Antonio Lombardi – Canzone della contea di Levante (SquiLibri, 2024)

Antonio Lombardi è un cantautore che pubblica solamente quando ne sente il bisogno, infatti sono passati dodici anni dall’ultimo disco. Oggi, finalmente, viene pubblicato per SquiLibri editore il romanzo e il cd “Canzone della contea di Levante”, contenente dieci tracce inedite che raccontano quella striscia di terra tra il Levante ligure e le alpi Apuane, ma legata sul filo dei ricordi anche alla Barbagia. In apertura troviamo “Il cuoco di bordo” (“Cosi questa mia lettera, vorrei cascasse il cielo, bruciasse queste miglia che ci spostano davvero, vorrei che le parole scritte potessero parlare e piano raccontare la vita sopra il mare”) con gli arpeggi di chitarra sostenuti dal violoncello e dalle percussioni, “Il messo comunale innamorato” (“Il destino era incontrarci, io cresciuto senza un padre, senza terra da vangare o un futuro da sognare, tu sei nata trovatella senza entrambi i genitori, senza pianti da versare col sorriso nel dolore”) ha una ritmica sostenuta dai fraseggi della fisarmonica e da un ritornello orecchiabile. Un violoncello ostinato accarezza “Il figlio di Maddalena” (“Vedrai lo sai, scenderò giù al vecchio fiume, laverò i miei capelli e i ricordi tuoi più belli, la Barbagia mi ha cresciuta sola e ora supplica il mio nome, Maddalena, Maddalena, la preghiera della sera”) in un'atmosfera quasi mistica, “Il pozzo dello Spiazzone” (“Ho sentito i miei vagiti quel mattino che son nato, sangue, grumi e cantilene fra lenzuola profumate, lavandaie appena alzate, l'acqua fresca delle falde e quel pozzo già sapeva in un incanto tutto quanto del mio pianto”) è un blues con chitarre funky, percussioni e fisarmonica. Molto delicata è la successiva “Il contadino del mare” (“Avevi la faccia segnata dal sale, le mani non le sentivi più, se avevi nei cuore un dolore, spariva nell'acqua disperso nel blu”), invece “Il prete di collina” (“La sua chiesa era un paesaggio immacolato di collina, era semplice la gente, era semplice incontrarsi la mattina, in quel paesaggio”) suona come un trascinante swing. “La casa dell'oratorio” (“Le finestre stravecchie, salde, aperte, superbe di quel legno piallato così profumato, davanzali e gerani affogati nel sole, sopra il tetto sentivi quella vita a colori”) ha una interessante doppia voce e un crescendo strumentale, mentre “Il cristo sul trattore” (“Questa terra, questa terra avvicinarla, poi mangiarla come un frutto già maturo, come il seno di una donna, questa terra, questa terra mi consola”) è sottolineata dalla chitarra elettrica e ammorbidita dal violoncello. Segue “Il testamento” (“Io vorrei sorella morte, si io vorrei gridarlo forte, io vorrei lasciarvi un sole, un infinito di poche cose”), segnato dal tappeto percussivo e da una fisarmonica malinconica, “Il cantore soggettivo” (“Se l’amore m'ha insegnato e la musica adottato, nella musica ho trovato tutto quello che ho cercato, non riascolto quei che scrivo, ma a suonare resto vivo, come un vuoto quando è pieno, l’alchimia di un bel mistero”) chiude il disco con harmonium, chitarre e percussioni. Lombardi scrive benissimo, canta con delicatezza e tutto suona vivo e sincero. Un lavoro appassionato, una personale “Spoon River”, anzi per dirla alla Guareschi, “Un mondo piccolo” fatto di cose semplici, dove si sente ancora l'odore del pane appena sfornato e dei panni stesi, i bambini che giocano, l'acqua del fiume, il campanile del paese, il lavoro nelle botteghe. Un’umanità lontana dai nostri tempi e che forse non esiste più, ma trova la giusta dignità in questo disco così affascinante. 


Marco Sonaglia

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