Fil Rouge Quintet – L’île noire (Alfamusic/Egea, 2024)

Il Fil Rouge Quintet ha preso vita nel 2015 dall’incontro tra la pianista e compositrice Manuela Iori e l’autrice e cantante Maria Teresa Leonetti, due artiste accomunate dalla medesima sensibilità poetica e dal desiderio di dar vita ad un viaggio tra i suoni plurali che spaziasse dal jazz alla world music, passando per la canzone d’autore. Ben presto al duo si sono aggiunti tre eccellenti strumentisti come Charles Ferris, (tromba flicorno ed effetti), Michele Staino (contrabbasso) e Ettore Bonafé (batteria, djembé, tabla, kalimba, congas e anklung) che hanno contribuito ad arricchire l’universo sonoro nel quale convergono melodie mediterranee, echi di musica araba e nordafricana così come i ritmi della bossanova, del tango, e influenze che spaziano dal funk al blues. Dopo aver debuttato nel 2016 con “L'Inconnue - la sconosciuta che è in ognuno di noi” nel quale si mescolavano suoni, ritmi e lingue differenti, il quintetto ha recentemente dato alle stampe “L'île noire”, secondo album che prosegue il percorso intrapreso con l’opera prima estendendo il raggio delle ricerche sonore e compositive. Registrato presso lo Studio Elettra a Roma da Pasquale Minieri e Sandro Marcotulli, il disco raccoglie sette brani dei quali sei composti ed arrangiati dalla Iori su testi della Leonetti, a cui si aggiunge una bella rilettura di “Alexander Platz” di Franco Battiato, che nel loro insieme evocano il viaggio salvifico di ognuno di noi. A riguardo le due autrici nel presentare il disco affermano: “L'idea era di rappresentare questa isola nera come simbolo di salvezza per chi è alla deriva nel mare della vita. Ma l'isola è anche una delle tante sfaccettature dell'essere umano, tenendo presente che ogni persona è un arcipelago, cioè un insieme di isole. Il messaggio che tenevamo a trasmettere con l'immagine dell'isola, anche attraverso il progetto grafico, è questo: nel nostro mondo così pieno di futilità e brutture è fondamentale riconoscere ciò che c'è da salvare e che vale la pena proteggere, ovvero gli affetti, le tante parti buone di noi, la nostra essenza più intima e, in definitiva, la vita stessa”. Di grande impatto evocativo è anche la copertina firmata dall’illustratore francese Zodanzo che ha colto il senso profondo del concept che attraversa i brani del disco, ritraendo un’isola impersonata da una donna, contornata dalle scogliere, e colta nell’atto di abbracciare una barca. Dal punto di vista prettamente musicale l’album si caratterizza per la peculiare cura riposta tanto nella ricerca armonica con rimandi al ethio-jazz e al jazz nordico, quanto nelle architetture ritmiche dove le tabla giocano un ruolo determinante insieme ai cambi di tempo. Durante l’ascolto, a spiccare è l’intensità e la versatilità della voce di Maria Teresa Lionetti che spazia attraverso registri differenti, magistralmente supportata delle tessiture pianistiche di Manuela Iori che dialoga con i fiati di Charles Ferris, mentre il contrabbasso di Staino e le percussioni di Bonafé costruiscono sorprendenti strutture ritmiche. Ad aprire il disco è il solo di contrabbasso suonato con l’archetto di Staino che ci introduce alla title-track con la trama pianistica intessuta dalla Iori ad avvolgere la voce della Leonetti che si immerge in un’ode alla solitudine come momento di salvifica introspezione. Si prosegue con “Les villes cachées” in cui spicca la partecipazione di Badara Seck e nella quale viene raccontato il dramma dei migranti che attraversano il Mediterraneo alla ricerca di un futuro migliore per trovarsi “trascinati in una città fatta di solitudini e di diritti negati” o addirittura perdono la vita in tragici naufragi. La malinconica “Tango Romanesco” vede la partecipazione al sax di Javier Girotto che dialoga con la tromba di Ferris impreziosendo la magistrale prova vocale della Leonetti. Se “Le vent de la mer” rimanda all’afrobeat e a certe atmosfere che caratterizzavano le composizioni di Serge Gainsbourg, la successiva “Alexander Platz” di Franco Battiato si caratterizza per l’elegante arrangiamento jazzy che riporta alla memoria la versione di Milva. Nella sequenza conclusiva il disco si fa più introspettivo con il racconto di un addio ad una persona cara de “La sauterelle” e la superba “La suite des promeneurs solitaires” nel quale si susseguono quattro quadri sonori dalle differenti atmosfere in cui si incrociano le storie di un bambino diventato un angelo, di una signora sola con la sua malattia, di una ragazza che riflette sul senso della vita e di una donna che ha raggiunto la quiete interiore dopo aver fatto esperienza della caducità dell’esistenza. Insomma “L’île noire” è un disco di pregevole fattura che merita un ascolto attento per coglierne la profondità del songwriting e la ricercatezza degli arrangiamenti. 


Salvatore Esposito

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