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I nomi di Bob Marley e Fela Kuti sono legati all’affermazione e alla diffusione del reggae e dell’afrobeat e dei loro messaggi di giustizia sociale sulle due sponde dell’Atlantico all’inizio degli anni Settanta. A cinquant’anni di distanza, l’incontro musicale fra queste due famiglie è stato suggellato con un singolo che invita gli africani a credere in sé stessi, in ciò che sono, indipendentemente dagli sguardi degli altri. Il titolo è “Dey”, il verbo che nell’inglese dell’Africa occidentale significa “essere”. L’artefice è stato Seun Kuti che ha invitato Damian Marley a intervenire nel brano in chiave rap; per Seun Kuti: “È un momento storico. È la prima volta che i Kuti e i Marley registrano insieme. Siamo due artisti, entrambi provenienti dall'Africa, che vivono in continenti diversi e cantano di lotte simili. Fare musica nel solco di questi grandi movimenti che rappresentano il popolo africano è un’esperienza incredibile perché evidenzia le somiglianze tra i vissuti dei neri di tutto il mondo. Penso che questa collaborazione mostri la correttezza dei nostri messaggi attraverso l’arte e l’unità africana. Non importa dove siano nel mondo, restano pochi gli africani che giungono alla notorietà; in quanto africano, una cosa che odio del modo in cui il mondo si rapporta a noi è che solo gli africani speciali vengono considerati umani. In ‘Dey’ cantiamo di come siamo speciali e di come non dovremmo sentire il bisogno di dimostrare costantemente che siamo speciali a nessuno”. Sulle ali di propulsivi riff di chitarre e fiati, “Dey” ha annunciato l’uscita ad ottobre del quinto album di Seun Kuti (senza contare i vari EP), a sei anni di distanza da “Black Times”. Il video “Making Of” racconta il
processo creativo e produttivo che ha generato i sei brani, tutti fra i sei e i nove minuti. Girato negli studi Question de Son di Parigi, è stato diretto da Raphaël Frydman, già regista, vent’anni fa, del fratello maggiore di Seun per un concerto che lo vedeva protagonista nel tempio musicale di Fela: “Femi Kuti Live at the Shrine”. Nel breve documentario Seun torna sulla dimensione politica della musica di Fela Kuti per affermare che “La liberazione dell’African non è un messaggio di mio padre, è un messaggio che viene da tutta l’Africa. Non dimentichiamo che il 90% degli africani vive in povertà, il 65% sopravvive con meno di due dollari al giorno”. Per uscirne, il sassofonista, cantante e compositore indica la strada dell’unità. Questo spirito di cambiamento permea le sei tracce e invita esplicitamente alla lotta in “Emi Aluta”, in cui Seun canta i grandi rivoluzionari insieme al cantante e rapper zambiano Sampa The Great, conosciuto per l’acutezza dei suoi versi.
Oltre agli ospiti, Seun Kuti ha chiamato come produttore esecutivo dell’album Lenny Kravitz, coadiuvato da Sodi Marciszewer, già produttore di Fela Kuti e degli Egypt 80, il gruppo che a soli quattordici anni Seun si è trovato a dirigere, alla morte del padre nel 1997: un modo per restare vicino al
nucleo sonoro dell’afrobeat, senza rinunciare ad esplorare nuovi arrangiamenti, come risulta evidente già dal brano di apertura “T.O.P.” Si comincia con la sola chitarra ritmica sostenuta dalle percussioni, per poi far spazio al coro, spesso in chiave di punteggiatura ritmica, e la voce solista, con batteria e fiati che costruiscono una solida cornice acustica all’interno della quale sono grado di navigare in parallelo arpeggi di chitarra e singoli interventi di fiati, linee melodiche assertive a sottolineare i versi di denuncia e invito all’azione di fronte ad una “società che dà più valore al denaro e all’accumulo di ricchezza che alle persone”. Negli ultimi anni Seun ha affermato il suo impegno di attivista panafricano ed ha appoggiato campagne di iniziativa civile come #EndSARS, contro la violenza della polizia, oltre ad avere rilanciato nel 2020 (e chiesto la registrazione come partito nel 2021) del Movement of the People (M.O.P.), fondato dal padre Fela nel 1979 (l’anno in cui si vide rifiutare dal governo la candidatura alle presidenziali).
Ma c’è spazio anche per l’amore, puntualmente in uno dei due brani più estesi, “Love & Revolution”, canzone dedicata alla moglie e conclusa con un assolo di sax che non manca di includere le dissonanze, anche se nei versi ricorda come “solo il vero amore possa ispirare le persone a rendere il mondo un posto migliore”. A breve a Milano (Alcatraz il 29/10), Roma (Largo Venue, 30/10), Pordenone (Capitol, 02/11).
Alessio Surian
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