È un graditissimo ritorno, quello di Enzo Gragnaniello, che, a tre anni di distanza dal precedente “Rint’ ‘o posto sbagliato”, continua a reinventarsi cantore appassionato di una Napoli che fa, in realtà, da punto di osservazione sul mondo. È così che Gragnaniello – settant’anni appena compiuti, quarant’anni di carriera, quattro Targhe Tenco – si re-inventa ancora una volta, scrivendo una nuova tappa di un viaggio che ha sempre avuto come bussola il racconto costante dell’animo umano.
In questo nuovo “L’ammore è ‘na Rivoluzione” il viaggio si tinge di timbri acustici, le atmosfere più intime, e il filo rosso è, per l’appunto, quello di un amore “motore immobile del mondo” esplorato in tutti i suoi colori. “L’unica ricchezza” apre il lavoro snodandosi lungo il rincorrersi antico degli arpeggi di chitarra e dei fraseggi di mandolina di Piero Gallo (lo strumento nasce dalla fusione del mandolino e della mandola). A seguire arriva “A me basta”, scandita dallo strumming zoppo della chitarra, su cui si incastrano alla perfezione una collosa linea di basso ed i ricami della mandolina e violoncello. “Io ce crer’ancora” cammina lungo i pizzicati afosi della chitarra, scortati dalle incursioni sabbiose della mandolina e da un pattern ritmico desertico. “Ma che vuò cchiu” è attraversata da una sezione ritmica secca e tesa, con le galoppate del basso ad inseguire i riff in odor di funky della chitarra acustica ed i fraseggi ariosi della mandolina. “Song’ ‘o specchio” si colora di toni più malinconici, con l’arpeggiare umido della chitarra elettrica allargato dalle aperture dense della sezione archi. A riassestare tutto su toni quasi noir ci pensa una “Notte ‘e passione” che, fedelmente al titolo, si abbandona a trame fumé, scandite dai pizzicati ammalianti della chitarra e da un basso vorticoso, che accolgono gli splendidi soli di violoncello e mandolina. Giro di boa del lavoro è una “E po’ nun resta niente”, figlia della miglior tradizione partenopea, sorretta da un’affascinante linea di contrabbasso e dagli arabeschi della mandolina. “Ma sta vita” scorre lungo l’incedere secco della batteria, colorato dalle scorribande agrodolci di mandolina e violoncello. “E intanto ‘o sole” affonda in un’atmosfera quasi solenne, in cui l’arpeggiare della chitarra classica è ispessito dagli interventi ariosi della sezione archi. “Mez’ora ‘e pace” torna ad un incedere più mediterraneo, in cui l’incontro fra un basso languido e delle percussioni riarse dà vita ad un flamenco zoppo, disciolto dagli interventi della mandolina e degli archi. La title track scivola lungo un afflato rockeggiante, con notevoli strizzate d’occhio al desert blues, e nel tiro arido della batteria e negli interventi della mandolina. A chiudere il lavoro ci pensa “ ‘A canzone ‘e Marialuna”, segnata dall’intenso arpeggiare della chitarra classica, splendidamente accolto da un contrabbasso abissale e da un malinconico violoncello, su cui si incastrano alla perfezione gli svirgolii della mandolina.
In conclusione, ci troviamo all’ascolto di un lavoro estremamente raffinato, in cui l’eleganza degli arrangiamenti fa da perfetto contraltare alla ruvidezza vocale di un Gragnaniello in grandissimo spolvero, e qui coadiuvato da Erasmo Petringa (violoncello, basso, contrabbasso, archi), Piero Gallo (mandolina) e Marco Caligiuri (batteria e percussioni), con l’aggiunta, in un paio di brani, delle percussioni di Tony Cercola e della chitarra di Antonio Maiello. Un album schietto, denso e vitale, esattamente come – per fortuna – ci ha abituato Enzo Gragnaniello.
Giuseppe Provenzano
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