Buzz’ Ayaz – Buzz’ Ayaz (Glitterbeat, 2024)

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Con Monsieur Doumani e Trio Tekke Antonis Antoniou ha reimmaginato in chiave contemporanea la musica della sua Cipro e il rebetiko greco; ora lancia la sua nuova configurazione artistica, i Buzz’Ayaz, che i quali propongono di attraversare i “muri” fisici e simbolici della sua città natale, Nicosia. Com’è noto, l’occupazione della parte settentrionale dell’isola da parte di forze militari turche nel 1974 ha portato alla divisione dell’isola, dove è stata creata la repubblica di Cipro del Nord, non riconosciuta dalla comunità internazionale. ll nome della band è un gioco di parole: “Buzzi ayazi” approssimativamente si riferisce a uno spiffero di aria fredda. “Ayaz” è una parola turca usata anche in greco/greco-cipriota (nella variante “ayazi”) che significa “vento freddo”, mentre “buzz” deriva dal greco “buzzi”, ossia “far passare” in turco, poi, “buz” vuol dire “ghiaccio” e in inglese significa “suono distorto”. Nel loro eponimo album d’esordio i Buzz’ Ayaz innestano elementi rock, blues, funk, stoner e psichedelia su un denso tessuto sonoro costruito su sfondi di derivazione mediorientale, cantando in greco-cipriota. Antoniou suona il piccolo liuto tzouras, elettrificato ed effettato, canta e mette mano all’elettronica, Manos Stratis è a synth basso, organo e cori, Will Scott – polistrumentista britannico che Antonis ha conosciuto durante il dottorato a Londra – a clarinetto basso e cori, Ulaş Öğüç a batteria e cori. Quanto alle differenze dalle sue precedenti creazioni, Antonis mi dice (l’incontro è avvenuto al WOMEX di Manchester dove i Buzz’ Ayaz hanno brillato in uno degli showcase dell’offWOMEX) che si tratta di una band “molto più dinamica in termini di strumentazione. Non avevamo la spinta, l’energia proveniente dal clarinetto basso, che è un elemento fondamentale in questa band: uno strumento guida. Ma oltre alla strumentazione più rock e più pressante, ci sono anche differenze melodiche, perché ho iniziato a comporre in uno stile e una struttura diversi,
usando scale differenti rispetto a Trio Tekke e Monsieur Doumani”. Non è stato facile trovare sodali dalle comuni visioni estetiche. Nella genesi del quartetto è sottesa una posizione politica: attraverso la musica i Buzz’ Ayaz si schierano contro le divisioni nazionaliste e in maniera dirompente dicono la loro sulle politiche aggressive e oppressive. Provenendo dalle due comunità dell’isola (greco-ciprioti e turco-ciprioti), la loro deliberata motivazione è “dare una voce unica all’intera isola. Questa musica è un modo per restituire qualcosa all’isola. Non ha checkpoint o barriere”. D’altra parte si tratta di restituire il paesaggio sonoro, il mix urbano delle strade di Nicosia. “Avevo alcune composizioni e abbiamo iniziato a collegare i punti. La cosa più importante era bilanciare gli strumenti e produrre un mondo sonoro solido e interattivo. Doveva avere un ritmo incalzante ed essere fresco e selvaggio. Il clarinetto basso di Will e il mio tzouras e poi il synth basso e l’organo di Manos Stratis: abbiamo dovuto lavorare su tutto questo, scoprendo i nostri ruoli. Il nostro batterista, Ulaş Öğüç, ha un modo di suonare unico. Abbiamo fatto in modo che la batteria suonasse più come una percussione, non così pop o semplice. Tutti hanno contribuito agli arrangiamenti”. Il suono accoglie scale orientali e intervalli micro-tonali: “le scale che usiamo includono ritmi come il nove ottavi o il sette ottavi, ma, ovviamente, questo è sviluppato in qualcosa di molto contemporaneo. Mi piace sempre avere quell’elemento sporco nella musica in generale, quindi uso molto ‘sporco’ anche nella
voce questa volta, cosa che non avevo fatto prima”. Volendole ricercare le influenze non mancano, dall’Anadolu pop alla psichedelia, dal rock al blues. Fuori i nomi: Morphine, Baba Zula, Altin Gün, The Doors, The Velvet Underground, King Gizzard & The Lizard Wizard. Quanto ai testi, Antonis dice che per “la maggior parte i testi trattano di questioni esistenziali, di vita reale come le questioni politiche e sociali, ma poi si estendono alla grande domanda di cosa stiamo facendo qui, in un certo senso, cosa stiamo facendo su questo pianeta”. Sul piano compositivo, Antonis spiega ancora e idee nascono soprattutto mentre sperimenta con il suo tzouras, “ottenendo alcuni riff o motivi iniziali, melodie, poi cercando di espanderle. Poi le idee vengono estese, espanse nella mia mente su come il brano sarà arrangiato. Con i ragazzi ci incontriamo, presento loro la struttura e il materiale e iniziamo ad arrangiarlo insieme con i contributi di ognuno di noi”. L’apertura “Buzz’ Ayazi” ha un andamento funky e psych-rock di ambientazione anatolica che accoglie sequenze dirompenti (“Correndo, andiamo a guardare le vigne. Nel sonno mi vesto dei loro rami. Quelle che abbiamo piantato con tristezza e risate mi spingono a una danza infuocata”) e culmina in un finale vorticoso e corale e danzante. Tzouras e clarinetto basso sono l’asse portante insieme alle percussioni insistenti in “Efdji” (Desiderio), motivo di temperamento doorsiano, dove si esplicitano inquietudine e irrequietezza esistenziali (“Volgere lo sguardo altrove, un desiderio insperato/ Che l’aria lo prenda, sia stregato/ Avere l’odore dolce della sera, spargere miele
sull’alba / Nell’estate torrida vestirmi come un’anima gemella / Per volgere lo sguardo altrove, per far fiorire il corallo / Con occhi docili far saltellare i cervi”).  Più morbida, incede sinuosa e avvolgente con la sua fisionomia funky-electro levantina “Fysa” (Soffio), il timbro scuro del clarinetto basso conferisce lo sfondo ritmico a “Zali” (Capogiro, stordimento), composizione contro il conformismo (“Alcune voci mi gridano di rompere/ Io diserto, voglio essere scomunicato/ Per bruciare dentro questa fornace”) in cui si avvertono più forti gli stilemi folklorici. “Arkos” (Selvaggio) è un pressante numero dal mood rock-blues. A seguire, l’ondeggiante strumentale “Ate pale” (Ci risiamo) ci traghetta di nuovo verso l’Anatolia. “Meres” (Giorni) è, invece, scura, notturna, dominata da tastiere acide, eppure non rinuncia alla promessa di un futuro di speranze (“I vecchi agrumi sono troppo maturati sul ramo/ La chioma ha fremuto e la terra ha tremato di dolore/ Chiedo al fiore profumato, addolorato/ Dimmi quale dio senza cuore sarà accusato di questo delitto”/ Hai iniettato veleno e tristezza nel sangue di tutti/ Li hai annaffiati con astuzia, e la menzogna ha prosperato/ Gridano e piangono che non possono stare insieme/ Lasciali andare, e carica su di me il pianto di tutta la terra/ Piangerò, mi lamenterò, sarò fulmine e tuono/ Per chi non ha più lacrime urlerò/ E il rombo del mio petto squarcerà l’etere/ E i nuovi giorni saranno pieni di ebbrezza e baci”). Posto in chiusura, “Alu”, il secondo strumentale, procede tra ondate di synth, rumorismo, riff chitarristici vociare. Inventivi, grintosi e sorprendenti per i loro cambi di ambientazione: la psichedelia mediterranea orientale dei Buzz’ Ayaz è un possibile folk urbano cipriota ed è tra i debutti più coinvolgenti e contagiosi dell’anno. 




Ciro De Rosa

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