Un’orchestra messa in piedi per l’occasione dal direttore della scuola musicale della città, oltre a cinque pipe-bands e due bagadou condotte da Roland Becker, il quale suonava una bombarda in scala non temperata, copia di una antica del Pays de Vannes. E anche se a un certo punto arrivarono vento e pioggia, durante le ore di quella notte molti continuarono imperterriti a ballare sulla Place de l’Hotel-de-Ville, la “Festa Universale” in un contesto realmente popolare e lontano da quello turistico estivo. Sottotitolata “Tír na nÓg”, ovvero “La terra dell’eterna giovinezza”, il paradiso gaelico, l'opera globale che Stivell aveva cominciato a immaginare fin da vent'anni prima, intreccia confini a quel tempo difficilmente varcabili, tra suoni celtici, pop, folk, rock e orchestrali. Nonostante la sua denominazione, si colloca lontano dalla sinfonia classica nata nell’Europa centrale, intrisa com’è di influenze geografiche e musicali legate a “culture minoritarie”. All’epoca della sua creazione la nozione “world music” ancora non esisteva ma quest’opera segnò l’inizio della corrente del “cross-over celtico”. L’altro mondo della mitologia celtica è considerato parallelo a quello terreno (talvolta è stato situato a ovest dell’Irlanda), pochi vi entrano e molto raramente, in occasione di viaggi iniziatici e col rischio di perdere la propria condizione umana poiché là il tempo è sospeso come ben spiegato nella letteratura medioevale irlandese che prolunga quella orale. Il concept-album fu realizzato in doppio vinile dalla personale Keltia III con all’interno una grande foto di Stonehenge nebbiosa, estratta dal contemporaneo film “Tess” di Roman Polanski e venne inizialmente distribuito dalla CBS nello stesso anno. Mai si sarebbe potuta, meglio di questa suite dal lungo respiro, descrivere coi suoni la tensione religiosa bretone, l’utopica visione di una navigazione “verso la città della perfezione” dove non esista cultura che predomini sulle altre e dove il mondo celtico diventi metafora di terra promessa non per un’unica razza bensì per ogni etnia. Una creazione filosofico-umanista delle due dimensioni presenti nell’essere umano e che le racchiude nelle tensioni che si sovrappongono all’interno di ognuno: quella individuale dell’io trascendente, quella comunitaria verso un mondo migliore e quella universale verso l'Assoluto, l’Infinito, Dio. Questi concetti passano attraverso tre movimenti musicali: l’iniziale a descrizione del viaggio verso gli spazi interiori e la comunicazione tramite l’universo dopo la morte fisica (“...cammino in me verso la luce, al di là dei miei organi, al di là delle mie cellule, prima della mia nascita, al di là del mio primo atomo, prima di ogni tradizione, attraverso i tre mondi, attraverso le mie tre forme attuali…” - “lago profondo al di fuori del tempo, dove si specchia quello che si vede e quello che non si può vedere...tu che sarai prima di noi, tu che eri dopo di noi…”). Il secondo che illustra le varie tappe del cammino per raggiungere l’agognata Tir Na Nog tramite presa di coscienza e riconquista della perfezione (...minoranze di questo mondo, credetelo tutte, minoranze resistete e vivete, ciascuno di voi è ricco come l’America e più forte dell’orso siberiano, se liberate il vostro spirito).
E l’ultimo dove viene descritta la gioia della riscoperta di pace e armonia tra esseri umani e elementi della Natura, con il definitivo sfociare nella danza simbolo di riconciliazione (“...ciascuno aveva una parte di verità, una parte di errore, una sola cosa era del tutto falsa: essere al di sopra degli altri, rispettiamoli nei loro usi, colori, lingue, costumi, amiamoli chiunque siano per ancora trecentomila anni”). Questa utopica idea di uguaglianza metterebbe dunque in relazione e coabitazione la vita materiale e spirituale di interi popoli riconciliati. Ulteriore suggestione è quella del rispetto anche della simmetria ternaria celtica negli arrangiamenti musicali della suite, ad opera di Alan Stivell, Chris Hayward e Michel Prezman. Le influenze predominanti provengono dal Pays Vannetais (Bro-Gwened), dall’Alta Cornovaglia (Kernew-Uhel), dalle bagad bretoni, dalla musica medievale per arpa, dal penillion gallico, dalla musica classica per cornamusa scozzese (Piobaireachd), dal Donegal irlandese e dalle Isole Ebridi. Tuttavia, coerentemente con l’essere radicato e viscerale, celtico e cittadino del mondo che è, Stivell non manca di celebrare le diversità tra le culture attraverso testi proposti in lingue irlandese, bretone, kabyle, sanscrito e tibetano. Immagina la sua personale sinfonia-mondo facendo appello alle culture minoritarie più prossime ai Celti in antichità, con passaggi incantatori, recitativi e meditativi, registri canori più gravi o medi, suoni che sfiorando l’interludio classico, discostandosi talvolta anche notevolmente dalle musiche celtiche. Nella sinfonia stivelliana l’introspettivo diventa il grande specchio per un uomo che trattiene in sé piccoli frammenti di energia cosmica, riversandoli in storie atte a fargli perdere l’orientamento che lo circonda e il senso del tempo limitato che lo domina. Concetti celtici a parte ci troviamo in territori universalistici non distanti da quelli altrettanto magistralmente espressi, da figure contemporanee quali i compianti Don Cherry o Daevid Allen. La divisione originale in tre parti (molto celticamente definiti “cercles”) stabilisce l’inequivocabile il collegamento col “triskell”. In vari momenti l’opera, come accennato, non appare dimostrativa in materia di spirito celtico, l’ambientazione si fa più meticciata, con tinte sonore appartenenti a strumenti lontani negli spazi. I testi sono influenzati dal cartesismo e la musica post-industriale del terzo millennio viene accolta come opportunità per ulteriori conoscenze. Stivell affermava già all’epoca della composizione, per esempio, come se ci fosse stata una reale sintesi tra la medicina occidentale ufficiale e quelle di tradizione orale africana o cinese, l’umanità avrebbe guadagnato un secolo o due di tempo. Ricordo che dieci anni dopo questi nitidi viaggi vennero parzialmente riproposti, in economica compagnia delle sole tastiere del polistrumentista Patrice Clementin, alla Dogana Veneta del centro lacustre veronese di Lazise, davanti a circa cinquecento persone affascinate dalla sua esposizione spirituale del rapporto tra natura e umano. La sinfonia, per ovvi motivi realizzativi, non era mai più stata portata in concerto e lo stesso avverrà anche in seguito, fino appunto ai giorni nostri.
Assistere quasi dietro casa e dal vivo all’ancestrale guida iniziatica musicale verso i misteri bardici e druidici di Keltia, condotti per mano da Stivell in persona, fu per molti un evento davvero straordinario. Ma non c’era forse da stupirsi se è vero che esistono luoghi nel nord-Italia, come Pavia, dove viene ancora utilizzata l’espressione “parlà celtäg” per significare “parlare in dialetto”. In Francia è accaduto che talvolta Stivell sia stato tacciato sui giornali, di angelismo, di essere infatuato di fraternità e armonia ma i Celti sono tra le razze più tormentate dalle preoccupazioni relative all’aldilà. In Bretagna si crede che il destino, felice o meno dell’anima defunta, venga sancito al trentesimo giorno dopo la dipartita dalla Terra e servono coraggio e conoscenza per penetrare il verdetto di condanna o salvezza che si cela nel mistero eterno dell’oltretomba. Leggende, ballate, letteratura e melodie bretoni hanno avuto costantemente la fantasia di simboleggiarlo, spesso con sublime genio poetico. “Roazhon – Liberté” è dunque il quinto disco dal vivo di Stivell dopo “At the Olympia (1972), “E Dulenn” (1975), “International Tour” (1979), “40th Anniversary – Olympia 2012” (2013). La sua genesi origina nel 2011, quando Marc Feldman, newyorkese di Brooklyn, fagottista di formazione e diplomato all'École Normale de Musique de Paris, arriva a Rennes per prendere la direzione dell'Orchestre Symphonique de Bretagne, che sarebbe diventata National nell'ottobre del 2019. Il suo obiettivo è quello di avvicinarsi alla cultura musicale della regione, alla quale è legata la formazione classica da lui condotta. Incuriosito e attratto dalla ricchezza culturale e dalla gamma melodica di questa composizione originale sinfonico-celtica, decide di occuparsene. Dal canto suo, André Couasnou si impegna a conferirle ulteriori profondità grazie con nuovi arrangiamenti, al punto che gli estratti prescelti vengono etichettati appartenere a una ipotetica “Symphonie Celtique n°2”. Alan si convince a vestire inoltre alcune precedenti canzoni, di abito sinfonico, aggiustando alcuni testi di cui non si ritiene più soddisfatto o che non erano adeguati ai nuovi tempi. Perfino “Bro gozh ma zadoubli” l’inno bretone che solitamente conclude i suoi concerti, vede l’aggiunta di un ulteriore verso in quanto Stivell sentiva il desiderio di ricordare che “tra i nostri vicini francesi a est e i nostri cugini dell’arcipelago celtico, la Bretagna è il centro, una realtà che chiede di essere sottolineata”. Queste canzoni hanno, più o meno, attraversato decenni, pubblicate in dischi vicini ma anche assai lontani nel tempo, da Reflets (1970) a Human~Kelt di quarantotto anni dopo. Interpretati con sola arpa si ascoltano i brani “Ys”, “Eibhlin” e “Rory Dall (Tabhair dom do lámh)” mentre il trattamento sinfonico riguarda “A hed an nos”, “Son ar chistr”, “Spered hollvedel”, “Delivrance”, “Cease fire”, “Brian Boru”, “Pop-plinn”, “Kimiad”, “Tri martolod” e “Bro Gozh”. “Roazhon – Liberté” è il vasto panorama di un ottuagenario, dove passato e presente si fondono in nuova dimensione, un diamante tagliato e lucidato da questo eterno e innovativo orafo della composizione e della scrittura universalista che risponde al nome di Alan Stivell.
A quasi sessanta anni dalla pubblicazione del suo primo 33 giri in vinile, l’architetto del suono neo-celtico a geometria variabile, fonde a modo suo, musica classica occidentale con tradizione rurale locale e suggestioni medievali, qui e altrove, rock e jazz urbani, folk e elettronica, ambient music e moderno hip-hop. Sempre incrollabilmente fedele al nome scelto per iniziare la propria esperienza-canzone e che riassumeva nell’unica parola “Stivell” (Sorgente) l’intenzione di trarre ispirazione dalle fonti celtiche e, innaffiandone le radici, comporre una fusion dall’apertura alare internazionale, che divenisse a sua volta sorgente per il futuro. L’opera epocale che Stivell principiò si opponeva a un “progresso” imposto in Bretagna, restaurando luoghi simbolici da secoli dileggiati in Francia e affermava come l’universale potesse dimorare anche in una piccola frase musicale atemporale. E’ entrata nei rapporti perfino filiali tra generazioni che, in qualche caso, neppure conoscevano la lingua francese oppure cantavano e ballavano il kan-ha-diskan con vergogna. Il suo approccio artistico ha toccato le corde di un’identità bretone sbeffeggiata e vilipesa, svelando tratti di storia culturale di cui i giovani di allora non erano né familiarmente né socialmente coscienti. In un mondo rosicchiato dagli egoismi (come lo è quello attuale, peraltro!) si è trovata a difendere l’identità propria cantando l’apertura a quelle altrui. Le differenze, che sono fondamenta dell’umanità, hanno vibrato sotto le corde di uno strumento che la crudeltà di uomini medievali, aveva ritenuto talmente pericolosa da meritare non solo una soffitta della storia, ma addirittura l’annientamento totale. L’arpa fu vivificante per molti grazie alla feconda etica artistica e politica di Stivell, al suo ideale sincretico che culminerà proprio nella Sinfonia Celtica registrata in studio nel 1979. Un’arpa che per chi l’ascoltava, gocciolava innegabilmente di luce cristallina, essenziale, misurando in modo anche corporale, le pulsazioni del ritmo interiore, come fanno continuamente le onde oceaniche di questa terra appassionante che è la Bretagna. La musica è una potente risposta dell’uomo davanti ai propri limiti, al suo trovarsi di fronte all’enigma munito del solo tesoro dei propri sensi. E con essi Alan affronta il cosmo chiuso nei suoni e nelle loro strutture matematiche, così come in infanzia affrontava le microstrutture fiabesche. Oltre agli estratti dalla Sinfonia Celtica “Roazhon – Liberté” nel dettaglio, comprende: la composizione originale “Ys” basata sui temi tradizionali “Gwerz Kér-Ys” e “Cuan Bhéil Innse” è l’evocazione, tra flussi e riflussi, dell’antica leggenda della città capitale del Regno di Cornovaglia nel V secolo, inghiottita dalle onde catastrofiche a causa dell’assenza di progresso morale. In questa nuova versione si ode un’inedita quartina vocale “Cosa c’è di nuovo nella città di Ys, se la giovinezza è così folle e ascolto i binious, le bombarde e le arpe” rispetto all’originale strumentale presente in “Renaissance De La Harpe Celtique” (1971), album da un milione di copie vendute. “Eibhlin” è una canzone d’amore verso una donna irlandese che Alan afferma di aver ascoltato la prima volta all’età di dieci anni. “Rory Dall” strumentale intimo, anch’esso eseguito
da Stivell su recente prototipo di arpa, omaggio all’arpista cieco irlandese del XVII secolo, Ruairí Dall Ó Catháin di cui non è del tutto provata l’esistenza ma che dovrebbe essere vissuto tra il 1570 e il 1650 circa nella Baronia di Keenaght (attualmente parte della Contea di Londonderry, Irlanda del Nord). Venne composto per celebrare il suo amore nei confronti di una scozzese. L’ultimo e più conosciuto di questi arpisti itineranti di antica tradizione sarà Ò Chearbhallain (O’Carolan). La melodica “A Hed An Nos” ninna nanna gallese (appariva precedentemente come “An Hirañ Noz - Natale, Speranza - Attraverso La Notte) è cantata di duo da voce maschile e femminile (...amiamo di cuore fede cristiana e altre credenze, trascende il quotidiano la più lunga notte…) “Son Ar Chistr” notissima Canzone Del Sidro (qui interpretata in corposa versione rock) venne composta da Jean-Bernard Prima e Jean-Marie Prima nel 1929, due giovani autori che erano soliti creare canzoni per rendere meno monotono il lavoro nei campi. Scritta in bretone Vannetais, fu raccolta in una versione parzialmente modificata da Jul, padre del grande Youenn Gwernig, quand’era sacrestano presso la parrocchia di Scaër. Divenne molto popolare tra Pays Vannetais e Cornovaglia, col tempo le parole verranno un po’ modificate, aggiungendo distici, talvolta anche cambiando l’ordine, qualcuna di esse sparì. Dopo la pubblicazione di Polig Monjarret nel 1951 come “Yao jistr ‘ta laou”, il titolo divenne “Ev jistr ‘ta laou” e in seguito perse l’apostrofo (“Yod jist ta Laou”), quindi “Ev chistr ‘ta Laou”, “Son ar jistr” fino al 1970 quando Stivell la pubblicherà in versione acustica, come “Son ar Chistr” dapprima sul lato 2 del 45 giri FONTANA “Brocéliande” e quindi nell’LP “Reflets”. Immediatamente dopo fu presente in tutti i juke-box dei cafés francesi e nel tempo divenne, tra l’altro, perfino inno del partito socialista tedesco e di squadre calcistiche europeee. Per ciò che concerne “Spered Hollvedel” (Spirito Universale) immacolata melodia nota nelle chiese bretoni come “Cantico Per Santa Maria Di Rostrenen” e la seguente allocuzione originale “Delivrance” (con relativa traduzione italiana) rimando a quanto ho precedentemente e dettagliatamente scritto qui . Aggiungo unicamente che alla prima (a differenza della versione apparsa su E Dulenn) Stivell dona le parole “Dana, santa signora, attraverso Voi che giunga liberazione qui sulla Terra come laggiù nell’aldilà. Per tutti noi sia il Vostro cuore premuroso, pagani e cristiani, tutti nati un giorno nello Spirito universale” e alla seconda asciuga un po’ il testo del 1974. “Cease Fire” ribadisce il concetto nel testo del poeta contemporaneo di Dublino Theo Dorgan: “Non siamo né all’inferno né in Cielo, non saremo mai salvi finché non ci sarà pace...preghiera di morti e lamenti di vivi...solo oscurità intorno, non servono candele di santi... non saremo tranquilli finché ci saranno lacrime…”. La musica che l’accompagna è il tradizionale irlandese “Maids Of Mont Cisco”. L’altra melodia irlandese per arpa medievale “Brian Boru” reca nel testo il messaggio umanista di Stivell, l’invito a trasformare energia di guerra in energia di pace: “Diouzh nerzh ar c’hadoù da nerzh an ehan” (Dalla forza di combattere alla
forza di fermarsi). Secondo la leggenda fu suonata al funerale dell’omonimo re seppellito nella Cattedrale di San Patrizio ad Armagh, come “slow air” ovvero lamento triste e lento ma da quello che riportano altre tradizioni, era composta per cornamusa e veniva suonata invece a tempo di marcia, per incitare i guerrieri del clan O’Brien durante la battaglia di liberazione dagli invasori Vichinghi intorno all’anno 1000. L’esplosivo, giovanile e famosissimo “Pop-plinn” rappresentò il primo tentativo e manifesto per eccellenza del celtic-rock mondiale ben prima che si aggiungesse questa orchestrazione odierna, gli estremi si toccarono nell’arte rivoluzionaria di ispirazione celtica uscita allo scoperto. La melodia originale apparteneva alla “dans tro plinn” di Alta Cornovaglia e all’alba del decennio dei ‘70 sul mercato discografico apparvero contemporaneamente le due facce di un bretone del XX secolo: le sorgenti di Renaissance...e questa proiezione verso il futuro. “Kimiad” versione accorciata rispetto al testo originale del 1838 scritto da Prosper Proux, musica di una danza del Trégor, è l’addio agli affetti da parte di un giovane che va al servizio militare (al tempo aveva la durata di sette anni e sovente contemplava una guerra). La scelta di Stivell di eseguirne unicamente due quartine la trasforma in un generico addio alla sua Bassa Bretagna. Anche la laridé “Tri martolod” è stata un’aria alla moda in Francia, favorita dal fatto che Stivell interpretò questa ronde à trois della Cornovaglia del sud, sempre in maniera molto ritmica e rivendicativa, mentre in origine risultava più compassata. Infine “Bro Gozh” canto transfrontaliero di sopravvivenza del 1903 ad opera di Taldir Jaffrennou e Evan James che possiede la stessa aria dell'inno nazionale del Galles “Hen Wlad Fy Nhadau” ed è stato assunto a inno bretone contemporaneo (il titolo completo sarebbe Bro Gozh Ma Zadoù - Le Terre Dei Miei Padri). Il terzo dischetto contiene il video di un documentario inedito e celebrativo (in condensato di trenta minuti) dell’intero itinerario artistico di Stivell, prodotto da Damien Stein e che non ha nulla a che fare con il concerto in questione. Alan viene definito un po’ enfaticamente “colui che ha salvato la cultura bretone”. Lui più prosaicamente, confessa con pudore che la “celtitudine” lo prese in infanzia “dalla testa ai piedi come una specie di passionale patologia che, nonostante la timidezza, desideravo ardentemente far conoscere al mondo intero”. Vengono ripercorse alcune delle tappe nel cuore dell’universo di questo ostinato viaggiatore culturale, musicale e linguistico. Un percorso di immagini, sia memoriale che prospettico, scandito dagli incontri artistici e dal ritratto intimo degli attuali luoghi di vita del Pays de Rennes e di Carnac. Trova posto anche un’accorata testimonianza del chitarrista Dan Ar Braz: “nel ‘66 venne questo musicista nella terrazza del ristorante di Kemper dove lavoravo, su un piccolo trepiedi mise la sua arpa, si sedette e iniziò a suonare e cantare, mi chiesi - ma cos'è questa cosa che mi toglie la terra da sotto i piedi? Fu come se improvvisamente fossero entrati Bob Dylan, Paul Simon...dopo, nel ‘72, ci sarà l'Olympia e ogni cosa cambiò per la Bretagna, per lui e per noi.” Viene evocata l’epopea creativa sorta dal suono magico, rivelatore e penetrante, fuoriuscito dall’onirica Telenn Gentañ che il padre Jord aveva progettato nel 1953 e che segnerà la rinascita,
rivalutazione ed esplosione della musica celtica dopo l’oscurantismo. Ma non mancano i ricordi d’infanzia di un bambino bretone di Parigi e che non si sentiva parigino, che di Belleville, XX arrondissement, percepiva unicamente rumore, cupezza, derisione dei compagni di scuola per le sue origini bretoni. Unici momenti felici risultavano le vacanze estive a La-Trinité-sur-Mer, idealizzato come paradiso terrestre. Il legame tra i paesaggi di quel litorale e i dipinti del padre, con un ambiente marino che “forse fa ridere ma per me, è rimasto di approccio poetico, un mare che fa sognare e il cui ritmo delle onde mescola nostalgia e euforia”. Senza dimenticare i duetti adolescenziali bombarde-biniou, la rivitalizzazione delle rituali festoù-noz, la grande cornamusa scozzese, l’arrivo delle musiche anglo-americane (suonate di nascosto in privato), la locandina rosa dei primi trenta dischi classificati per vendite in Francia e ben tre a nome suo, accanto ai divi del momento: Demis Roussos, Serge Lama, Johnny Halliday, Georges Brassens, Graeme Allwright, Nana Mouskouri, Status Quo. E poi il concerto alla prestigiosa Royal Albert Hall di Londra del 22 gennaio 1976 che proietterà ovunque la sua musica in migliaia di spettacoli in giro per il mondo. Infine la realizzazione di personali nuovi prototipi di arpe e l’intenzione di costruirne altre. Stivell confessa che se non ci fosse stata quella situazione culturale di urgenza e grave difficoltà in cui versava la sua Bretagna, forse non si sarebbe occupato di musica tradizionale ma unicamente di composizione originale. Infine si assiste a piccoli estratti da uno dei due concerti tenutisi nella Cattedrale gotica di Tréguier, luogo meraviglioso intriso d’anima bretone, nel nord-ovest tra Manica e Monts d’Arréee, dove all’esterno in primavera il ricamo delle ginestre disegna arabeschi abbaglianti tra i riflessi verdi del grano giovane e si odono le onde oceaniche in lontananza. Un concerto non religioso ma sacro, sotto luci blu e lo sguardo immobile e severo di marmi e vetrate ricchi di storia, fascino e classicità. Ad accompagnarlo il solo Tangui Miossec alle tastiere. Un momento spirituale per i presenti, raccolto e sospeso, come tanti se ne vivono in terra di Bretagna dove “l’arcaismo rende la Regione e i suoi abitanti più prossimi a un mondo extra-occidentale”, come sottolinea Stivell, passeggiando tra gli allineamenti megalitici di Carnac.
Flavio Poltronieri
Traduzioni in italiano tratte dal volume “Flavio Poltronieri: Koroll Ar C’hleze” – Danza della Spada – Raccolta di testi bretoni contemporanei – 1985”
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