Il progetto Rema nasce nel 2017 dall’incontro tra Simone Martino (voce, chitarre e percussioni), Luigi Lo Curzio (voce, basso e corde) e Antonio Agnello (voce e chitarra), tre musicisti di base a Roma accomunati dal desiderio di dare vita ad un percorso di ricerca attraverso la musica tradizionale dell’Italia Meridionale, sperimentando incroci ed attraversamenti sonori possibili con culture lingue ed immaginari diversi, salvando dall’oblio brani, storie e racconti legati alla cultura popolare. La scelta del nome del gruppo è stata ispirata dalle correnti dello Stretto di Messina che spesso attraversano e che li accompagna ovunque e che custodiscono “infinite storie sommerse”. Dopo una iniziale fase di rodaggio, a partire dal 2018, cominciano a fare ordine nel repertorio e a scrivere brani nuovi in cui il dialetto si intreccia con un sound ricercato in cui i suoni del mediterraneo si intersecano con la world music, il rock e il prog. Pian piano prendono vita storie di amori, leggende e sogni naufragati in cui si ascolta il rumore del mare. Parallelamente il gruppo, sotto la guida di Simone Martino, si è ampliato con l’ingresso nella line-up di Carmine Torchia (voce, chitarre e plettri), Mario Puorro (voce, corde e percussioni) e Stefania Nanni (voce, fisarmonica e synth) e, così, nell’arco di sei anni di lavoro certosino, ha preso vita la loro opera prima “Tintu”, registrato con la partecipazione di Antonio Agnello (voce e chitarra), Giovanni Crispino (voce e fisarmonica), Luca Miceli (percussioni), Enrico Gallo (cajon) e le voci di Giuseppe Mortelliti e Sara Calvanelli. Composto da nove brani di cui quattro tradizionali rielaborati, l’album racchiude nel titolo il filo rosso di suggestioni che lo ha ispirato. “Tintu” vuol dire, infatti, sia “dipinto” sia “malvagio, contraffatto, macchiato” e, nel loro insieme, i brani raccontano da angolature diverse, storie vere di vita vissuta e leggende, delusioni e amori, cadute e risalite, andando oltre la superfice delle cose, oltre le macchie visibili. In questo senso, fondamentale per penetrare nel profondo il lirismo immaginifico che pervade il disco è il booklet nel quale i testi dei brani sono accompagnati dalla prefazione di Ettore Castagna e intercalati dai racconti poetici di Massimo Barilla e dalle illustrazioni di Federica Orsetti, Giovanni Crispino, Antonio Palma, Milena Puglisi, Marilisa Mortelliti, Gianni Brandolino, Carmine Torchia, Claudio Martino e Aldo Zucco, affiancate dalle grafiche che rielaborano un opera Nicola Menga. Il frinire delle cicale nella campagna assolata fa da preludio a “Arburu” del cantautore calabrese Danilo Montenegro, un canto appassionato in cui un albero in grado di fiorire anche nei luoghi più impervi è la metafora per descrivere un amore incondizionato. Si prosegue con la serenata “Civitareddha”, nata da un testo di Gaetano Magnelli messo in musica dal Gruppo di Ricerca Tommaso Campanella nel 1976, riscritta in forma di tarantella prog-rock e che si snoda attraverso un climax dall’acustico all’elettrico di grande suggestione. Dal volume “Canti Popolari di Sicilia” pubblicato nel 1857 da Lionardo Vigo e ben presto censurato e ritirato dal commercio arriva “Un servu e un Cristu”, proposta in una tesa versione folk-rock che esalta la struttura dialogica del testo in cui un servo si lamenta con Gesù Cristo per i maltrattamenti subiti dal padrone Interessante la scelta di inserire tanto il testo censurato, quanto quello modificato per volere della Chiesa. “Sutta ‘u lettu” è una filastrocca rock trascinante, aperto dal recitativo di Giuseppe Mortelliti, e nella quale è racchiuso il racconto di una gatta che, durante il funerale della padrona, ascoltando i pettegolezzi dei presenti decide di reagire malamente. Se “Ferma” è una struggente ballata che descrive l’addio tra due amanti, la successiva “Cola” è una brillante riscrittura in crescendo rock della leggenda di Colapesce che ci introduce al segmento politico dell’album con il racconto dell’arrivo in Sicilia di Giuseppe Garibaldi in “‘U spagnu d’i borboni” i cui versi sono attribuiti al contadino Antonio Oliveri detto “Giuraneddu” (Ranocchia”) e il canto calabrese “‘A libertà” raccolto a Reggio Calabria nel 1870, proposta in una trascinante cavalcata in cui il rock incontra la tradizione musicale calabrese. “Nta ‘stu lettu mi curcu jeu”, basata su un testo di una preghiera raccolta in Calabria nel 1890 chiude il disco tenendo alto il tasso rock, il tutto permeato da una intrigante ed incisiva architettura ritmica. “Tintu” è, dunque, una ottima opera prima, un primo passo di un progetto artistico da tenere in assoluta considerazione per il prossimo futuro.
Salvatore Esposito