esempio. “Non c'è più l’America” mi pare di poter dire che è quanto mai attuale, data la situazione in cui ci ritroviamo gli Stati Uniti. Per quanto riguarda le varianti di brani noti, definirle perle è forse per il pubblico normale è un po' esagerato, ma per noi ciampiani sono veramente sfiziose, per esempio la bellissima “Il lavoro” di cui abbiamo inserito una versione alternativa in cui cambia la parte centrale parlata, dove evoca il matrimonio con la sua donna: nella versione definitiva il matrimonio è rappresentato in un ufficio, si tratta quindi di un matrimonio civile, in questa versione precedente il matrimonio è religioso perché celebrato in chiesa. Peraltro lui dice “Siamo entrati per forza in una chiesa” quasi a sottolineare come il matrimonio religioso non lo convincesse.
Vorrei concludere con una tua riflessione sull'eredità artistica di Piero Ciampi. Quali cantautori ne hanno raccolto il testimone poetico?
Se esista o meno un’eredità artistica di Piero Ciampi è una vecchia storia ma, secondo me, lui è un unicum. Se i cantautori degli anni Sessanta hanno, per esempio, lasciato molti epigoni, hanno insegnato moltissimo, nel caso di Ciampi, la sua vicenda, intrecciando saldamente la vita e l’opera musicale, fa sì che anche la sua arte sia irripetibile. Non mi sembra, dunque, si possa dire che ci sia una scuola ciampiana. Posso comunque fare dei nomi di cantautori che si avvicinano molto al cantautore livornese perché sono dei grandi appassionati ed amanti delle sue canzoni e, quindi, certamente qualcosa di lui è entrato nel loro stile. Sto parlando di Bobo Rondelli o di Jennà Romano, cantante ed autore dei Letti Sfatti.
Salvatore Esposito
Piero Ciampi – Siamo in cattive acque. Canzoni inedite (Squilibri, 2024)
A volte le più caotiche e disordinate vite dei più sregolati e sfuggenti artisti sono segretamente dominate da una rigida geometria. È il caso, tra gli altri, di Piero Ciampi, la cui carriera artistica è divisibile in due fasi distinte per stile e per carattere che coincidono esattamente coi decenni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Non solo: anch’esse, esattamente e a loro volta, possono essere suddivise in due fasi di eguale durata (quindi due quinquenni) in cui nella prima vengono prodotte incisioni poi pubblicate mentre nella seconda solo incisioni rimaste inedite, lui vivo, e provini. Quindi abbiamo: una fase ‘1A’ che va dal 1960 al 1965, durante la quale esce un certo numero di dischi caratterizzati da uno stile comune; una fase ‘1B’ di inediti e provini, che va dal 1966 al 1969; una fase ‘2A’ che val dal 1970 al 1975 e in cui esce, di nuovo, un certo numero di dischi caratterizzati da uno stile comune (ma diverso rispetto al decennio precedente); infine, una fase ‘2B’, dal 1976 al 1979, con altri inediti e provini. Nei primi giorni del 1980 Ciampi muore. Se a questo schema aggiungiamo, o meglio anteponiamo, una fase preparatoria e di formazione musicale, che va grossomodo dal suo ritorno a Livorno da Milano nel 1950 (quindi quand’era sedicenne) fino al suo ritorno da Parigi (dove ha soggiornato non si sa bene per quanto), all’incirca nel 1959-60; e una fase - la più oscura e meno nota - che va dalla nascita nel 1934 al ritorno, appunto, da Milano a Livorno nel 1950, abbiamo uno schema che conferisce, quasi beffardamente, un generale carattere matematico molto semplice a una delle vite più contorte e sfuggenti nella storia della canzone italiana. In questo scritto vorrei porre l’attenzione e riflettere in particolar modo sugli inediti e i provini di entrambe le fasi - sia su quelli, cioè, degli anni Sessanta, che su quelli degli anni Settanta - per confrontarli tra loro e al loro interno e per distinguervi diverse categorie di appartenenza, nella speranza di gettare un po’ di luce sul loro senso e significato. Ma intanto, e in generale: che cos’è un ‘provino’? Come dice il nome stesso, è l’abbozzo di una canzone, la sua forma primitiva, grezza e non ancora sgrossata, strutturata e confezionata con arrangiamenti ad hoc. E già qui si possono individuare casi problematici: se provini come quelli di “Dario di Livorno” o anche de “La storia del Signor YX” si prestano bene ad essere arrangiati e orchestrati seguendo pochi passi, un provino come quello di “Se… ma… no…”, per esempio, creerebbe qualche difficoltà al compositore che intendesse cimentarsi a trasformarlo in una canzone strutturata e arrangiata a dovere. Per carità, tutto può essere ‘arrangiato’: si può fare anche una cover di “4’ 33’’” di John Cage (io mi sono divertito a farla, per esempio). Ma la sensazione, rispetto a “Se… ma… no…” è che sia un pezzo già perfetto così com’è, allo stato cioè di abbozzo informe e frammentario, semplicemente perché non pare l’abbozzo di alcunché, ma semmai qualcosa di in qualche modo già definito, anzi forse - e così dico subito la mia opinione al riguardo - la cosa più compiuta e definitiva di tutto ciò che ha inciso Ciampi. L’inedito, poi, non è altro che un’incisione già compiuta che però, per un motivo o per un altro, non esce, non viene pubblicata, come nel caso ad esempio di “Adius”, che peraltro è quasi l’unico esempio di questo tipo (potremmo aggiungervi “Due”, che ha, anch’esso, un carattere di maggior compiutezza e definizione rispetto a “Fra 30 anni”, un provino montato sulla stessa base). C’è poi da dire che i provini di Ciampi oggi disponibili all’ascolto hanno quasi raggiunto, per numero, la stessa quantità dei brani arrangiati e pubblicati lui vivo, venendone così a costituire un vero e proprio contraltare dialettico ed esegetico, più che un residuato di interesse esclusivamente storico-filologico. È infatti recentissima la pubblicazione di un prezioso CD doppio di canzoni inedite intitolato “Siamo in cattive acque”, curato da Enrico De Angelis e stampato da Squilibri, contenente un corposo libretto corredato di un’ampia introduzione critica dello stesso De Angelis, di bellissime foto di Uliano Lucas e dei testi delle canzoni. Il disco aggiunge un notevole numero di inediti al catalogo delle opere di Ciampi: contiene sette provini di sei canzoni del tutto sconosciute fino a oggi (“Il tuo corpo” in due versioni, “Perché”, “Va la vita va”, “Un giorno o l’altro ti ucciderò”, “L’amore va”, “Ed ora dove andrai?”); quattro di canzoni di cui era finora noto solo il testo (“Mai muoversi”, “Fra 30 anni”, “Se… ma… no…” in due versioni); e ben ventuno di canzoni che erano già note nella loro veste definitiva (“Triste triste”, versione embrionale di “Livorno”, “Conphiteor”, “Io e te Maria”, “Il lavoro”, “Viso di primavera”) o come varianti di provini già pubblicati (“Non c’è più l’America” e “Miserere”, entrambi in tre versioni, “Madonnina del 2000”, “Hitler in galera”, “Hanno arrestato anche l’inverno”, “La storia del Signor YX”). Un particolare interesse rivestono inoltre i provini di sei canzoni scritte per Nada (“Confiteor”, “Sul porto di Livorno”, “Come faceva freddo”, “Eri proprio tu”, “Zambaro” e la fino ad oggi sconosciuta “Sono seconda”), che verranno poi in parte raccolte e pubblicate insieme ad altre nel 1973 nell’album “Ho scoperto che esisto anch’io”.
Le prime sei canzoni sono frutto della collaborazione con Elvio Monti, compositore, pianista e arrangiatore genovese noto per aver lavorato, tra gli altri, con Fabrizio De André e con gli Squallor, e risalgono alla primavera del 1967, epoca in cui i due stavano curando l’incisione dell’album Lucia Rango Show, primo e unico 33 giri, recentemente ristampato, dell’allora esordiente cantante pugliese. Monti aveva già avuto occasione di collaborare con Ciampi nel 1963 e nel 1965, quando compose le musiche per “Nato in settembre”, una canzone interpretata dall’attrice Georgia Moll, e lavorava come arrangiatore per l’etichetta discografica Ariel, della quale Ciampi era stato per breve tempo direttore artistico. Nel maggio 1967 i due registrano dei provini per quello che avrebbe potuto diventare il secondo album di Piero Ciampi e che avrebbe probabilmente compreso le seguenti undici canzoni: “Il tuo corpo”, “Perché”, “Va la vita va”, “Un giorno o l’altro ti ucciderò”, “Triste triste”, “Non c’è più l’America”, “Miserere”, “Conphiteor”, “L’amore va”, “Ed ora dove andrai?” e “Viso di primavera”; tutte canzoni nuove rispetto alle precedenti, fatta eccezione per “Conphiteor”, la prima incisione in assoluto di Ciampi, risalente al 1960, di cui viene ripreso con minime modifiche il testo, mentre la musica viene composta ex novo, e “Un giorno o l’altro ti ucciderò”, che mostra alcune analogie con una canzone pubblicata nel 1963 dal titolo simile (“Un giorno o l’altro ti lascerò”) e di cui viene ripreso, rallentato, l’inciso melodico del ritornello, mentre la melodia delle strofe anticipa in qualche modo e misura quelle di “Ma che buffa che sei” e di “Mia moglie”, due delle canzoni più note del periodo successivo, segnato dalla collaborazione con Gianni Marchetti. Per gli arrangiamenti di otto di esse Monti si avvale della tavolozza timbrica tipica dell’epoca, quella cioè della piccola e media orchestra di musica leggera (con archi, fiati, organo elettrico, pianoforte, chitarra elettrica, contrabbasso e batteria) e di uno stile di chiara ascendenza jazzistica (swing e mainstream con apporti blues) che si differenzia leggermente da quello, precedente e generalmente d’impronta più melodica, di Gian Franco Reverberi; quattro di esse sono invece registrate con l’accompagnamento della sola chitarra classica suonata dallo stesso Ciampi. Di queste ultime, “Ed ora dove andrai?” e “L’amore va” costituiscono la forma embrionale di, rispettivamente, Tu no (limitatamente alla melodia della strofa) e “Barbara non c’è”. Di quest’ultima può essere considerata variante anche “Va, la vita va”: sia qui che ne “L’amore va” la melodia si dipana infatti su quella caratteristica progressione cromatica discendente di settime maggiori che è la cifra armonica di “Barbara non c’è” (e un vero e proprio topos di tanta musica leggera, soprattutto cinematografica, degli anni Sessanta). “Triste triste”, la cui melodia viene utilizzata anche per “Conphiteor”, è invece, dicevamo, la forma embrionale di “Livorno”, rispetto alla quale presenta una strofa in più e alcune differenze armoniche, ma soprattutto un andamento decisamente più sostenuto che a mio avviso stravolge il carattere statico e contemplativo dei versi, così ben messo in evidenza invece nel successivo arrangiamento lento, dolce e compassato di Marchetti. Interessante e curiosa, poi, la forma di due canzoni come “Non c’è più l’America” e “Miserere” le quali, pur non riuscendo deplorevolmente mai a vedere la luce in una forma compiuta e definitiva, saranno riprese sia da Reverberi nel 1968-69 che da Marchetti negli anni Settanta. La prima presenta un accompagnamento di stile prettamente country, che nei provini successivi sparirà del tutto, mentre la seconda, una delle canzoni a mio parere più pregnanti, dirette, schiette e potenti di Ciampi, qui non ha ancora il carattere cupo e mortuario che assumerà nei provini successivi, cadenzati da una lentissima serie cromatica di accordi minori monocromi (affidati al solo organo nella versione di Reverberi, alla sola chitarra in quella di Marchetti), ma un tratto più secco e nervoso conferitogli dall’ottimo swing di Monti. In “Perché” (una canzone di cui finora esisteva solo un frammento citato confusamente a memoria da Gino Paoli) c’è un riferimento alla fine della Seconda Guerra Mondiale, che coincide con un periodo della vita di Ciampi di cui sappiamo ancora poco o niente; “Il tuo corpo” contiene invece immagini poetiche che saranno tipiche del Ciampi più maturo, dalla “seta che è trasparente come un suono” alla “gonna bianca che è piena del tuo futuro”, alle “mille forme” curvate dalla mano “in un disegno sovrumano”. Chiude questa preziosa raccolta la prima versione della stupenda “Viso di primavera”, una delle canzoni di Ciampi melodicamente più classiche e perfette, scritta insieme al fratello Roberto presumibilmente nel 1965, anno in cui morì la madre Mira Poljak al manicomio di Volterra.
Nei due anni successivi alla collaborazione con Monti Ciampi lavorerà con Gian Franco Reverberi a un nuovo gruppo di provini, che sono stati pubblicati in CD nel 1995 e tra quali figurano di nuovo “Miserere”, curvato però, come detto, in una versione dal tono più ‘sacro’ con l’accompagnamento del solo organo, “Viso di primavera” e, con una terza melodia ancora diversa sia dalla prima che dalla seconda versione, “Conphiteor”. In più, vi si trova una versione, la prima, di “Tu no” che, elaborando lo spunto offerto da “E ora dove andrai?”, è sostanzialmente identica a quella che di lì a poco verrà pubblicata per la Det con l’arrangiamento definitivo di Marchetti, siglando l’inizio della loro collaborazione e dando avvio alla seconda e ultima fase della sua opera. Quando Marchetti e Ciampi si incontrano, dunque, nel 1969 inoltrato, Ciampi ha con sé materiale sufficiente per un paio di nuovi album, ma solo tre delle canzoni del precedente repertorio finiranno nel loro primo 33 giri, uscito nel settembre 1971: “Tu no”, “Barbara non c’è” (rielaborazione di “Ed ora dove andrai?” e “L’amore va”) e “Triste triste” (reintitolata “Livorno”). Ad esso seguirono due altri album a nome Ciampi (“Io e te abbiamo perso la bussola” nel 1973 e “Dentro e fuori”, prodotto nel 1975 e distribuito all’inizio del 1976), un album per Nada, una raccolta, alcuni singoli e un discreto numero di inediti e provini. Nei due CD di “Siamo in cattive acque” ne possiamo ascoltare per la prima volta una ventina, alcuni inediti fino ad oggi, altri precedentemente pubblicati in diverse varianti. Gli straordinari “Fra 30 anni” (proveniente, insieme a “Il lavoro”, da una lacca stampata il 17 luglio 1972), e “Mai muoversi”, fanno parte di quella categoria di canzoni che Ciampi costruiva su basi precedentemente registrate da Marchetti e di solito destinate al cinema: il primo su una base che verrà poi pubblicata, con il titolo di “Chukeba bay”, in “Equinox” (1977), una delle numerose raccolte di musica lounge realizzate da Marchetti nella seconda metà degli anni Settanta; il secondo sulla musica che accompagna i titoli di testa del film “Milano: il clan dei calabresi” (1974) di Giorgio Stegani, una fusion tiratissima e magistralmente eseguita dagli eccellenti solisti che facevano parte delle orchestre di musica leggera dell’epoca, con moog, vocalizzi scat, organo Hammond, ottoni e una sezione ritmica portentosa. Ciampi mostra una certa difficoltà ad adattare i versi delle strofe al brano, a mantenersi in equilibrio sui continui spostamenti di accenti della sezione ritmica, tanto che a un certo punto è costretto a fermarsi dopo una falsa partenza: “Gianni, la spacco”, dice spavaldo, “però bisogna che tu venga un pochino qui…”; la base intanto procede e lui si abbandona a un flusso incontrollato di esilarante nonsense. Nella stessa lacca si trova una versione de “Il lavoro” identica a quella pubblicata in “Io e te abbiamo perso la bussol”a salvo che nella parte centrale parlata, che presenta un testo diverso. Anche il provino di “Io e te Maria” è molto simile alla versione definitiva, con alcune varianti testuali e la presenza insolita di un cimbalom. Il primo dei due CD si chiude con i sei provini per l’album di Nada, quattro (“Come faceva freddo”, “Confiteor”, “Eri proprio tu” e la finora sconosciuta “Sono seconda”) accompagnati dal pianoforte di Marchetti, due (“Sul porto di Livorno” e “Zambaro”, canzone che fu poi esclusa dal disco e che riapparirà più tardi con un testo completamente diverso e intitolata “Adius”) accompagnati da un ensemble strumentale. Nel secondo Cd figurano infine le varianti inedite dei provini - gli ultimi - che Ciampi registrò al Cenacolo nell’inverno del 1977, già noti per essere stati pubblicati in parte da Giuseppe De Grassi nel 1990 e che rappresentano la quintessenza del suo stile improvvisato e del suo metodo anarchico. In essi, infatti, Ciampi riversa, concentra e sintetizza in modo esemplare tutto il dolore e tutta la scoperta fragilità della sua poesia. Accompagnandosi con una chitarra scordata - eccetto nei casi in cui ad accompagnarlo è il turnista Aldo ‘Jimmy’ Tamborrelli - e cantando con una voce rotta e deformata dall’ebbrezza, li registra pensando probabilmente alla possibilità di raccoglierli in un nuovo album ma come avendo la certezza che non vi sarebbe mai stato alcun nuovo album. Riprende tre canzoni scritte dieci o più anni prima (“Madonnina del 2000” sulla melodia di “Fra cent’anni”, “Miserere” e “Non c’è più l’America”) alle quali aggiunge la grottesca “Hitler in galera”, la scarna e tragicomica “Storia del signor YX” e la straziante “Hanno arrestato anche l’inverno”, nella quale a un certo punto perde completamente il controllo degli accordi e lascia sospesa la voce sola a sussurrare, come in un lamento arcano nel buio, alcuni dei suoi versi più intensi. Ma è nelle due versioni di “Se… ma… no…” che si raggiunge il vertice inarrivabile e la sintesi suprema di tutta la sua opera. Confesso che l’ascolto di questa ‘canzone’ (ma è una canzone? boh), che già avevo avuto la fortuna di conoscere anni fa in una delle due versioni, è stata una tra le esperienze più sconvolgenti di tutta la mia vita di ascoltatore. Non ci si capacita di come uno possa tradurre, fotografare, in una parola esprimere senza alcun filtro e con tale potenza, precisione e verità la disperazione e la solitudine umane. Già solo gli accordi che accompagnano la voce, e che da un certo momento in poi diventano delle semplici macchie sonore, dei colpi sordi, rappresi e ovattati, delle lame spuntate e arrugginite che fendono l’aria a caso o dei bisbiglii inaudibili, scardinano del tutto ogni tentativo di costruzione formale; e la voce, la voce, che qui supera se stessa nel grido (“tu mi dici di nuovo se e io ti dico no”), nell’articolazione, nel timbro e nella collocazione spaziale (dove sono quei “no” e quei “ma”? impossibile stabilirlo); la voce, dicevo, che non recita ma dice, e dice - e grida - non versi, non frasi, non parole ma lacerti di vita e allucinazioni, come in quei prati in fiore che sono “bianchi come nostra madre”, o in quella “specie di sorriso che tu mi proponi” e che “si schiaccia contro il mio viso come una noce”; una voce, un’anima che si sa inascoltata e inesorabilmente e irreversibilmente perduta poiché l’altro alla fine non è, kantianamente, che un noumeno, un grave inaccessibile che occupa semplicemente uno spazio: “in questa continuità, in questo nostro respiro io non so più cosa fare perché tu sei un volume”. Versi devastanti che non ammettono commento o replica alcuna. Mai, credo, nella storia della canzone italiana il senso dell’incomunicabilità umana è stato esplicitato meglio. Perciò, ecco, anche se nel CD vi fossero state solo le due versioni di “Se… ma… no…” (una per disco, per un totale di soli dieci minuti di musica) la sua uscita avremmo dovuto accoglierla come una benedizione e un miracolo. Un sincero e sentito grazie, dunque, a Enrico De Angelis e a Squilibri per aver pubblicato e condiviso queste testimonianze insostituibili di arte e di vita.
Marco Lenzi