A distanza di cinque anni da “Un altro equilibrio” torna il cantautore bresciano Alessandro Sipolo con un disco in omaggio alla “breccia di Porta Pia” dal titolo “D'io Matria Vaniglia”, che fa il verso allo slogan “Dio, Patria, Famiglia”, tornato prepotentemente di moda con le ultime inquietanti versioni del nazionalismo nostrano.
D’io, con l’apostrofo, è lo sguardo distolto dal cielo e rivolto all’umano, Matria è la terra accogliente, luogo dai confini permeabili contrapposto alla Patria, guerresca e identitaria, Vaniglia è il profumo volatile del piacere, opposto alle “radici” del dovere tradizionale. Nove tracce firmate da Sipolo, che ha curato la produzione artistica con Alberto Venturini. Un arpeggio di chitarra si intreccia agli archi in un crescendo sudamericano di fiati nell’iniziale “Vaniglia” (“Però chiamava forte, la voce della selva e la sua lingua dolce non mi lasciava tregua e poi fischiava forte il vento a Gibilterra dove l’oceano lecca le cosce della terra, musica musica, senti che cuore in festa, sanguina gode trema, davanti alla foresta”), molto evocativa “Polansky” (“C’è una madonna nel Carmen, col suo serpente segreto e che fa prega per te e che fa piange per te”) che sembra uscita direttamente da “Nebraska” di Springsteen. “Signorina cuorenero” (“Presidento che è più maschio, nel presepe tanto muschio, quanto brilla la cometa degli amici del tritolo”) è una cavalcata dal sapore western, più intensa è “Le nostre trincee” (“E adesso scavo più forte sul fondo della trincea, per scendere nell’abisso senza di te e attendere un altro giorno senza il tuo sole che mi scalda ma acceca, i miei occhi e il mio cuore”) con un suggestivo tappeto di percussioni. I fraseggi della chitarra elettrica di Finaz dialogano con il violoncello e la batteria in “Matria” (“Tu sei Matria la fine dell’esilio, tu sei Matria terra per me, tu sei Matria porto per il mio sbarco, tu sei Matria terra per me”), “Signor padrone” (“Pausa pausa passo lento senza tempo e tracciamento, resto ancora un po’ con le braccia incrociate in questa piazza d’estate, si canterà una canzone al Signor padrone”) si muove a tempo di reggae ed interviene Lorenzo Monguzzi ad arricchirla vocalmente. Molto ritmata in odor di country è “Petra” (“Petra che non ama né gli orari né gli dei, ma sa viaggiare, Petra che mi chiama come il mare i marinai e tocca andare”) con la voce e l’arpa di Cecilia, “Sandra e Visone” (“E questo letto tra poco dovrà mendicare il profumo di te, domani i porci fascisti dovranno tremare e guardarsi dalla mia GAP, come ora trema la mano che cerca il tuo viso e si spinge più in là”) è un valzer malinconico macchiato dalla fisarmonica. In chiusura troviamo il rock acido di “D'io” (“Senti coma abbaia forte nella notte il loro dio tra le mura della patria, la famiglia dell’oblio, la mia pelle questa pelle non mi contiene non mi conterrà, nonostante la tua dolcezza e questa disperata voglia di tregua”). Un lavoro forte, sanguigno e attualissimo. Sipolo racconta con uno sguardo lucido, la sua è una canzone d'autore che non si vergogna di schierarsi e lo fa con la sua voce calda, avvolgente, con dei testi ricchi di immagini e con sonorità quanto mai calzanti.
“D’io Matria Vaniglia” è un’irrinunciabile cartolina del presente, è un monito a non voltare sempre la faccia, è un invito per fermarsi a riflettere.
Marco Sonaglia
Tags:
Storie di Cantautori